Rick Pitino: molto più che un semplice allenatore...

Rick Pitino: molto più che un semplice allenatore…

Se prendete il box score della semifinale del torneo Ncaa del 1997 vinta da Kentucky contro Minnesota scoprite che tutti i giocatori dei Wildcats sono andati a referto. Pensiero immediato: tipico delle squadre allenate da Rick Pitino, rotazioni veloci, tanti minuti per tutti, gioco in velocità. Vero. Ma anche falso.

In quella partita Derek Anderson segna due punti ma in realtà gioca 0 secondi, perché è infortunato. La guardia, una stella, che pochi mesi dopo sarà chiamato con la 13esima scelta dai Cleveland Cavaliers, dal 21 gennaio siede a bordo campo dopo un intervento al legamento crociato del ginocchio. Pitino non vuole mettere a rischio la sua carriera da pro (che purtroppo per Anderson sarà comunque contraddistinta dagli infortuni).

Ma è una semifinale del torneo Ncaa e quando l’arbitro punisce con un tecnico l’allenatore di Minnesota Clem Haskins, Pitino si volta verso la panchina e chiama Anderson per battere i liberi. Un colpo di teatro. Anderson si alza e va in lunetta, il pubblico applaude. La guardia fa 2 su 2, Kentucky vince (ma perderà la finale) e oggi nel box score oggi potete vedere che tutti, ma proprio tutti i Wildcats hanno lasciato il segno su quella Final Four.

Su Rick Pitino in rete si trova davvero di tutto. Frasi, aneddoti. Ogni pezzo della sua vita e della sua carriera è stato scandagliato, tanto che farne un ritratto esaustivo in un articolo è operazione impossibile. Per questo, per introdurre a un personaggio che ha davvero inciso il suo nome in profondità nel mondo del basket, sono partito da un ricordo personale.

Ma cosa ha reso Pitino… Pitino?

Le vittorie, indubbiamente. Ma anche molte altre cose.

Il gioco veloce. L’etica del lavoro. Una personalità sopra le righe. Una capacità comunicativa fuori dal comune. La presunzione. I record. I lutti personali. Gli scandali. La sua capacità di reclutare. Il suo stile di gioco. Il carattere dei suoi atleti.

Ho provato a racchiudere dalla A alla Z la vita e la carriera, entrambe degne di un film, di uno dei più grandi allenatori della storia (e non solo di quella del college basket).

Allenatore. Su questo ci sono pochi dubbi. Non solo che lui sappia allenare, ma che sia un Allenatore con la A maiuscola, a tutto tondo, di quelli che “cambiano” un giocatore. A Providence ricordano ancora il suo arrivo, in stile Mary Poppins: cambia tutto e in due anni porta il college dai bassifondi della Division I alla Final Four, poi nonostante abbia appena firmato un estensione contrattuale di 10 anni con Providence, lascia l’università per una nuova avventura (alla lettera N di New York Knicks). Pitino è capace di far sentire i suoi giocatori unici ed è in grado di elevare il loro rendimento. Arrivato a Boston University, suo primo posto da capo allenatore, dice ai ragazzi: “Nessuno di voi è un talento. Prendiamone atto. Ma noi vogliamo vincere. E allora adesso correremo e correremo e correremo ancora”. Chiede ai suoi giocatori di allenarsi fisicamente anche 4 volte al giorno. E con una squadra modesta riesce a stabilire da subito un record vincente.

billups_080_412Boston Celtics. Pitino due volte è stato un allenatore Nba. Inquadrato nell’ottica della storia del professionismo americano è una meteora tra i coach professionisti. Ma allena per 4 anni e mezzo (dal 1997 al 2001) la squadra con più blasone della Lega, i Celtics. Ed è un fallimento. Perché definire in un altro modo se non “fallimento” la sua avventura sarebbe fare agiografia. Pitino non trova il feeling giusto per gestire quella squadra, il suo ego finisce spesso per scontrarsi con quello dei suoi giocatori, ma anche dello staff.

