Nuggets, Suns, Warriors, Lakers. I primi quattro verdetti della Western Conference erano, in fin dei conti, i quattro più attesi. Poco conta la regular season: i playoff sono un altro sport. Con le parole di Draymond Green: «Ci sono giocatori da 82 partite, e giocatori da 16». E così vale anche per le franchigie.

È la prima volta nella storia della Lega che al secondo turno si qualifica una squadra per ogni seed. Sintomo che, eccetto rari casi in cui il dominio in stagione regolare è giustificato, panchinare i titolari rinunciando ai playoff non è una scelta saggia.

Nella Western Conference, la situazione è forse più «normale». La testa di serie numero uno, Denver, ha passato il turno. Così come i favoriti al titolo, tali Phoenix Suns. E poi Warriors e Lakers, rispettivamente sesti e settimi nella graduatoria. Si può parlare di upset? No. Semplicemente perché i gialloblu di Steve Kerr sono campioni in carica, e i gialloviola di Darvin Ham sono la migliore squadra NBA dalla tradeline a questa parte.

DENVER NUGGETS (1) VS PHOENIX SUNS (4): 1-0

La serie è già iniziata. Una bella ripassatina delle Pepite d’oro ai Soli del deserto: 125-107. Facciamo però un passo indietro.

Denver viene da una comoda vittoria (4-1) sui Minnesota Timberwolves. Il pronostico era completamente dalla loro. I T’Wolves sembravano la classica squadra che si trova lì per caso. Unico a salvarsi Anthony Edwards, che riesce sempre a stupire pur trovandosi in un sistema completamente smontato dalla trade più scriteriata degli ultimi tempi.

Perché Rudy Gobert lo si può amare e apprezzare quanto si vuole, ma dubito ci sia qualcuno sano di mente che lo valuti quattro prime scelte, una pick-swap, il candidato al Rookie of the Year Walker Kessler, Malik Beasley, Patrick Beverley, Jarred Vanderbilt e Leandro Bolmaro. Per intenderci, KD è stato impacchettato direzione Suns per lo stesso numero di scelte più Mikal Bridges, Cam Johnson e Jae Crowder. Pura follia.

Denver, dalla sua, ha gestito le cinque partite consapevole della sua superiorità. Avrebbe potuto risparmiarsi gara-5 chiudendo con un semplice sweep. Ma non si può avere tutto dalla vita. Ciò che più mi ha convinto è stata la capacità di giocare e vincere agilmente senza un contributo fondamentale di Nikola Jokic.

Jamal Murray sembra tornato la sua versione nella Bolla di Disneyland Orlando. Sono 28.3 punti, con 5.5 rimbalzi e 7 assist a partita. Numeri da stella, quale sta confermando di essere.

Il ruolo di terzo violino è una poltrona per due. Il rientro di Micheal Porter Jr ha garantito ai Nuggets un’opzione affidabilissima al tiro. Il suo 123.3 di offensive rating nei Playoff è il più alto della squadra. Sono 15 i punti si media, esattamente come Aaron Gordon. Un duo che, accanto a Jokic e Murray, offre due alternative: jumperbully-ball.

Grande presenza, ed efficienza, anche da parte di gregari come Kentavious Caldwell Pope e Bruce Brown, entrambi firme estive troppo sottovalutate. Ah, e quando dicevo che Jokic non aveva dato un contributo eccelso intendevo che ha di media 26 punti, 13.5 rimbalzi e 8.3 assist. Niente di serio.

Phoenix si è invece sbarazzata per 4-1 dei Los Angeles Clippers. Sì, Devin Booker si è infiammato che neanche la torcia della Statua della Libertà e sta segnando 35.5 punti a partita. Sì, i Suns possono godere dei servigi di tal Kevin Durant, che non è il miglior tiratore della storia NBA solo perché c’è un signorino che fa di nome Wardell Stephen. Sì, sono la squadra data favorita per il Larry O’Brien Trophy da quasi tutti i big media. Ma a me non convincono molto.

