L’NBA si è presa una bella pausa rigenerante: prima le festività dell’All Star Weekend, in un’edizione abbastanza povera di contenuti se escludiamo una gara da tre punti con risultati altissimi, poi qualche giorno senza partite prima del rush finale verso i playoff. Anche noi su 7for7, dunque, ne approfittiamo per tirare le somme di questa prima parte di stagione (o forse siamo solo molto pigri). Vi proponiamo i 7 migliori momenti delle 18 puntate che avete passato in nostra compagnia, i nostri personalissimi momenti All Star insomma – solo che qui la giuria è composta da sue soli membri e non c’è rischio di incastrarsi tra voto degli spettatori e quello degli esperti. Si parte col recap del recap – più un piccolo bonus alla fine!

DOMENICA 28 OTTOBRE – DEANDRE JORDAN IS DEAD

Per chiudere la settimana vorrei condividere con voi una scoperta sconvolgente: DeAndre Jordan è morto ed è stato sostituito da un sosia. So che detta così potrebbe sembrare una follia, ma è l’unica spiegazione logica che ho trovato per giustificare il fatto che DAJ, titolare di una media in carriera ai tiri liberi che recita un impietoso 45%, abbia sviluppato una meccanica di tiro tecnicamente perfetta da far invidia a Ray Allen.

L’84,6% con cui sta convertendo i tiri liberi in questa stagione lo pone al 14esimo posto assoluto nella NBA (tra coloro che ne hanno tirato almeno 20), davanti a gente tipo Jimmy Butler, CJ McCollum o addirittura Kemba Walker). Nessuna motivazione razionale è in grado di spiegare come uno che tirava così solo fino a due anni fa dal 18 ottobre ad oggi abbia realizzato 26 liberi su 30, compreso il 4/4 di stanotte contro gli Utah Jazz e un 8/9 contro dei sicuramente increduli Toronto Raptors.

Ripeto, la sostituzione di DeAndre con un sosia è l’unica spiegazione possibile… d’altra parte la stessa cosa è già stata fatta con Paul McCartney, quindi il tutto è perfettamente plausibile. Vero?

Dai su, si vede che si tratta di una persona completamente diversa…

 

GIOVEDÌ 15 NOVEMBRE – CHI HA INCASTRATO CARMELO ANTHONY?

Mentre i Rockets, come detto, battono i Warriors in una poco entusiasmante rivincita delle finali di conference 2018, la notizia più importante arriva dagli uffici. Dopo qualche giorno di voci di corridoio, mezze conferme e mezze smentite, Carmelo Anthony viene ufficialmente tagliato dal roster e finisce a piede libero. La sua permanenza in Texas è in effetti coincisa con un pessimo stint per i Rockets, sia per i risultati che per il gioco espresso, ma visti i crolli difensivi e l’infortunio di Harden non sarebbe giusto addossare ogni responsabilità a Carmelo. Quel che è certo è che Anthony si è rivelato un fit approssimativo in un attacco che pure poteva coinvolgerlo in numerosi isolamenti: basta selezionare qualche video per notare la sua scarsa applicazione tattica, o scorrere le statline per incappare in prestazioni da 1-11 dal campo, come nella sconfitta contro OKC. Ci sono anche i 28 punti con 6 triple centrate contro Brooklyn, certo, ma i motivi dietro all’allontanamento di Anthony sembrano più caratteriali che tecnici. La sua insofferenza nell’accettare il ruolo di riserva, i problemi di convivenza con gli altri leader (Chris Paul, secondo le indiscrezioni), la sua incapacità – difficile dire fino a che punto volontaria e fino a che punto condizionata da limiti tecnici e fisici – nell’adeguarsi ai dettami di una NBA che è cambiata rispetto al 2003 (per inciso, se prendiamo gli eroi di quello storico draft, con Wade al farewell tour e altri già ritirati, la continuità dell’alieno LeBron appare ancora più impressionante).