Chiude la sua avventura con un record di 102 vinte e 146 perse. Chiede (e ottiene) ampi poteri decisionali, ma le scelte al draft e i movimenti di mercato lasciano perplessi (alcuni li potete leggere alla voce Caratteraccio). Insomma, l’esperienza di Boston è un mezzo disastro e anzi secondo alcuni tifosi quelli sono stati i peggiori Celtics di sempre dopo quelli allenati da M.L. Carr. Pitino sostiene un’altra tesi, ma la potete leggere alla Y di Yastrzemski. Va detto che se i Celtics possono ammirare ancora oggi le gesta di Paul Pierce il  merito è di Pitino.

Caratteraccio. La spiccata personalità di Pitino è uno dei suoi punti di forza ma anche un aspetto spesso criticato. Orgoglioso, permaloso, un po’ supponente. Molti criticano il suo modo da saccente e santone. Nel periodo di Boston, anche se effettivamente non ha a disposizione una squadra di talento, non regge bene le critiche e inizia a litigare con i media e i tifosi. A Boston chiede pieni poteri ma le sue scelte lasciano a desiderare.

Gli manca pazienza. Al draft del 1997 (che non offre talenti irresistibili) chiama con la 3° scelta Chauncey Billups e con la 6° Ron Mercer (che è stato allenato proprio da Pitino a Kentucky). Col senno di poi, l’aver selezionato Billups mostra il grande fiuto di Pitino, ma all’epoca il coach si spazientisce presto della sua scelta e fa si sbarazza in fretta e furia di Billups e successivamente anche di Mercer.

Oltre alle manie di grandezza Pitino ricorda spesso (troppo spesso) le sue capacità di motivatore ma molti dei suoi concetti sfiorano la retorica. Non sono pochi quelli che lo prendono in giro sia le sue massime motivazionali sia il suo libro “Success is a choice”. Per non parlare della sua autobiografia “Born to coach”, che i detrattori sostengono sia eccessivamente autocelebrativa, persino per Pitino.

Disciplina. Ai tempi di Providence, quando il mondo si ritrova a guardare stupito questo buffo ometto vestito sempre in maniera impeccabile che anticipa clamorosamente la serie “I Soprano”, gli danno il soprannome di “Mister disciplina”. Con lui non si scherza. Dentro o fuori, sì o no. Con il passare del tempo (e qualche nipotino) il terribile allenatore si è un po’ calmato. Oggi permette ai suoi giocatori di avere una ragazza (in passato non ne voleva sapere) e sembra più pronto a mettersi in gioco. Ma resta un sergente di ferro. Uno di quelli che se ti vede un filo in sovrappeso ti fa correre dietro il pullman della squadra. Ma per davvero.

Epigoni. Rick Pitino come Andrea Del Verrocchio. I tifosi di Florida o di Cincinnati, gli appassionati che quest’anno al torneo Ncaa si sono innamorati di Florida Gulf Coast o gli esperti cui piace il gioco degli Indiana Pacers in Nba, devono tutti ringraziare almeno parzialmente coach Pitino.

Se quella del Verrocchio è stata la più famosa bottega di pittura fiorentina del Rinascimmento, quella di Pitino è stata la “bottega” del basket negli ultimi 30 anni. Billy Donovan, capace di vincere due titoli Ncaa consecutivi con Florida, sembra il suo Leonardo da Vinci, ma l’elenco degli ex assistenti o ex giocatori che hanno intrapreso (spesso con successo) la carriera da allenatore richiederebbe un pezzo a parte.

Figli. La famiglia è molto importante per coach Pitino. Ha cinque figli: Michael, Christopher, Richard (che è da poco diventato capo allenatore a Minnesota, i maligni sostengono più per il suo cognome che per effettivi meriti), Ryan e Jacqueline. Un altro figlio, Daniel, è morto nel 1987 all’età di sei mesi per una malattia congenita al cuore. Un evento, quello della morte del figlio, che ha comprensibilmente lasciato un segno sulla vita di Pitino che insieme a sua moglie ha dato vita alla “Fondazione Daniel Pitino” che si occupa appunto di volontariato e assistenza ai bambini.

umass_uniform_poseGiocatore. Anche se l’altezza non depone a suo favore, Pitino è stato un giocatore di basket. Nasce il 18 settembre del 1952 a New York, cresce nello stato di New York e gioca al liceo nella squadra della St. Dominic High School, di cui è anche capitano. Dopodiché, nel 1970, viene reclutato da Massachusetts dove gioca nel ruolo di guardia e si segnala come uno dei migliori assistman di ogni epoca con 329 assist in totale e 168 nell’anno da senior (ottavo nella storia). La statistica è notevole se si considera che a quei tempi non si poteva giocare nell’anno da freshman. Per lo stesso motivo Pitino non è mai sceso a referto con la star della squadra, un certo Julius Erving, che nella prima stagione di Pitino a Umass è nel suo anno da junior e che l’anno dopo passerà alla Nba. La carriera da giocatore però dura poco, nel 1974 Pitino si laurea e inizia subito a fare l’assistente in panchina.

