Ritorni che non ti aspetti, libri dei record e arche della gloria, partite decisive per la corsa ai playoff e qualche simpatica schermaglia fuori dal campo: questo il menu per il nostro lunedì di Pasquetta. Se gli amici vi hanno incastrato come addetti alla griglia e gozzovigliano beati, senza degnarvi di un saluto, mentre voi sfornate salsicce e hamburger come in catena di montaggio, non disperate perché 7for7 ha pensato a voi: asciugatevi il sudore col grembiule da chef, allontanatevi dal fumo del barbecue e gustatevi il meglio dell’ultima settimana in NBA.

 

LUNEDÌ 26 MARZO – IL REBOOT DI MARKELLE FULTZ

Quando ormai l’opinione pubblica pendeva dal lato del “bust” o rimandava il giudizio a settembre, Fultz stupisce tutti: torna disponibile in tempo per i playoff

 

Markelle Fultz è decisamente l’uomo del mistero di questa stagione NBA, tanto che nei suoi confronti si è scatenata una dietrologia da far impallidire la storia delle scie chimiche. Insicuro all’esordio stagionale, con una meccanica di tiro inaccettabile per una prima scelta assoluta e del tutto diversa da quella mostrata al college, lo staff dei Sixers l’ha subito tolto dalla mischia per curare un infortunio alla spalla che, a quanto pare, era stato sottovalutato durante l’estate. Sulla reale entità del problema fisico si è discusso molto, ed è strano pensare che una franchigia NBA si sia lasciata sfuggire un dettaglio così importante sulla salute di un giocatore. A complicare la faccenda le dozzine di video comparse su YouTube a documentare i progressi di Fultz in allenamento: gambe esplosive, grande fluidità in avvicinamento a canestro e anche in tiri dal palleggio, ma ancora qualche ingranaggio inceppato nel tiro da fermo – anche noi l’abbiamo potuto constatare coi nostri occhi, osservandolo nel warm-up di Celtics-Sixers a Londra.

A pochi giorni dalla fine della regular season, con Philadelphia lanciata verso un’otttima posizione ai playoff, ecco la notizia che non ti aspetti. Fultz si sente pronto a ricominciare e coach Brown lo porta subito in panchina, gettandolo poi sul parquet per 14 minuti. Fultz è indiavolato, in breve tempo accumula 10 punti, 4 rimbalzi e 8 assist. Il tiro da fuori ancora non è pervenuto, ma intanto ci ha mostrato un paio di pregevoli pull-up jumper. C’è intesa coi compagni e una ritrovata fiducia nei propri mezzi: un altro passo, seppur piccolo, verso the process.

Il rovescio della medaglia è che due giorni dopo i Sixers perdono per infortunio Joel Embiid, che ha riportato una frattura facciale proprio in uno scontro fortuito con Fultz. Il camerunense ne avrà per 2-4 settimane e salterà l’esordio ai playoff. Philadelphia dovrà affidarsi dunque anima e corpo a Ben Simmons, che intanto ha piazzato l’ultimo sprint verso il premio di Rookie of the Year con una serie di prestazioni da tripla doppia.

 

MARTEDÌ 27 MARZO – LEARN TO PLAY, NOOB

Se le sessioni notturne di videogiochi facessero sempre così bene alla carriera, a quest’ora io sarei telecronista per la ESPN

 

Non esistono più le sane rivalità di un tempo. Se una volta le stelle di squadre rivali s’incrociavano solo sul parquet e si salutavano a male parole, oggi il digitale cancella ogni distanza e può accadere che Ben Simmons e Karl Anthony Towns trascorrano una serata libera giocando insieme a un videogame. I due si trovano ognuno nella propria stanza, ovviamente, ma si cimentano nella modalità cooperativa di un recente sparatutto/survival di grande successo, Players Unknown: Battleground, o PUBG. La sessione di gioco è trasmessa in diretta streaming, con Towns e Simmons impegnati a chiacchierare tra loro e con la chat di spettatori al seguito.

Esatto; se non ve ne foste accorti, ci sono moltissime persone che amano sedersi davanti a un compuer per vedere altre persone che giocano davanti a un computer. E’ solo un aspetto della galassia gaming, in continua espansione e mutamento, anche sul versante competitivo degli eSports: tenete d’occhio il titolo cestistico più famoso a questo proposito, NBA 2K, perché tra qualche tempo assisteremo a tornei forse più appassionanti di una partita media di regular season.

