La prima settimana di febbraio è ricca di avvenimenti in NBA, tanto che quasi non bastano le sette caselle della nostra rubrica. Tanto basket giocato, i primi botti di mercato e qualche voce di corridoio: il menu ideale per accompagnare le chiacchiere in attesa del Super Bowl, sul quale erano incollati gli occhi di mezza America – nonché di buona parte di voi che ci seguite. Riprendo il testimone da Giorgio, che ci aveva raccontato di una settimana da record, e ci tuffiamo di pancia in un’altra sette giorni intensissima.

LUNEDÌ 29 GENNAIO – BLAKE TO MOTOWN!

Poesia in movimento, made in Whistle Sports

 

Alla faccia delle speculazioni sui giocatori in partenza dei soliti Wojnarowski, Charania e soci, il primo colpo di mercato in odore di trade deadline è un fulmine (quasi) a ciel sereno. I Clippers, che si diceva ascoltassero offerte per DeAndre Jordan, cominciano la smobilitazione dai pezzi grossi e mandano Blake Griffin a Detroit ottenendo due starter, Tobias Harris e Avery Bradley, più qualche asset per il futuro. Per tutti gli aspetti tecnici e salariali della trade, vi rimandiamo all’ottimo articolo comparso a caldo sulle nostre pagine. In questa sede, ci soffermiamo sulle reazioni. Quella dello stesso Griffin, un po’ basita, che a quanto pare ha appreso la notizia su twitter e si è espresso con una GIF. Quella di LeBron James e altri personaggi influenti nella lega, che facevano notare l’ipocrisia dei Clippers: pochi mesi prima avevano convinto Blake a firmare il nuovo contratto puntando forte sul concetto di “Clipper a vita”. Eppure, come si suol dire, il business conosce ragioni che la ragione non conosce.

Intanto, nonostante i timori sul suo adattamento alla fredda e poco ospitale Detroit, nelle prime uscite in maglia Pistons Blake Griffin sta giocando da par suo.

 

MARTEDÌ 30 GENNAIO – 60 + 10 + 11

Si scrive James Harden, si legge MVP – a parte quando ce l’avete contro al Fantabasket

 

Che settimana sarebbe senza un nuovo record stracciato dai Rockets e dal loro attacco fotonico? Russell Westbrook pensava di essere al sicuro con la tripla doppia da 57 punti della scorsa stagione, a superare il vecchio primato di Oscar Robertson, ma James Harden aveva altri piani e sfonda quota 60 con la tripla doppia a punteggio più alto della storia. La difesa degli Orlando Magic, in verità, è uno sparring partner abbastanza morbido, ma in quest’occasione la squadra di Vogel vende cara la pelle e servono un paio di prodezze di Harden in crunch time per risolvere la partita. Quella che sigla il record è la classica tripla in step back, dopo un balletto sul perimetro: un marchio di fabbrica, perfetto da immortalare negli highlights.

Se l’aggiunta di Chris Paul permette ai Rockets di cambiare marcia, e la sua importanza si apprezzerà in misura ancora maggiore nei playoff, le cifre indicano senza indugi quanto Harden resti l’unico barometro della squadra. Quattro volte sopra quota 50, come il resto della lega messo insieme, primo per usage, miglior realizzatore, terzo assoluto negli assist, primo per triple tentate e realizzate. C’è una parola sola per descrivere tutto questo: MVP.

 

MERCOLEDÌ 31 GENNAIO – GOLDEN JAMES WARRIORS

LeBron James e Draymond Green, fianco a fianco come compagni di squadra: la discussione sul numero di maglia sarebbe il minore dei problemi che si troverebbero ad affrontare

 

Chris Haynes, affidabile reporter di ESPN, sgancia la bomba a mano. Se gli Warriors saranno in condizione di liberare sufficiente spazio salariale, nella prossima estate LeBron James potrebbe portare i suoi talenti nella Bay Area. Il clamore che si diffonde per la lega è evidente, e prevedibile. Nasconde anche agli occhi dei più che, in fondo, si tratta di una non-notizia. Haynes dosa le parole con attenzione e gigioneggia col condizionale: LeBron ascolterebbe proposte provenienti da Golden State, scrive, ma è chiaro che un giocatore in campagna di free agency presterà orecchio a tutti i potenziali acquirenti. Nessun dettaglio viene fornito sulla volontà dei suddetti Warriors, che per realizzare il fantascientifico scenario dovrebbero privarsi di almeno uno tra Klay Thompson e Draymond Green, convincere Durant a rinunciare a qualche altro milione sul conto in banca e costruire la panchina con ripescaggi dalla G-League.