Hall of fame. Il 5 aprile 2013 è arrivato l’annuncio che Rick Pitino sarebbe entrato nella hall of fame del basket, ovvero il luogo dove vengono ricordati i personaggi che hanno significato di più per la storia di questo sport. Il coach di Louisville è stato il primo ad aver portato tre squadre diverse alla Final Four (l’altro è il nemico Calipari) e pochi giorni dopo aver ricevuto la notizia dell’ingresso nella Hall of Fame ha vinto il torneo Ncaa diventando il primo a vincere al college con due squadre diverse (Kentucky e Louisville).

Ippica. Non c’è solo il basket nella sua vita, ci sono anche i cavalli. Una passione fin dai tempi in cui allenava Kentucky. Proprio nel 2013, a ridosso della Final Four, i media americani ricordavano il fatto che un cavallo di Pitino avrebbe corso nel Kentucky Derby, la gara ippica più famosa del mondo. Il cavallo si chiama Goldencents e poco prima della semifinale del torneo contro Wichita State ha vinto il “Santa Anita Derby”. In realtà la società di cavalli di Pitino (la Rap racing) possiede solo il 5% di Goldencents, ma è proprietaria di molti altri stalloni. Pitino è persino finito in copertina di Blood-Horse, una delle riviste di punta del settore (che ricorda molto “Cavalli e segugi” del film Notting Hill).

Jim and John (Boeheim e Calipari). Il primo è il grande amico che lo ha portato nel basket che conta, il secondo è il suo odiato nemico. Pitino è stato il primo assistente allenatore che Jim Boeheim ha assunto quando è diventato (nel lontano 1976) capo allenatore a Syracuse. La sua carriera nella elite della Division I è iniziata lì, nello stato di New York. Si potrebbe scrivere un intero articolo sul perché Boeheim scelse Pitino (si era innamorato di come aveva impostato la sua difesa a uomo… Boeheim… il re della zona) e sul come fu reclutato (nella hall dello Sheraton dove Pitino stava passando la sua prima notte di nozze). Sta di fatto che i due sono diventati grandi amici.

Il secondo, John Calipari, è il coach rivale per eccellenza. Una rivalità fatta di velenose dichiarazioni a distanza (di recente Pitino ha criticato il reclutamento di Kentucky basato sul one-and-done) ma anche una rivalità sul campo iniziata nel 1996 quando Pitino allena UK e sconfigge al torneo Calipari, coach di Massachusetts (approfondimenti alla voce Umass). La rivalità è alimentata dal fatto che oggi Calipari è finito a Kentucky mentre Pitino allena il college avversario per antonomasia dei Wildcats: Louisville.

ncb_g_pitinor_576Kentucky. Gli anni in cui ha allenato i Wildcats sono quelli che hanno proiettato coach Pitino nel gotha del basket. A Providence ha dimostrato che sa allenare e sa reclutare. A Kentucky, università che già di suo ha un blasone particolare negli Stati Uniti, porta queste sue capacità all’apice. Anche in questa occasione, come spesso accade nella sua carriera, arriva in un momento di declino per il programma dell’università, il cui coach Eddie Sutton si è appena dimesso sommerso dalle critiche. E anche in questo caso in pochi anni riporta UK ai fasti del passato.

Il gioco della squadra si fa ancora più veloce e la difesa a tutto campo diviene il definitivo marchio di fabbrica di Pitino. Le sue squadre giocano alcune tra le più memorabili partite della storia. Ad esempio il match in cui i Wildacts rimontano 31 punti contro LSU nel 1994, o la gara che per molti è stata la più bella partita della storia del college basket contro Duke (la finale di Regional vinta dai Blue Devils con un tiro allo scadere di Christian Laettner).