Detto questo, il dato singolare della faccenda è che a un certo punto Towns propone di chiudere il gioco e andare a letto. Da bravo professionista, ha bisogno di riposo in preparazione alla partita dell’indomani. “Ma scusa, contro chi giocate?”, chiede innocente Ben Simmons. “Beh, contro gli Hawks”, fa Towns, quasi imbarazzato, e Simmons già ride sotto i baffi. “Allora puoi stare sveglio a giocare tutta la notte”. In effetti la stagione degli Hawks ha virato verso il tanking già da un paio di mesi; contro i Timberwolves in verità vendono cara la pelle, ma la morale della favola è che Towns segna 56 punti che sono il massimo personale e di franchigia. Due giorni dopo, ironia della sorte, è Philadelphia a battere agevolmente Atlanta.

Insomma, in questo particolare videogioco, la parte del noob è toccata ai malcapitati Atlanta Hawks.

 

MERCOLEDÌ 28 MARZO – LE SETTE VITE DEI BOSTON CELTICS

“Come disorientare una delle difese migliori della lega, vanificare il close-out di Rudy Gobert e liberare un uomo al tiro in dieci secondi”. Dirige l’orchestra coach Brad Stevens. Eseguono i Boston Celtics

 

I Boston Celtics attraversano il momento più sfortunato della stagione, con l’infermeria che si riempie di giorno in giorno. I guai fisici vanno a gravare su un roster che già sopporta l’assenza prolungata di Gordon Hayward, e che ora deve far fronte all’operazione al ginocchio di Kyrie Irving – il suo rientro è previsto per i playoff, ma dall’ambiente trapela una certa preoccupazione. Stanotte fanno visita ai Jazz, tra le squadre più calde del momento, e Brad Stevens è costretto a schierare in quintetto il rookie francese Guerschon Yabusele in sostituzione di Al Horford. Dalla panchina servono poi trenta minuti d’impiego per Shane Larkin e Semi Ojeleye.

Insomma, col secondo posto ormai saldo nel tabellone della Eastern Conference, tutto lascia pensare che Boston debba scendere a miti consigli rinunciando a inseguire Toronto per la prima piazza, ma questi Celtics hanno evidentemente sette vite come i gatti. Superati i postumi di una commozione cerebrale, Jaylen Brown è finalmente pronto a tornare in canottiera verde e si toglie subito qualche sfizio. Con 21 punti è il top scorer di serata, un bottino di tutto rispetto considerata l’arcigna difesa dei Jazz. Dall’arco è perfetto, 3 su 3, compreso il tiro che decide la partita a fil di sirena fissando il punteggio sul 97 a 94. Stevens si conferma eccellente nelle ATO, after timeout plays, disegnando uno schema che libera Brown per una conclusione dalla punta.

Non contenti, sul finire della settimana i Celtics vincono il primo dei due scontri diretti coi Raptors e mettono la freccia per il sorpasso. Ancora una volta in inferiorità numerica, Stevens risolve gli ultimi minuti della partita ingabbiando Toronto in una zona 2-3. Di questo coach, ci sentiamo di garantirvelo, sentiremo parlare ancora per tanti anni.

 

GIOVEDÌ 29 MARZO – MAD KEVIN

Visto che contro di lui gli arbitri tendono ad averla vinta, Kevin Durant sta valutando nuove strategie per la prossima free agency

 

Kevin Durant è un personaggio di difficile lettura. Appena sbarcato in NBA, con quel fisico mingherlino e la faccia pulita, sembrava il classico bravo ragazzo. Sempre corretto in campo, attivo in organizzazione benefiche, è molto affezionato alla madre, e poi guarda, nemmeno un tatuaggio. Poi, col tempo, è venuto fuori che i tatuaggi ce li aveva sul resto del corpo, ma evitava le braccia proprio per non infastidire la madre. Intanto il fisico si irrobustiva e anche il carattere si faceva più tosto.

Il suo rapporto con le critiche è altalenante, fin dai giorni in cui qualcuno in Oklahoma lo chiamò Mr. Unreliable dopo una sconfitta ai playoff. Dopo la scelta di trasferirsi ai Warriors, salendo di fatto sul carro dei più forti, si è dovuto abituare a subirne di continue, e molto più pesanti – vedasi la storia dei cupcake e le diatribe col vecchio amico Russell Westbrook.