Alcuni, come Tracy McGrady, credono che sia tempo per Melo di chiudere la carriera, prima di peggiorare ulteriormente una reputazione che ha subito numerosi colpi, tra gli ultimi scampoli di New York e l’annata in Oklahoma. Altri ex-giocatori, come Stephen Jackson, vedono in Melo un capro espiatorio, ingiustamente bistrattato. Un po’ per noblesse oblige e un po’ credendoci davvero, stelle come LeBron e Wade difendono il buon nome di Anthony e sostengono che abbia ancora qualche cartuccia da sparare, ma la domanda è: lo vorrebbero nella loro squadra?

Qui a 7for7 siamo bravi con Paint come Melo è bravo in difesa, ma almeno conosciamo i meme

MARTEDÌ 27 NOVEMBRE – PRETTY BORING

C’è una vecchia favola che racconta di come la volpe, che non riusciva a saltare abbastanza in alto da prendere l’uva, se ne andò dicendo “che importa, tanto è acerba”. In settimana, il coach dei San Antonio Spurs Gregg Popovich, che in quanto a status da vecchio saggio ha poco da invidiare a Esopo, se n’è uscito con l’ennesima critica alle tendenze attuali nel gioco NBA, in particolare con la crescente importanza del tiro da tre punti.

“Non è più pallacanestro, non c’è più bellezza. È tutto piuttosto noioso”

Si fa pour parler, perché ogni opinione argomentata è valida – specialmente se viene dalla bocca di un tale intenditore, ma varrà la pena considerare che gli Spurs viaggiano sotto il par a cui ci avevano abituati, messi in crisi dagli infortuni e obbligati ad aggiornarsi al volo con un Derozan in più e un Leonard in meno. Dietro al record di 11-12, penultimo in una comunque equilibratissima Western Conference, si nasconde anche la difficoltà nell’adattarsi ai ritmi di gioco odierni: ventiquattresimi per pace (l’anno scorso furono ultimi), ventinovesimi per tiri da tre tentati e realizzati. E varrà la pena anche notare che tanti dei successi più recenti, come l’anello del 2014, gli Spurs li hanno ottenuti proprio convertendosi con grande scioltezza alla filosofia del tiro da tre punti: partiamo da Bruce Bowen tra i primi ad abusare della tripla dall’angolo, passiamo dal Danny Green scatenato dal perimetro nelle Finals 2014, finiamo con Kawhi Leonard che ha cambiato marcia quando è diventato un affidabile tiratore dalla distanza. Una volta qui era tutta campagna, Pop, lo sappiamo, ma facciamocene una ragione.

Popovic trollato da Steph: i due hanno opinioni un filino divergenti sulla materia

VENERDÌ 14 DICEMBRE – L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI BROOKS

Chiudiamo questa parentesi sul basket giocato e torniamo subito alle chiacchiere da spogliatoio – o in questo caso, da ufficio. Ernie Grunfeld, General Manager dei Washington Wizards, deve aver letto le ultime puntate di 7for7 dove spiegavamo che proprio i Wizards e i New York Knicks si contendevano il titolo di nostra squadra-feticcio. Il buon Ernie deve aver individuato nell’amore della nostra redazione l’unico premio a cui la sua squadra potrà ambire in questa stagione, e ha deciso di dare una robusta spallata alla concorrenza avviando questa genialata. Ecco i fatti, presentati cronologicamente dal sempre puntuale Adrian Wojnarowski.

I Phoenix Suns, abbandonata ogni velleità, hanno messo Trevor Ariza sul mercato per accelerare il rebuilding. Andrà sicuramente a rinforzare qualche contender, si pensava, o magari ai Lakers che lo accoglierebbero a braccia aperte. Invece, per motivi indecifrabili, nella trattativa s’inseriscono di prepotenza i Wizards e imbastiscono una trade a tre squadre per far quadrare i conti. Alle 20:09 Woj twitta il piatto forte dello scambio: Ariza a Washington, Kelly Oubre e Austin Rivers a Memphis, scelte ai Phoenix Suns. Alle 20:21 eccolo precisare i dettagli: nell’accordo ci sono due scelte al secondo giro più Wayne Selden e Dillon Brooks, tutti diretti in Arizona. Un minuto dopo, il colpo di scena: non è Dillon Brooks, ma MarShon. Quello che sembra un semplice refuso si trasforma rapidamente in un gigantesco equivoco, con Woj e colleghi che si scambiano decine di tweet ad avvalorare le diverse versioni.

