Sappiamo tutti quello che si dice delle statistiche di marzo in NBA, cioè che contano quanto una moneta da tre Euro. Noi di 7for7 però siamo di manica larga e di bocca buona, intascheremmo più che volentieri anche quella, ragion per cui restiamo sintonizzati sul campionato più bello del mondo anche quando la regular season è agli sgoccioli e i giochi sembrano ormai fatti. D’altronde arrivare ai playoff col vento in poppa, sulle ali di una winning streak importante come quella con cui i Sixers chiusero l’annata 2018, fa tutta la differenza del mondo: in quest’ultima settimana, a fronte di un calo (fisiologico?) di Warriors, Bucks e Thunder, salgono di colpi Rockets, Raptors e Nuggets.

LUNEDI 18 MARZO – A DIRK FOR THE AGES

Continua a permanere una relativa incertezza sugli impegni lavorativi di Dirk Nowitzki per l’anno prossimo. La mobilità sul campo ormai è ridotta al lumicino e le standing ovation tributategli da più o meno ogni arena NBA sanno tanto di ultimo tango, considerata anche la comprensibile commozione con cui il tedesco accoglie gli applausi. Dall’altro lato Nowitzki non ha ancora pubblicato annunci ufficiali, soltanto qualche tweet ambiguo, e interpreta il suo ruolo di mentore con grande professionalità: non ha certo la personalità da istrione di Dwyane Wade, che se ne va in giro per gli States scambiando una maglietta diversa ogni sera. L’arrivo di Kristaps Porzingis a Dallas suscita un sogno audace: vedere il prototipo e il modello definitivo contemporaneamente sul campo, per qualche minuto, e bisognerebbe attendere l’esordio del lettone dopo l’estate. Ma dopo aver visto i recenti video di Tim Duncan, che dopo la pensione si è fatto crescere un cespuglietto in testa e pare divertirsi un mondo con il kickboxing, è comprensibile che a Dirk sia venuta voglia di raggiungere al più presto il rivale di mille battaglie nei locali del dopolavoro.

Com’è, come non è, mentre i Mavericks tankano come se non ci fosse un domani Dirk ne approfitta per scalare qualche gradino nelle classifiche all-time. Il traguardo raggiunto oggi, peraltro con il suo proverbiale jumper in allontanamento, è di quelli importanti: sesto miglior realizzatore di tutti i tempi, scavalcando Wilt Chamberlain a quota 31,420. La settimana di grazia prosegue, perché sabato Dirk segna un season high da 21 punti con 5 triple nella sorprendente vittoria di Dallas in casa dei Warriors.

Tutte le cose belle, prima o poi, finiscono

 

MARTEDI 19 MARZO – ICE IN HIS VEINS

I Brooklyn Nets stanno facendo parlare di sé in questo periodo, e rappresentano una delle storie più brillanti del finale di stagione. La truppa di coach Atkinson è una squadra insospettabilmente divertente da seguire, un gruppo coeso (vedere le esultanze della panchina per credere), giovane e versatile. Salvo tracolli raggiungeranno i playoff, un traguardo che i Nets attendono dai primi anni della gestione Prokhorov e del suo folle all-in sul mercato, e si candidano a mina vagante della Eastern Conference. D’Angelo Russell, ex seconda scelta assoluta al draft, è finalmente sbocciato come leader di Brooklyn (guarda caso in occasione del contract year). In concomitanza col percorso inverso registrato dai Lakers, che hanno concluso in diminuendo scivolando fuori dalla zona playoff, è fin troppo facile fare ironia su come la dirigenza gialloviola si stia pentendo di non aver scommesso su Russell.

Nella notte, i Nets battono i Kings all’overtime mentre D-Lo dà sfogo al suo lato più clutch concludendo con 27 punti nel quarto periodo di gioco e 44 complessivi: è career high. Occhio a questi ragazzi ai playoff, potrebbero regalarci un primo turno assai divertente.

Indovinate chi sta per guadagnare tanti, tanti soldi con il prossimo contratto?

 

MERCOLEDI 20 MARZO – YOU CAN’T STOP EMBIID

Abbiamo già accennato alla streak con cui Philadelphia concluse la stagione 2018, lanciandoli d’inerzia verso dei playoff da protagonisti. Brett Brown e i suoi paiono intenzionati a ripetere il medesimo percorso. Assimilati i cambi di roster in corsa, Tobias Harris pare essersi ben inserito nel gruppo e le gerarchie vanno delineandosi. Persino l’ombroso Jimmy Butler pare aver messo da parte i suoi consueti malumori; lascia l’iniziativa a Simmons ed Embiid per dedicarsi alla difesa e aggredire d’esperienza la partita nell’ultimo parziale di gioco. Questo fattore, va da sè, è importantissimo. Se le quattro stelle giocano all’unisono, il fanta-quintetto costruito da Elton Brand non teme rivali nella lega.