Forse come meccanismo di autodifesa, o forse per la vicinanza con un soggetto tempestoso quale è Draymond Green, da quando veste la maglia di Golden State Kevin Durant ha cominciato a dare in escandescenze con gli arbitri, mettendo su una collezione di falli tecnici da far invidia a Demarcus Cousins (14 quest’anno, con cinque espulsioni). L’intero roster dei Warriors, in verità, approfitta del proprio status per atteggiamenti prevaricanti nei confronti dei grigi, e la vicenda è difatti uno dei punti cardine nell’accesa discussione tra la categoria degli arbitri e quella dei giocatori (qui Francesco Arrighi vi accompagna attraverso i dettagli). Sembra che i Warriors, insomma, siano più nervosi di quanto non giustifichi il loro record di 55-21. Qualche preoccupazione, tuttavia, è comprensibile. I Rockets hanno lanciato il guanto di sfida ma gli uomini di Kerr, afflitti dagli infortuni (l’ultimo è quello, pauroso, di Patrick McCaw a cui auguriamo un prontissimo recupero) si sono trovati impossibilitati a rispondere. Lo stesso Durant era appena rientrato da un problema alle costole. Qui, contro i Bucks, perde la calma come Michael Douglas in “Un giorno di ordinaria follia” e dopo appena 17 minuti lascia i compagni nelle grinfie di Antetokounmpo.

 

VENERDÌ 30 MARZO – 867 AND COUNTING

Possiamo, per una volta, smettere col tifo da stadio e lasciare i confronti alla fantasia? Appreciate greatness

 

Noi ci proviamo a pubblicare un episodio di 7for7 dove non si parli di LeBron James. Credeteci, ci proviamo davvero, ma semplicemente non è possibile. Per riuscirvi dovremmo convertire la rubrica in un contenitore tutto dedicato a improbabili teorie evoluzionistiche o a notizie di gossip sulle Kardashian, perché basta avvicinarci alla pallacanestro che la forza di gravità ci attrae inevitabilmente verso King James. Questo è ciò che succede, dicono, in qualsiasi ambito, quando assisti a qualcosa di storico in tempo reale.

E dire che stavolta ci siamo andati vicini. Siamo a venerdì, la settimana è quasi finita, la regular season è agli sgoccioli e siamo tutti col pensiero alle Final Four NCAA: cosa potrà mai succedere in quel di Cleveland di tanto importante? Ve lo spieghiamo partendo da un’altra domanda.

A che punto era la vostra vita il 5 gennaio 2007? Cosa stavate facendo? Io ero in quinta superiore, non avevo la più pallida idea di cosa avrei combinato dopo quell’estate, e tifavo timidamente per i miseri Celtics che di lì a poco avrebbero ingaggiato Ray Allen e Kevin Garnett. LeBron James segnava 8 punti contro i Milwaukee Bucks. Da quel giorno, attraverso 11 anni, non è mai più sceso in singola cifra per 867 partite consecutive, una in più di Michael Jordan. La striscia più lunga di sempre.

A corollario della notizia, c’è da constatare come ogni pagina sportiva che abbia dato spazio all’avvenimento – e in Italia ce ne sono diverse di ottimo valore, anche amatoriali – sia stata sommersa dal solito coro di commenti. Il fronte degli hater però, tutti intenti a minimizzare il record al confronto con le prodezze di Jordan, sembra farsi meno unito man mano che passa il tempo. Noi non possiamo che esserne felici, perché siamo per una visione obiettiva del nostro sport preferito, al di là di simpatie e glorificazione dei tempi passati. Anche questo, dicono, succede quando si vive in diretta un pezzo di storia. Spesso ci si accorge in ritardo delle reali proporzioni, ma non è mai troppo tardi per apprezzare quanto ci offrono gli atleti – e, in questo caso, per essere testimoni.

 

SABATO 31 MARZO – NATALE CON I TUOI, PASQUA CON CHI VUOI

Tutto in famiglia

 

Riprendiamo un attimo il fiato, perché parlare di LeBron James tira fuori il meglio e il peggio di noi. Il momento più divertente della settimana è gentilmente offerto dalla premiata ditta Hardaway, vale a dire papà Tim Hardaway Sr., che attualmente lavora nello staff dei Detroit Pistons, e figlio Tim Hardaway Jr., ala dei New York Knicks. Le due squadre s’incrociano al Garden in una partita che ha poco da raccontare. I Knicks hanno abbandonato il prematuro progetto playoff nel momento esatto il cui il ginocchio di Kristaps Porzingis ha fatto crac: attualmente le loro performance assomigliano a uno spettacolo degli Harlem Globetrotters con estemporanei numeri da circo di Michael Beasley (32 punti stanotte) o di Trey “Allen Iverson” Burke. I Pistons invece sparano le ultime cartucce nel tentativo di scippare l’ottava piazza ai Milwaukee Bucks, ma lamentano comunque l’ennesima stagione sotto le aspettative, rischiarata appena dall’arrivo di Blake Griffin.

