fgcucel6896Coach Andy Einfield fa fatica a parlare sopra il clamore dei tifosi. “Nella prossima partita… (pausa) incontreremo Florida”.

Appena sentono nominare Florida, prossima avversaria al torneo, partono i buu, le grida e i fischi. Il coach non fa in tempo a riprendere la parola che si alza il coro “Fuck the Gators”, l’equivalente di “Florida vaff…”.

I tifosi sono eccitati, la squadra del loro college è appena entrata nella storia: giocherà nelle Sweet 16 del torneo Ncaa contro i cugini, la famosa e blasonata Florida. Loro invece sono quelli poveri, gli Eagles di Florida Gulf Coast, ma la loro storia assomiglia tanto a una favola. Una di quelle che ad ascoltarla non ci si crede. Di quelle che “solo in America”.

A partire dall’idea di fondo del programma cestistico dell’università, che sovverte tutte le regole e l’etica del lavoro del basket Ncaa. Giocare  dev’essere un piacere. Per vincere ti devi godere quello che stai facendo.

“In effetti non ci prendiamo troppo sul serio”, spiega coach Einfield con il sorriso sulla faccia. “Proviamo sempre a divertirci e limitiamo i momenti di serietà a quando è proprio indispensabile”. Che per molti giocatori equivale più o meno a “mai”.

Ogni anno il torneo Ncaa è in cerca della sua Cinderella, una formazione cenerentola che nessuno si aspetta che possa partecipare al grande ballo. Quasi ogni anno c’è una squadra che ci riesce. L’impresa porta quel college sotto i riflettori, ma la fama dura spesso poche partite poi tutto torna alla normalità.

Questa però probabilmente non sarà la sorte di FGCU (l’acronimo dell’università), che è già entrata nel cuore di molti appassionati di basket e lo ha fatto dalla porta principale, vincendo le partite correndo, tirando da tre e soprattutto schiacciando. Un basket spettacolare fatto di danze e alley-oop. Il massimo.

Al torneo hanno sconfitto la quotatissima Georgetown al primo turno. La testa di serie numero 15 che batte la testa di serie numero 2. Bello, ma già visto. L’hanno battuta di 10 punti (già meno visto) e nel finale in uno dei momenti chiave del match, con Georgetown che pressava a tutto campo per recuperare il pallone, hanno battuto il pressing grazie a un alley-oop in corsa tra il play Brett Comer e il lungo Chase Fieler, due giocatori bianchi. Ribattezzato in pochi minuti il miglior alley-oop white-to-white della storia del basket.

Al secondo turno l’atteggiamento degli addetti ai lavori era già cambiato: scettico ma incuriosito. “Vabbè, vediamo sta partita. La loro favola finirà, ma sono divertenti da guardare”.

Invece gli Eagles rimangono divertenti, ma vincono anche contro San Diego State. Diventano la prima testa di serie n.15 della storia del torneo Ncaa a qualificarsi per le Sweet 16, le migliori 16 squadre della nazione. Questo è un record. Questo sì, non si era visto mai.

Tempo tre minuti e i cellulari dei redattori sportivi americani stavano suonando. Immaginiamo le telefonate da parte dei capi “Per domani voglio un pezzo su questi qui di Florida-qualcosa, voglio sapere ogni cosa…”.

E siccome in America sono bravi e amano raccontare le storie (poi le storie come questa non ne parliamo) poche ore dopo su Internet si trovava di tutto su FGCU. E la cosa strepitosa è che le notizie erano una più incredibile dell’altra.

Partiamo dalla sigla, FGCU, che anche per gli appassionati di basket Ncaa fino a 2 anni fa non voleva dire niente. Per forza, l’università manco giocava a basket. O meglio, ci giocava già dalla stagione 2007-2008, ma non era abilitata a partecipare alla postseason, cioè ai tornei di Conference e al torneo Ncaa. Ha iniziato l’anno scorso.

Ma come mai ha iniziato a giocare a basket solo nel 2007? Forse perché essendo l’università nata solo 10 anni prima, nel 1997, all’inizio non dovevano esserci molti studenti e figuriamoci sportivi.

La lista degli alunni famosi di FGCU che si sono distinti nello sport comprende Chris Sale (pitcher nella MLB), Derek Lamely (giocatore di golf) e… udite udite… Courtney Jolly, guidatore professionista di monster truck. Fine.

Il campus però è dotato di spiaggia. Una spiaggia che dà su un lago, ma pur sempre una spiaggia. E le foto che circolano in rete con la vista dalle camere difficilmente farà sbottare in un “che brutta la spiaggia sul lago”. Più facile che il commento sia “Ecco dove dovevo fare l’università”. Gli alunni studieranno anche, ma vedendo le immagini vengono in mente più i Mojito che i libri di fisica. Figuriamoci il basket.

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Passiamo oltre. Il coach della squadra, quello del “non prendiamoci sul serio” è un milionario e sta con una modella. Ma sa allenare? Sì, sa allenare. Intanto Enfield è stato un giocatore di quelli che non sbagliano mai un tiro libero, e poi ha avuto una dignitosa carriera da allenatore: è stato assistant coach per i Boston Celtics e i Milwaukee Bucks. Ma questo prima del 2000.