A conferma di tutto questo, nella notte i Sixers portano a casa uno scalpo di lusso, quello dei Boston Celtics. Poca cosa, direte voi, considerando che quest’anno i Celtics sono capaci di battere i Warriors e di farsi umiliare dai Suns nel giro di due giorni. Ma varrà la pena notare che, semifinali playoff dell’anno scorso comprese, Boston si è recentemente affermata come autentica nemesi dei Sixers. Brad Stevens sa come limitare Simmons e come infastidire Embiid, e dispone del personale giusto per riuscirci – aggiungiamo al mix qualche storia tesa tra Marcus Smart, Marcus Morris, JJ Reddick e Joel Embiid e otteniamo una rivalry in the making. Per tre quarti il copione sembrava già visto: i Celtics guidano le danze, i Sixers reagiscono con frustrazione. Poi Smart ha la pessima idea di spingere a terra Embiid, platealmente: gli arbitri intervengono per evitare la rissa, Smart finisce ovviamente sotto la doccia, e il camerunense si sveglia dal torpore. Guiderà la rimonta e siglerà la vittoria di Phila con 37 punti e 21 ennesima prestazione sopra le righe dal suo rientro dall’infortunio. “I’m the most unstoppable player in the league” dirà nel post-partita, impersonando di nuovo il fantasma di Shaquille O’Neal.

Marcus, noi ti vogliamo bene e ti abbiamo pure definito “l’anima di questi Celtics” su queste pagine, ma stavolta hai fatto la frittata

 

GIOVEDI 21 MARZO – JIMMERMANIA IS BACK!

Per chi ama il lato più poetico del basket, oggi è un giorno di festa. Apriamo l’album dei ricordi e cerchiamo la voce “Jimmer Fredette“. BYU, università mormone dello Utah, torneo NCAA del 2011, c’è questo ragazzo bianchissimo, mascelluto e riccioluto che gioca come faceva Steph Curry a Davidson. Passa tutto per le sue mani (non solo palloni da basket, pur con tutti i limiti del morigerato campus di BYU), e i Cougars volano. Al draft lo chiamano alla 10, poi è subito girato ai Kings e la Jimmermania sbarca in NBA. Chi non si monterebbe almeno un po’ la testa, quando intitolano un intero movimento a vostro nome? Jimmer ha qualche difetto che diventa più evidente al piano di sopra (scarso atletismo, playmaking nella media), e forse pecca di vanagloria non riuscendo a migliorarsi di anno in anno. Vaga per un po’ fra trade e D-League, poi l’esilio in Cina. Ma per Jimmer l’oriente non è un ricchissimo purgatorio, bensì la strada per tornare alla gloria. Diventa una leggenda, secondo solo a Stephon Marbury, 37 punti di media a partita con gli Shanghai Sharks, e quest’anno innesta ancora una marcia in più. Ne mette 41 in un’amichevole pre-stagionale contro gli Houston Rockets, infine nell’autunno 2018 si svela ai microfoni (dopo una prestazione da 75 punti – oh, le difese cinesi sono quello che sono): sta dando il 110% per guadagnarsi una chiamata in NBA, perché sente di meritarsela.

Flash forward a marzo 2019. La regular season NBA è agli sgoccioli, quella cinese è finita, e un posto nel roster dei Phoenix Suns non si nega a nessuno. A Jimmer squilla il telefono, gli dicono di fare le valigie per l’Arizona. Sembra la trama con cui si apre l’avventura del vostro avatar in NBA 2K, ma i Suns non si limitano a un gettone da 10 giorni. C’è un contratto da due anni. Siamo di nuovo malati di Jimmermania, e non vogliamo nessuna medicina per guarire.