Alle 21, la verità. I Suns credevano di prendere Dillon Brooks, invece i Grizzlies avevano offerto MarShon. The deal is dead, twitta Woj mettendo la pietra tombale, ma un GM anonimo aggiunge: forse i Wizards avrebbero dovuto mettere sul piatto coach Scott Brooks, per sparigliare le carte.

Morale della storia: il giorno dopo i Wizards studiano un’altra trade per arrivare a Trevor Ariza spedendo a Phoenix il solo Kelly Oubre, perché quando hai annunciato il rebuilding e messo sul mercato il tuo intero roster il modo migliore per cominciare è accollarsi il contratto di un role player veterano salutando uno dei tuoi giovani più promettenti e regalando qualche scelta al draft. Good job, Ernie.

In quest’immagine esclusiva, l’incontro tra Dillon e MarShon Brooks nello spogliatoio dei Grizzlies dopo l’annuncio della trade coi Suns

 

MERCOLEDÌ 02 GENNAIO – IF YOU SMELL WHAT GIANNIS IS COOKIN’

I Milwaukee Bucks sono l’elite della NBA. Pronunciare questa frase fino a pochi mesi fa avrebbe probabilmente portato ad un TSO obbligatorio, ma oggi è semplicemente la pura e semplice verità. I cerbiatti del Wisconsin stanno letteralmente dominando gli avversari (miglior Plus/Minus, miglior Offensive Rating, miglior Net Rating, miglior True Shooting Percentage, miglior Player Impact Estimate e se volete vado avanti ancora per circa un quarto d’ora) trascinati dalle prestazioni di un Giannis Antetokounmpo che al momento viaggia all’impressionante ritmo di 26.3 punti, 12.6 rimbalzi e 6.3 assist ad allacciata di scarpe.

Merito sicuramente dei suoi progressi tecnici (arrivati anche grazie al supporto estivo di Kobe Bryant) ma anche dello sviluppo fisico avuto dal Greek Freak negli ultimi anni, che gli permette di dominare a centro area come pochi altri sono in grado di fare. Sono quasi 150 le schiacciate già messe a segno in questa stagione da Giannis (che è in lizza con Gobert e Capela per il primo posto assoluto in questa categoria) e la sua percentuale nei pressi del ferro supera il 75%.

Antetokounmpo in questo momento si sente talmente forte da aver sfidato, assieme al compagno di squadra Pat Connaughton, il grande The Rock ad una gara di sollevamento pesi. Nei giorni successivi ad un giornalista che gli ha chiesto cosa succederebbe in un ipotetico match di wrestling tra i due Giannis ha risposto: “I’d kill him“. Personalmente piuttosto che fare a botte anche con The Rock (anche per finta) mi rinchiuderei a vita in un monastero di clausura, ma contento lui…

C’è ancora del lavoro da fare ma Giannis è decisamente sulla buona strada

SABATO 12 GENNAIO – STAY HUNGRY, STAY FOOLISH

Giorni movimentati per Enes Kanter. Prima l’ennesima polemica di natura politica, quando il lungo dei Knicks dichiara che non seguirà la squadra nella trasferta londinese (la partita coi Wizards è fissata per giovedì 17) temendo che il presidente turco Erdogan abbia messo in azione le sue spie per catturarlo o, peggio, ucciderlo.

Poi, le voci di una trade, finora non concretizzata, che lo vorrebbero partente in direzione Sacramento.

Infine, per migliorare la propria reputazione e farsi prendere sul serio quando parla di politica internazionale, un bel cheat day finito male. I compagni lo sfidano a mangiare sette hamburger e Kanter certo non si tira indietro; anzi, il tutto viene immortalato su Instagram. Qualche ora dopo il verdetto del gastroenterologo: Kanter salterà l’allenamento e la prossima partita. Causa? Indigestione.