Nel 1996 arriva finalmente il titolo grazie a una squadra che è una mezza franchigia Nba. Giocano per lui Tony Delk, Antoine Walker, Walter McCarty, Derek Anderson, Ron Mercer, Mark Pope, Jeff Sheppard, Wayne Turner e Nazr Mohammed tutti giocatori che hanno poi calcato i parquet della Nba. Alcuni solo per una manciata di partite, altri in pianta stabile, come Mohammed, ancora decisivo nei playoff 2013 con Chicago.

Louisville. Le imprese di Pitino con i Cardinals sono le più recenti. Il coach è a lungo tentato dal NON sedere sulla panchina di Louisville. Per un motivo semplice: ha già allenato (da vincente) Kentucky. E’ un po’ come se lo storico allenatore del Milan finisse sulla panchina dell’Inter. Non sta bene. E questo è un ostacolo che a coach Pitino (che ci tiene) sembra insormontabile. Ha già preso accordi per allenare (ironia della sorte) Michigan, ovvero la squadra che nel 2013 la sua Louisville ha battuto nella finale del torneo.

E’ già tutto fatto, ma all’improvviso arriva l’offerta di Louisville. Pitino è in dubbio su cosa fare, chiama l’allora dirigente dei Wolverines per esprimergli i suoi dubbi, ma non riesce a parlargli. Nel mentre viene raggiunto dall’ennesima telefonata di un manager dei Cardinals, che riesce a vincere le resistenze del coach. Pitino così lascia Michigan per Louisville. E oggi, con il ritorno di Russ Smith per il suo anno da senior, il coach dei record si prepara ad affrontare un’altra stagione vincente.

Minardi. Una famiglia importante per coach Pitino che nel 1976 sposa Joanne Minardi, tutt’ora sua moglie. Moglie con la quale attraversa tragedie e difficoltà. Dalla scomparsa di un figlio alla morte di Billy, che non solo è il fratello di sua moglie, ma anche e soprattutto il suo migliore amico.

Quella di Billy è una morte che lascia un vuoto particolare nella vita del coach di Louisville (bibliografia e racconti a fiumi). Il cognato muore in un frangente particolare per l’America: l’11 settembre 2001 al 105esimo piano di una delle torri del World Trade Center. Dall’anno successivo in dicembre una delle partite di Louisville viene chiamata il “Billy Minardi Classic”, mentre un dormitorio del campus universitario è stato ribattezzato “Billy Minardi Hall”. Tra l’altro pochi mesi dopo la morte di Billy, un altro suo grande amico, Don Vogt, rimane ucciso a New York investito da un taxi.

gal-pitino-jpgNew York Knicks. Come Mr. Wolf di Pulp Fiction, lui arriva per risolvere i problemi. Quando gli affidano la panchina dei Knicks la situazione è complessa: la squadra di New York allenata da Brown l’anno prima ha vinto solo 20 partite e in città c’è tensione. Un compito perfetto per Pitino che accetta la scommessa. Capire se l’ha vinta o l’ha persa è difficile e ci sono opinioni diverse in merito.

Dopo un anno di transizione, nella stagione 88-89 Pitino al suo secondo anno porta i Knicks al primo titolo della Atlantic division in 20 anni. Lo stile di gioco non può essere quello di Providence, ma non ci va nemmeno troppo lontano: corsa, cambi di ritmo, trappole difensive, tiro da 3. Arriva i playoff sull’onda dell’entusiasmo, ma è già chiaro che non c’è feeling con Al Bianchi, il gm dei Knicks.

Ai playoff New York viene eliminata da una squadra che si mette sempre più in evidenza, ovvero Chicago (dove gioca un certo Michael Jordan). Ma anche Chicago alla fine deve arrendersi ai Detroit Pistons e dovrà arrendersi per due anni di fila ai Bad Boys. L’anno dopo però la cavalcata di Isiah Thomas, Joe Dumars e Dennis Rodman con i capelli del loro colore naturale non riguarda più Pitino. Lui dopo l’eliminazione dai playoff sceglie di dire addio alla Nba e di firmare per la panchina più prestigiosa del college basket quella di Kentucky.