Tra 2008 e 2011, se volevi avere successo con le ragazze a BYU, le possibilità erano due: o eri il vampiro sbrilluccicante di Twilight, o eri Jimmer Fredette

 

VENERDI 22 MARZO – MADNESS, MADNESS, MADNESS

In questi giorni si apre la March Madness, il tabellone nazionale NCAA, che catalizza le attenzioni degli appasionati proprio mentre l’NBA carica la molla per i playoff. Come al solito scatta la febbre da bracket, e come al solito i pronostici finiscono demoliti in men che non si dica (mentre scriviamo, dopo un turno e mezzo, ne rimangono solo due perfetti). Ci sono Duke, UNC e Gonzaga che passeggiano, c’è Virginia che rischia l’upset da numero uno anche quest’anno, ci sono tantissime storie che aspettano solo di essere raccontate. E c’è Ja Morant, guardia tuttofare di Murray State, che guida i suoi alla vittoria sulla favorita Marquette con una roboante quanto rarissima tripla doppia: 17, 11 e 16. L’ultimo a riuscirvi, in quel contesto, fu Draymond Green con gli Spartans di Michigan State. Dato per scontato un certo Zion Williamson alla numero uno, Ja Morant sta insidiando il canadese RJ Barrett per la seconda piazza nel mock draft. Play/guardia ipermoderna, atletica e aggressiva, potrebbe far gola a chi, come Chicago, cerca un floor generale col fuoco negli occhi.

Il giorno dopo Murray State ne prende 28 da Florida State e fa le valigie. La March Madness è anche questo

 

SABATO 23 MARZO – MOST VALUABLE BEARD

La corsa all’MVP sembra essere diventata un testa a testa tra Giannis Antetokounmpo e James Harden. Se da un lato il greco può vantare un miglior curriculum di squadra (maggior numero di vittorie in NBA, sette posizioni in classifica guadagnate in dodici mesi), dall’altra il Barba sta mettendo in piedi una delle campagne realizzative più imponenti della storia. Per tenere il conto dei suoi punti segnati e dei suoi record infranti tocca chiamare in causa nomi come Michael Jordan, Kobe Bryant, Elgin Baylor – una discreta compagnia. Ma non ci sono solamente i 36.5 punti di media, ça va sans dire: triple doppie, assist a dozzine, un impressionante controllo sulle partite e un record di squadra che, sebbene inferiore a quello 2018, è abbastanza ricco da incutere timore ai Warriors.

In settimana, Harden sale sul palco e rafforza la campagna elettorale con un comizio assai convincente. Prima mette a segno 31 punti contro Atlanta: una banalità, direte voi, ma Harden ha rifilato almeno 30 punti a ogni franchigia NBA questa stagione e gli Hawks erano l’unica squadra che mancava alla lista. Poi ne arrivano 57 a Memphis e infine 61 per pareggiare il career high – contro gli Spurs per giunta, che non hanno mai concesso 60 punti a un avversario sotto la gestione Popovich. “Chi può fermare James Harden?” hanno chiesto a coach D’Antoni dopo la partita. “Solo io. Mettendolo in panchina”.

Ma non ne aveva già messi 61 a gennaio al Madison Square Garden?

 

DOMENICA 24 MARZO – IN TRE SI È IN COMPAGNIA

Chiudiamo la settimana con una lieta notizia: auguri a Will Barton, dei Denver Nuggets, che diventà papà. Poi, dieci giorni dopo, diventa papà una seconda volta. Non è un parto gemellare particolarmente lento: è che nove mesi fa il buon Will doveva essere parecchio in forma e ha lanciato il game-winner a fil di sirena con due donne diverse. Ci sembrava importante riportare il fatto, visto la condotta amorosa libertina è tradizione nobile e ben radicata in NBA: se Lou Williams è notoriamente bigamo, Tristan Thompson punta addirittura all’eptagamia. Per non parlare di Dwight Howard che deve aver capito male in cosa consistesse il 5×5, la ricca statline che tanto piaceva ad Andrei Kirilenko, e ha finito per fare cinque figli con cinque donne diverse.

Alla voce professione delle due mamme c’è scritto “modelle di Instagram”, ma vista la sobrietà io abbonderei con le virgolette

BONUS TRACK. Meno di 48 ore fa, sotto di 18 punti all’inizio del quarto quarto nella partita casalinga contro i Boston Celtics, gli Charlotte Hornets erano virtualmente fuori dai playoff NBA. Oggi, dopo la furiosa rimonta guidata dai 36 punti di un indemoniato Kemba Walker ma soprattutto dopo questa magia sulla sirena sfoderata questa notte da Geremia Agnello (al secolo Jeremy Lamb), gli Hornets ci credono ancora.

Due gare di distanza dai Miami Heat a nove partite dalla fine della regular season: Charlotte, 7for7 fa il tifo per te!

Boom baby!

 

Anche questa escursione di sette giorni nel mondo NBA si è conclusa. Tra una settimana troverete su queste pagine il buon Giorgio Barbareschi – sempre che nel frattempo lui non vinca il fantaNBA ed esageri coi bagordi. See ya!

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