Con il nuovo millennio ad Einfield viene un’idea: “Lascio il basket e fondo una società”. E così, come se fosse un romanzo, il coach abbandona la lavagnetta e dà vita alla TractManager, che si occupa di “health information”. (Se tutti quelli che hanno appena letto sanno cosa si intende per health information allora DeAndre Jordan non sa schiacciare).

In pratica si tratta di offrire soluzioni di assistenza alle aziende per permettere di semplificare procedure, migliorare i controlli sui processi e (in definitiva) risparmiare i costi. Fine della noia, torniamo alla favola: Einfield diventa milionario.

Ad ogni milionario che si rispetti va abbinata una principessa. Detto fatto. Nel 2003 Einfield incontra Amanda Marcum, modella di Elle, Vogue, Victoria’s Secret e copertina di Maxim. C’è chi racconta che le abbia offerto un taco, chi un passaggio da New York a Boston (per andare a vedere una partita del torneo Ncaa, ovvio). C’è chi insiste che quella maglietta con scritto “possiedo qualche milione di dollari e sono così matto che potrei spenderli tutti per una bella donna” abbia fatto la sua parte. Fatto sta che sei mesi dopo erano fidanzati.

Nel frattempo, dopo soli quattro anni, la TractManager era diventata un piccolo impero. Ed Einfield deve aver pensato “Ok ho avuto quasi senza sforzo quello che molti non realizzano in una vita. Perfetto, adesso torno ad allenare”. Così è stato.

Si torna a Miami. Che poi non è proprio Miami ma Fort Myers, un posto che nessuno sapeva bene dove fosse. Finita la partita contro San Diego State la guardia Sherwood Brown e coach Enfield si sono messi a chattare con Charles Barkley e la truppa di Espn cercando di spiegare dove diavolo si trovasse esattamente il college.

Barkley nel frattempo commenta “Ragazzi siete forti, avete fatto belle schiacciate”. Sherwood quasi si offende: “Belle schiacciate? Quello che avete visto in partita è niente rispetto a quello che facciamo di solito”.

Ed ecco un altro motivo per cui il mondo ha iniziato a tifare per loro: adorano schiacciare. A tutti piace schiacciare, certo, ma per loro è quasi una filosofia.

Il coach di Lipscomb (altra università della Atlantic Sun Conference, dove gioca FGCU) ha detto al New York Times “Il loro riscaldamento prima di una partita in pratica è una mini gara delle schiacciate”. E il fatto, ha aggiunto, “è che schiacciavano tutti. Anche quelli che arrivavano a fatica al ferro, ma erano tutti entusiasti e si divertivano come matti”.

L’allenatore di Stetson (stessa Conference) sostiene che nel corso delle partite tengano una particolare statistica proprio sulle schiacciate. Vero? Chissà. Intanto loro, i giocatori, hanno deciso di ribattezzare Fort Myers e di chiamarla Dunk City. Dopo solo due partite di torneo Ncaa è anche arrivato un rap dedicato proprio a Dunk City. Cos’altro può servire per farli diventare leggenda? Poco, molto poco.

Adesso incontreranno Florida (parte subito il coro: “Fuck the Gators”). La fortissima e solidissima Florida (“Fuck the Gators”) di coach Billy Donovan. Ovvero la squadra che a inizio stagione si sarebbe rifiutata di calendarizzare un incontro con i cugini poveri. Troppo scarsi, deve aver pensato Donovan. E loro se la sono legata al dito. Ironia della sorte: ora si affronteranno al torneo.

Uno squadrone contro una banda di guitti. Una banda che gioca, corre, salta e si diverte. Ma che alla fine vuole vincere. Di solito delle squadre-cenerentola si dice che giocano con grande cuore. Loro no, giocano con la lingua di fuori (a mo di sberleffo) e una sfacciataggine mai vista prima. Danzano, abbracciano le cheerleader durante gli incontri, fanno la danza del pollo agli avversari. Fa tutto parte della filosofia di gioco: allenamenti non troppo duri e grande divertimento.

Hanno tutto. Un giocatore con la faccia da furbo (Brown) che però segna 15 punti a partita ed è leader della squadra anche per rimbalzi (6,6).

Hanno un play bianco, Brett Comer, che sembra un pugile, ma che dà via la palla sempre con i tempi giusti.

Hanno un croato in squadra (Filip Cvjeticanin), un bianco che ama lottare (Chase Fieler) e un’altra guardia (Bernard Thompson) che è tra i primi 10 della nazione per palle recuperate e che nel torneo sta tirando con il 41% da 3 punti.

Hanno un coach milionario, una modella sempre in giro per gli spogliatoi e tutta la nazione, fatta eccezione per i tifosi di Florida  (“Fuck the Gators”), che tifa per loro.

Da www.ncaabasket.net (Twitter: @NcaaBasketNet)

 

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