Orgoglio. Non vedrete mai un giocatore di Pitino che non lotta per un rimbalzo o che non si tuffa per recuperare un pallone. Mai. E questo, nel corso della sua carriera, non ha potuto non portare grandi apprezzamenti. Alla fine, in qualsiasi sport a qualsiasi latitudine, il tifoso vuole vedere i giocatori del cuore che si battono. Ecco, quelli allenati da Pitino si battono sempre come leoni, e non a caso le squadre allenate da lui sono storicamente capaci di rimontare svantaggi anche pesanti nel corso delle partite. Pitino nel corso della sua vita ha affrontato molte difficoltà e molti lutti (li trovate alle voci Figli, Minardi e Scandali) e da questi ha sempre detto di avere trovato la forza per rialzarsi.

Providence. Nella finale del Southeast Regional del 1987, Providence affronta Georgetown (testa di serie n°1). La squadra di Pitino vive e muore col tiro da 3 (Billy Donovan è il killer della squadra) e tutti si aspettano l’ennesima prestazione corri-e-tira dei Friars. Invece Pitino imposta una partita andando a colpire gli Hoyas dentro l’area, e Pitino riesce a motivare i semi-sconosciuti Darryl e Steve Wright che sfoderano la partita della vita. Si chiama outcoaching, ovvero la capacità di preparare la partita meglio dell’allenatore avversario.

Piccolo particolare: 13 giorni prima della gara Pitino ha perso un figlio, Daniel Paul (vedere alla voce Figli). La sua etica del lavoro però è superiore e dalle disgrazie (ripeterà spesso nel corso della sua vita) ricava motivazioni. Providence vince 88-73 e l’America inizia a capire che l’ometto che veste firmato di basket ci capisce. Il lavoro fatto in due stagioni a Providence è talmente incredibile che Pitino viene chiamato dalla Nba.

Quaranta. Nel 2014 Pitino compie 40 anni da allenatore. Inizia la carriera all’università di Hawaii nel 1974. L’anno dopo il capo allenatore viene esonerato e lui assume l’interim della squadra. Interim che dura poco perché nel 1976 passa a fare l’assistente a Syracuse (chiamato da Boeheim), dove rimane fino al 1978. Il suo primo incarico da capo allenatore è con Boston University dal 1978 al 1983, dove inizia a utilizzare la difesa press.

A quel punto fa la sua prima esperienza in Nba, come assistente dei New York Knicks (Hubie Brown è l’head coach). Dopo gli anni da assistente torna al college a Providence dove arriva la prima Final Four con una squadra sulla quale tre anni prima non avrebbe scommesso nessuno. Dal college a quel punto fa il grande salto e diventa capo allenatore dei Knicks dall’87 all’89 (dove allena Rick Carlisle, a proposito di epigoni). L’esperienza si chiude con più luci che ombre ma lui sceglie di tornare al college per 10 anni indimenticabili a Kentucky. Da lì una nuova esperienza Nba con i Boston Celtics (dal 1997 al 2001), negli anni cestisticamente più frustranti per Pitino che sostiene tutt’ora di essere stato poco compreso. Probabile che la Nba non faccia per lui, e così il coach della disciplina ritorna nel rassicurante mondo delle università e sceglie Louisville.

Reclutamento. Nelle recenti classifiche sui 10 migliori reclutatori di tutti i tempi Pitino non è citato. Possibile che l’unico coach che ha vinto il torneo Ncaa con due squadre diverse non sappia reclutare. No, non è possibile. Le classifiche tengono conto dei “nomi” che vengono reclutati.

Chi si aggiudica il prospetto n° 1 della nazione è considerato un grande reclutatore, quindi in classifica trovate allenatori come John Calipari, coach K o il compianto Dean Smith. Pitino recluta in altro modo.

Abituato da sempre a vincere con il materiale a disposizione, ha identificato uno stile di gioco unico nel panorama del college basket e recluta scegliendo appositamente giocatori con determinate caratteristiche: capacità difensive, atletismo, velocità, verticalità. Dal punto di vista umano cerca dei leader, ma anche dei giocatori capaci di sacrificarsi per la squadra. Perché il collettivo per Pitino è fondamentale. Ci fosse una classifica di “vittorie/talento a disposizione” la corsa di qualsiasi coach contro Pitino non inizierebbe nemmeno.

Scandali. La vita di Pitino non si fa mancare nemmeno gli scandali. Il primo riguarda i suoi primi anni alle Hawaii. Nel 1989, quando Pitino sta firmando con Kentucky, viene fuori un articolo nel quale emergono delle irregolarità riscontrate nei reclutamenti dell’università quando Pitino era assistente. E Pitino in persona sembra coinvolto in 8 dei 64 casi di infrazioni riscontrate dalla Ncaa.