Lo stesso James ha freddato gli entusiasmi di chi già spulciava il monte salari alla ricerca di una soluzione, il suo commento sulla faccenda è stato piuttosto piccato. Cosa c’è di vero, in fondo? La puzza di divorzio, in casa Cleveland, è sempre più forte. C’è chi suggerisce che la voce sia stata messa in circolazione dall’entourage di James, magari dallo stesso agente Rich Paul, allo scopo di guadagnare ulteriore leverage nello scontro di potere tra il Prescelto e il proprietario Dan Gilbert. Una frattura che comincia a sembrare insanabile.

 

GIOVEDÌ 1 FEBBRAIO – CLAMOROSO ALLA CHESAPEAKE!

Come diceva Grant Napear: if you don’t like that, you don’t like NBA basketball

 

L’arena di casa degli Oklahoma City Thunder è stata ribattezzata Dunkapeake dopo che il trattamento riservato ai ferri da Westbrook e soci, insieme agli ospiti dei Philadelphia 76ers, aveva reso necessaria la sostituzione dei canestri. Il primo giorno di febbraio, il già infervorato pubblico di Oklahoma City ha un’altra occasione per saltare i piedi quando assistono a una delle partite più spettacolari dell’anno – merito dei Denver Nuggets e della loro tenacia. Nicola Jokic è in una di quelle serate in cui ogni volta che ha palla in mano, c’è da rimanere a bocca aperta. Per lui una tripla doppia da 29, 13 e 14 coi soliti cioccolatini recapitati ai compagni. Suo bersaglio preferito è Jamal Murray, autore di 33 punti e un crossover da antologia su Steven Adams. Appena due settimane prima Murray aveva dato vita a un duello in stile mezzogiorno di fuoco con Devin Booker, stavolta si esalta al cospetto di Paul George. Al di là del talento, Murray diverte perché il suo stile estroso trasuda emozione, ma alle reiterate esultanze del canadese George ha risposto con una gragnuola di triple, 5-8, e 43 punti per un sontuoso 19-26 dal campo. Oltre a questo, l’impatto difensivo a cui l’ex Pacer ci ha abituato. Attenzione: ci ha messo un po’ di tempo, ma Paul George è realmente diventato il valore aggiunto di questi Thunder. Ora che sostiene di aver trovato un’autentica brotherhood nei compagni, un suo addio in estate appare meno probabile.

La costante, invece, è Russell Westbrook, che rasenta l’ennesima tripla doppia in una partita a punteggio altissimo, 127-124, ma per merito degli attacchi più che demerito delle difese. George impatta sul pari con un secondo sul cronometro, Gary Harris si smarca sulla rimessa grazie a un blocco di Chandler che somiglia moltissimo a un fallo in attacco, Westbrook si precipita per il close out (per i benpensanti che sostengono stazionasse sotto al canestro per catturare il rimbalzo numero 10: è evidente che fosse nel pitturato per sventare uno schema con tap-in) ma non fa in tempo, Harris segna il buzzer beater. Gli animi si fanno tesi, e lo stesso Russell si trova a contatto ravvicinato con un fan che aveva messo piede in campo.

 

 VENERDÌ 2 FEBBRAIO – BUONA LA TERZA PER JABARI

Chiunque sia passato da un infortunio lo sa; oltre alla riabilitazione fisica, serve quella mentale per ritrovare fiducia. Nessun problema per Jabari, a giudicare dal decollo

 

Molto si è discusso dei Milwaukee Bucks, specialmente dopo l’esonero di Jason Kidd e i recenti successi che fanno tornare il sorriso in Wisconsin. Ogni argomentazione sul loro conto e sul loro potenziale, tuttavia, dovrebbe contenere una premessa: al netto di quanto successo a Jabari Parker. È facile dimenticarselo, ma prima dell’esplosione del greco le speranze dei Bucks si fondavano sulla scelta numero due al draft 2014, assai promettente sin dalla stagione da rookie, maturato coi giusti tempi e in possesso di un’ottima intesa con lo stesso Antetokounmpo, messa in bella mostra nelle poche partite disputate insieme. Perchè è altrettanto facile dimenticarsi che nella sua pur breve carriera Parker ha vissuto ben tre esordi, distanziati da due rotture del medesimo legamento crociato. Dopo un anno di riabilitazione, si riparte da zero con una bel racconto autobiografico su The Players’ Tribune e un rientro dalla panchina contro i Knicks. Jabari è pieno di energia, spinge con fiducia sul ginocchio operato, va a persino a schiacciare ad altissima quota e solo un fallo di Kyle O’Quinn lo priva del poster dell’anno.