Vincono i Pistons, che per l’appunto avevano qualche motivazione in più, 115 a 109. Alla sirena, gli animi sono distesi. E’ la vigilia di Pasqua, dopotutto. Papà Hardaway si alza dalla panchina col sorriso delle migliori occasioni, le braccia già allargate per abbracciare il figliol prodigo; pregusta già l’agnello da consumare in famiglia all’indomani, glielo si legge negli occhi – e nella pancia più prominente rispetto agli anni da giocatore. Junior, però, ha altri programmi. Tira dritto negli spogliatoi senza degnarlo di uno sguardo. La reazione del paparino, pescato per nostra fortuna dalle telecamere, è impagabile.

 

DOMENICA 1 APRILE – HALL OF FAME

Come passano gli anni. Per fortuna, è passato anche quel taglio di capelli di Steve Nash

 

In concomitanza con le Final Four NCAA – peccato per l’eliminazione di Loyola Chicago, Sister Jean è una fan di 7for7 – sono stati annunciati i nomi che comporranno la classe 2018 della Naismith Memorial Basketball Hall of Fame. Jason Kidd e Steve Nash mettono finalmente piede nell’arca della gloria, in cui il tasso di playmaking sarà decisamente più alto a partire da oggi – complice anche l’introduzione di un ragionatore come Maurice Cheeks. Ad accompagnarli c’è Grant Hill, forse non all’altezza degli altri in quanto a risultati, ma la carriera tormentata dagli infortuni l’ha reso un protagonista assai amato dai fan. All’esordio nel 1995, ricordiamolo, fu co-Rookie of the Year proprio insieme a Kidd, e gli analisti lo dipingevano come un giocatore dominante per gli anni a venire. Rimanendo attivo nell’ambiente, anche come presenza fissa in televisione, Grant Hill ha dato modo a tutti di ripensare in prospettiva al suo stile di gioco avanguardistico: possedeva quella fisicità duttile e quello skillset ampio che oggi definisce le migliori ali NBA, con la capacità di marcare più posizioni in difesa.

Qualcuno ha storto il naso anche per l’elezione di Ray Allen – Rajon Rondo, a casa sua, si starà senza dubbio accanendo su una bambola vudù, ma stiamo parlando del miglior tiratore che l’NBA abbia mai conosciuto nell’epoca pre-Steph Curry. Un perenne All Star già dai tempi di Milwaukee, pluricampione NBA e autore di uno dei canestri più iconici degli anni ’10 – quello di gara 6 tra Heat e Spurs

Chris Webber, anche lui tra i candidati, resta a bocca asciutta, ma avrà occasioni per rifarsi – è diventato a sua volta un validissimo telecronista e la giuria non si dimenticherà di C-Webb. Tra i nomi provenienti da fronti esterni alla NBA, segnaliamo Katie Smith e Tina Thompson, stelle della WNBA. I dirigenti Rick Welts e Rod Thorn, il coach Lefty Driesell e persino l’europeo Dino Radja. Tra le donne snobbate per la terza candidatura consecutiva le Flying Queens di Wayland Baptist University, protagoniste negli anni ’50 di una striscia di successi tutt’ora imbattuta, ma arriva un riconoscimento alla memoria di Ora Mae Washington, apripista per le donne di colore tra pallacanestro e tennis.

Menzione d’onore della giornata: Anthony Davis si è rasato il monociglio obbedendo all’esito di un sondaggio su Twitter, ma la natura criptica del video e la concomitanza col Primo d’Aprile facevano sospettare che l’intera iniziativa fosse uno scherzo… come in effetti si è rivelato.

 

Null’altro da aggiungere per questa settimana, sette giorni ricchi di eventi che abbiamo cercato di raccontarvi col solito piglio. Passo il pallone a Giorgio Barbareschi, confidando che non lo perda sulla linea laterale come un Ricky Davis qualsiasi, e vi do appuntamento alla prossima occasione. Fino ad allora, have a nice day!

One thought on “7for7 La settimana in NBA (Ep. 13)

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