Anche in questo caso aneddotica e racconti si sprecano. La sostanza è che l’allora presidente dell’università di UK, David Roselle, chiede un colloquio con il coach che ha scelto per il rilancio del college. Gli parla in maniera franca. Gli dice che crede in lui e che se quelle storie riguardano un ruolo marginale avuto 10 anni prima alle Hawaii lui può reggere la pressione. Le dichiarazioni di Pitino su quei fatti sono sempre state ambigue, una sorta di “non mi interessa quello che dicono” che però è diverso da “non ho mai fatto niente”. E’ probabile che abbia commesso, allora, qualche errore.

Allo stesso modo sembra che, quanto a reclutamenti, non ne abbia più commessi nel resto della sua carriera. Il secondo scandalo riguarda la sua vita personale ed è più recente. Nel 2009 Pitino denuncia un tentativo di estorsione e fa arrestare Karen Cunagin Sypher, donna con la quale ha avuto un rapporto occasionale che inizia a ricattarlo. La ex modella finisce in carcere, ma questo non evita a Pitino di dover rivelare in tribunale (e quindi ai media) i retroscena dell’intera vicenda che non fanno piacere a quella parte di America (che esiste) puritana.

Tiro da 3. Le squadre di Pitino tirano molto dall’arco, in alcune stagioni esasperano davvero l’uso del tiro da 3. La logica porterebbe a pensare che quindi il coach vada a pescare al liceo grandi tiratori. E invece non è così, non proprio. La filosofia del basket di Pitino prevede che si giochi così in velocità che il tiro da 3 viene spesso preso senza che l’avversario abbia adeguata copertura o posizionamento a rimbalzo. Le ali e i centri di Pitino, molto atletici, permettono di essere aggressivi a rimbalzo.

Il risultato, come è accaduto con Louisville nella stagione 2013 è che le squadre di Pitino non sono quelle che tirano meglio come percentuali, ma fanno un utilizzo del tiro da 3 particolare, che le rende in ogni caso pericolose dall’arco. Certo, i buoni tiratori non mancano e non a caso nei suoi due titoli Ncaa il premio di MOP va a grandissimi tiratori. Tony Delk nel 1996 (che scardina dall’arco la difesa a zona di Syracuse) e Luke Hancock nel 2013 che sigla una clamorosa rimonta nel primo tempo contro Michigan.

Umass. Tanto per cominciare Massachusetts è l’università che Pitino frequenta da giocatore. Anni dopo Umass rappresenterà un passaggio cruciale della sua carriera da allenatore. Nel 1996 la Kentucky allenata da Pitino disputa una stagione memorabile e perde solo 2 partite in tutto l’anno. Una delle sconfitte arriva a inizio stagione contro Massachusetts (allenata da John Calipari). La coppia di guardie di Umass, Edgar Padilla e Carmelo Travieso, riesce a superare la difesa press tutto campo di UK. Ironia del bracket, le due squadre finiscono nella stessa parte del tabellone al torneo Ncaa e si affrontano in semifinale alla Final Four.

Una partita dal sapore davvero speciale: da una parte Umass di Calipari, Padilla, Travieso ma anche Marcus Camby, dall’altra una mezza franchigia Nba con Ron Mercer e Antonie Walker a guidare la truppa del talento. La voglia di rivincita di Kentucky ha la meglio e la vittoria contro Massachusetts spiana la strada a Kentucky per il titolo. E a Pitino per la Nba.

Vittorie. Partiamo da Boston University, record 91-51 dal 78-79 all’82-83 con un bel 40-19 nelle ultime due stagioni e due vittorie della conference America East. Andiamo a Providence. L’anno prima del suo arrivo 11-20, con lui 42-23 in due anni con 25-9 nella seconda stagione in cui porta il college alla Final Four. A New York il record è 103-80 (57-34 nella seconda stagione) porta i Knicks per due volte ai playoff e al titolo della Atlantic Division nell’88-89.