Ad maiora, Jabari. La terza volta, dicono al di là della pozza, è quella buona.

 

 SABATO 3 FEBBRAIO – BOLLINO ROSSO

Difficile crederlo visti i recenti attriti tra i due, ma una volta Kevin Love e Isaiah Thomas erano amiconi – anche se qui sembrano piuttosto il bullo che ti ruba la merenda e la sua vittima preferita

 

Mi ripeto: che settimana sarebbe, senza l’aggiornamento sulla crisi dei Cleveland Cavs? I dottori incaricati del check-up stavolta sono gli Houston Rockets, e il responso non è positivo. 120 a 88 per gli uomini di D’Antoni, una passeggiata sul parquet della Quicken Loans Arena. Al di là del tabellino spietato, i soliti episodi fanno suonare a volume massimo i campanelli d’allarme: rientri svogliati in difesa, amnesie sui cambi, poco movimento senza palla in attacco, sguardi sconsolati, accuse vicendevoli, Isaiah Thomas sempre più frustrato e abbandonato sulla sua isola. L’armatura di LeBron James si è incrinata e nemmeno lui sembra in grado di invertire la rotta. A fine partita si rivolge ai reporter: “non dovrebbero più mandare le nostre partite in diretta nazionale”.

A differenza degli scorsi anni, coi Cavs che si riabilitavano senza troppi patemi dalla crisi di febbraio, l’impressione è che lo spogliatoio non abbia la giusta sintonia per fare fronte comune e reagire, rassegnando anche James a tirare i remi in barca. Principali sospettati i cambiamenti nel roster. Senza considerare il valore tecnico, Isaiah Thomas, Jae Crowder e Derrick Rose non hanno fama di individui con cui è facile trattare. Aggiungiamo gli infortuni, l’ultimo è quello alla mano di Kevin Love, e i cambi di roster – nonché di gerarchie – operati da coach Lue, e la frittata è fatta. Per quanto messo in difficoltà dal record in picchiata, oltre che dalle frecciate di certi suoi giocatori, la posizione del coach sembra salda. A questo punto, attendiamo la trade deadline per una risposta, e non ci sarà da sorprendersi se assisteremo a movimenti importanti.

 

 DOMENICA 4 FEBBRAIO –  AL FOTOFINISH

Non avrà l’eleganza del tedesco di Wurzburg, ma c’è qualcosa che Al Horford non sia in grado di fare per la tua squadra?

 

Di domenica si anticipano gli appuntamenti col basket al matinée, per fare spazio al Super Bowl. Questo significa tante partite da seguire in diretta anche qui in Italia, tra pomeriggio, prima e seconda serata. Lo spettacolo che ci offre l’NBA è davvero un antipasto coi fiocchi per chi resta sveglio ad aspettare l’esito di Patriots-Eagles. Aprono le danze Celtics, ancora privi di Kyrie Irving, e Blazers. Si danno battaglia fino alla sirena finale, col pregevole buzzer beater di Al Horford: il suo movimento patentato, una rivisitazione del fade away à la Dirk Nowitzki. A New York sfida di basso profilo con gli Hawks, ma finale scoppiettante. La spunta Atlanta con una tripla di Bazemore, mentre Hardaway fa e disfa – con una memorabile distrazione collettiva quando cattura un rimbalzo su tiro libero, ma l’avversario doveva tirarne ancora uno, e s’invola in contropiede nell’indifferenza generale.

Pochi minuti dopo assistiamo allo scivolone dei Thunder che si arrendono ai Lakers sul parquet amico. LA domina nel pitturato con Lopez e Randle, OKC fatica a mantenere la continuità in assenza di Roberson e della sua difesa.

Poi è tempo di spostarsi a Minneapolis per il Super Bowl, con Steph Curry a gustarselo dagli spalti. Siccome quando si sgolava per i Carolina Panthers aveva finito per portare sfortuna a Cam Newton e soci, stavolta sceglie un abbigliamento neutro.

 

E anche per questa settimana è tutto, il pallino torna a Giorgio mentre noi ci risentiamo tra quindici giorni. Restate sintonizzati, perché con l’avvicinarsi dell’All Star Game e della trade deadline basta poco per spostare gli equilibri di una stagione ancora tutta da decidersi; e questo è tutto quello che ho da dire su questa faccenda.

 

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