Menzione d’onore della giornata per Blake Griffin che esegue una pregevole mossa Kansas City nel suo ritorno a Los Angeles da avversario. Il proprietario, ed ex-datore di lavoro Steve Ballmer, gli si avvicina nel riscaldamento proponendo una stretta di mano, e lui lo ignora correndo di gran carriera negli spogliatoi. Poi, già che c’è, ne mette 44.

Meglio di Adam Richman quando presentava Man versus Food

GIOVEDI 14 FEBBRAIO – ALLEGORIA DI SAN VALENTINO

I New York Knicks sono al momento l’equivalente NBA di un adolescente che vorrebbe disperatamente andare al ballo del liceo (Finals) ma non c’è verso di trovare una ragazza che accetti il suo invito. Ai precedenti balli ogni tanto è riuscito ad invitare un paio di ragazze, pure carine, ma una volta arrivati alla scuola si sono rivelate assolutamente insopportabili (Anthony), si sono ubriacate in modo indegno (Noah) oppure dopo tante promesse hanno deciso di farsi riaccompagnare a casa da qualcun altro (Porzingis). Al momento il povero adolescente non viene calcolato nemmeno dalla figlia del bidello, ma a guardarci bene abita pur sempre in una bellissima casa in centro (Madison Square Garden) e corre voce che stia per ricevere una cospicua eredità (spazio salariale) per la morte di una prozia molto ricca.

Forte di questa consapevolezza, il ragazzo decide finalmente di tagliarsi quegli orrendi baffi (Hardaway e Lee) che gli stavano veramente di merda, nonostante fossero stati consigliati da un visagista che gli era costato una fortuna (Phil Jackson). Nell’attesa che arrivi il momento per invitare tutte le ragazze più belle (Irving, Durant, Davis) il nostro eroe ha addocchiato una giovane ragazza (Zion) che ancora non è iscritta a scuola ma che, da quello che ha potuto vedere, sembra davvero una bellezza. Decide quindi di farle un regalo di San Valentino sperando che la dea bendata (lottery) lo assista quando sarà il momento.

Insomma… ho messo in piedi tutto sto casino soltanto per introdurre questo meraviglioso video realizzato dal sito americano Bleacher Report che a me ha fatto molto ridere. Godetevelo e Buon San Valentino.

Date un Oscar al creatore di questo video! :-D

 

Una chicca per chiudere in bellezza la settimana. Si, sarebbe ripartita anche la NBA con l’ennesima battaglia all’arma bianca tra Rockets e Lakers (dateci questa serie ai playoff, per favore) e l’ennesimio game-winner di Paul George, ma l’evento dalla più alta magnitudo è stata la sfida NCAA tra Duke e Kentucky. Una partita salita agli onori della cronaca anche per gli elevatissimi prezzi dei biglietti. Motivo? Lo Zion Williamson Show lo vedi una volta sola. Peccato che in questa occasione lo spettacolo è durato trenta secondi; il tempo per il mastondontico Zion per infortunarsi (non gravemente, per fortuna) a causa dell’incredibile “scoppio” di una delle sue Nike. Inutile dire che le azioni della società di Portland abbiano accusato il colpo sul mercato, mentre si impennano le possibilità di Adidas di accaparrarsi la probabile prima scelta del prossimo draft. Sul web, una volta rasserenatisi sulle condizioni di Zion, è stato un fiorire di battute. Un tweet suggeriva che la Nike avesse licenziato il bambino di otto anni responsabile delle scarpe di Zion (stoccata precisissima), ma il campione della settimana è la nostra vecchia conoscenza Carlos Boozer che si prodiga nell’augurare una buona guarigione al giocatore. Solo che in realtà scrive a un parco naturale dello Utah. E questi gli rispondono pure. Tutto, come sempre, molto bello.

 

Il recappone finisce qui, torniamo tra sette giorni belli freschi e riposati con la regular season NBA. See ya!

2 thoughts on “7for7 La Settimana in NBA – Il Recappone dell’All Star Break

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