A Kentucky forse vince anche meno di quanto potrebbe. Chiude con 219-50, Final Four nel 1993, Elite Eight nel 95, titolo nel 96 e finale nel 97 (giocata con Derek Anderson infortunato). A Boston il periodo più duro: 102 vinte e 146 perse dal 97-98 al 2000-2001. Il momento clou di quegli anni è il discorso che potete leggere alla Y. A Louisville il record è 310-111, con i Cardinal che prima del suo arrivo non erano mai stati a una Final Four. Totale al college 662 vittorie e 235 sconfitte, totale in Nba 205-226.

Ware. Le foto dell’infortunio della guardia Kevin Ware resteranno di sicuro le più rappresentative del torneo Ncaa 2013. Il rapporto tra Pitino e il suo giocatore merita un piccolo approfondimento. A gennaio esce un comunicato dell’università di Louisville che dice che Ware è sospeso dalla squadra “a tempo indeterminato” per scelta di Pitino.

Nei forum circolano moltissime indiscrezioni, ma non viene mai fornita una versione ufficiale. Si sa solo che Ware è fuori squadra. I detrattori di Pitino ne approfittano per ricordare i suoi modi “a volte troppo duri”. Un mese dopo, questa volta senza comunicati ufficiali, Ware rientra in organico. Cosa sia successo nello spogliatoio nessuno è in grado di spiegarlo per davvero. Ma è possibile che le eventuali frizioni abbiano rinsaldato il rapporto.

Le lacrime di Pitino quando si accorge della gravità dell’infortunio del suo giocatore (e dice a Ware di non guardare), proprio per questo hanno un sapore speciale. In cambio Ware regala a Pitino la più bella favola della sua vita da allenatore. Un giocatore che dopo un infortunio terribile dice ai suoi compagni: vincete per me. E la squadra che reagisce conquistando il titolo in rimonta ed entrando nella storia.

Yastrzemski. Tutti gli articoli che parlano di Pitino ricordano il fatto che prima dell’esperienza a Boston, non aveva mai fallito. Il coach non è abituato a perdere e ad essere criticato. Ma Boston perde e lui è nel centro del mirino. I media di Boston mettono (comprensibilmente) sotto pressione la sua gestione ma lui non ci sta.

A un certo punto Pitino sbotta e si produce in un discorso (in cui cita i fischi dei tifosi all’indirizzo dei giocatori dei Red Sox Jim Rice e Carl Yastrzemski) diventato famoso e diventato il discorso per antonomasia da quelli che vogliono spiegare che restare ancorati ai fasti del passato spesso è deleterio.

“Larry Bird is not walking through that door, fans. Kevin McHale is not walking through that door, and Robert Parish is not walking through that door. And if you expect them to walk through that door, they’re going to be gray and old. What we are is young, exciting, hard-working, and we’re going to improve. People don’t realize that, and as soon as they realize those three guys are not coming through that door, the better this town will be for all of us because there are young guys in that (locker) room playing their asses off. I wish we had US$90 million under the salary cap. I wish we could buy the world. We can’t; the only thing we can do is work hard, and all the negativity that’s in this town sucks. I’ve been around when Jim Rice was booed. I’ve been around when Yastrzemski was booed. And it stinks. It makes the greatest town, greatest city in the world, lousy. The only thing that will turn this around is being upbeat and positive like we are in that locker room… and if you think I’m going to succumb to negativity, you’re wrong. You’ve got the wrong guy leading this team.”

 

Zona. All’inizio della sua carriera Pitino difende a uomo (si può leggere anche alla voce Jim e John). Ma gli anni da assistente di Syracuse e gli anni nella Big East gli permettono di sperimentare la zona. Zona che all’inizio viene utilizzata fondamentalmente quando schiera la press a tutto campo, ma che soprattutto con Louisville diventa una terribile zona match-up a metà campo, molto difficile da attaccare e interpretare.

E’ una zona nella sostanza, ma con moltissimi adeguamenti a uomo e con trappole predisposte in alcuni punti del campo. Oggi le squadre di Pitino sono tra le poche a poter difendere sia a uomo sia a zona e di conseguenza sono molto abili nell’attaccare entrambe le difese. Per fare un esempio recentissimo: Pitino vince la finale Ncaa 2013 sicuramente grazie alla prestazione di Luke Hancock, ma anche grazie al cambio di difesa (preparata a tavolino) da zona a uomo.

Da www.ncaabasket.net (Twitter: @ncaabasketnet)

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