Il 4-1 ai Clippers è rumoroso solo sulla carta. I risultati, eccetto la gara-2 con fuga finale, testimoniano una grande fatica nel superare un ostacolo più che abbordabile. Soprattutto tenendo conto che il solito Paul George ai box e il simpatico menisco di Kawhi Leonard hanno reso Russell Westbrook la prima opzione offensiva. E non il Westbrook di OKC o Houston…

Bisogna essere però oggettivi. Russ ha giocato un’ottima serie registrando 23 punti, 7 rimbalzi e 7 assist di media. L’unico aiuto che ha ricevuto è stato quello di Norman Powell.

Proprio per questo la fatica (sul parquet, non sulla carta) con cui i Soli hanno archiviato la pratica è un campanello d’allarme. E quel 125-107 subito a Denver potrebbe essere la prima crepa visibile nel loro castello di vetro.

DeAndre Ayton sembra il gemello scarso del giocatore che pretendeva il massimo salariale. Se il suo livello di gioco rimane questo, Jokic continuerà a fare quello che vuole sotto il ferro. In gara-1 Joker ha registrato 24 punti e 19 rimbalzi. E se il trend rimane questo…

Jamal Murray ha la mano sempre più bollente, Porter Jr e Gordon si alternano come terzi violini. Phoenix, per ora, non sembra avere risposte nella metà campo difensiva. E se dovessero buttare la serie sul “vince chi segna di più”, non credo sia la migliore idea contro una Denver così fluida.

I Suns sono i favoriti, i Nuggets sono la squadra finora più convincente. Per la Legge di Murphy, appena sceglierò i Nuggets come vincenti, KD piazzerà tre cinquantelli consecutivi e farà ciao-ciao con la manina a Micheal Malone. Ma io finché non vedo non credo

Prediction: Nuggets in 6.

GOLDEN STATE WARRIORS (6) VS LOS ANGELES LAKERS (7)

Adam Silver starà saltando sulla lussuosissima poltrona di casa sua perché i ratings NBA stanno per schizzare alle stelle. La serie delle serie, la resa dei conti tra LeBron James e Steph Curry. Un intrecciarsi di amicizie e profonde rivalità. Con la possibilità di vedere l’anno prossimo alla Crypto Arena uno tra Draymond Green e Klay Thompson in gialloviola.

Su come sono arrivati qui c’è ben poco da dire. I Lakers hanno spazzato via i Grizzlies 4-2 vincendo di 40 punti l’elimination game. Se a qualcuno in futuro venisse in mente di provocare LeBron dovrebbe riguardare la fine che hanno fatto gli Warriors del 2016 e i Grizzlies del 2023.

Ja Morant è stato protagonista altalenante. Jaren Jackson Jr. quasi inesistente, e surclassato da Anthony Davis. Per il resto, tutta quella profondità di panchina che può valere in regular season è scomparsa nei Playoff. Perché quando arrivi a queste partite, non si gioca più a pallacanestro ma a basketball. Lo sport cambia completamente.

Non c’è stata traccia di Desmond Bane, Santi Aldama, Tyus Jones o Luke Kennard. E figuriamoci se è rimasto qualcosa di Dillon Brooks. Forse questa lezione gli insegnerà il detto If you’re gonna talk the talk, you better walk the walk. Walk it like you talk it se preferite la versione dei Migos.

I Lakers sono usciti dalla serie grazie allo straordinario lavoro di Rob Pelinka. Non solo AD e Reaves: Hachimura, Vanderbilt e DeAngelo Russel hanno tutti avuto almeno un momento nella serie in cui hanno trascinato la squadra. Il grande assente? LeBron. Non perché sia scomparso dal parquet, sia chiaro. Ma, forse per i problemi fisici da cui ha affrettato il rientro, non è sembrato il solito Playoff LBJ. Che poi, a 38 anni giocando ben al di sotto delle sue capacità, fa comunque cose del genere.

E viste le sfide passate, il vulcano potrebbe svegliarsi vedendo l’oro di San Francisco. Nel caso mancasse, però, AD si è dimostrato sufficientemente in forma per sopperire a tutte le mancanze. E questo AD è uno spet-ta-co-lo. Poco sopra il 100 in defensive rating, secondo della squadra dietro al 98 di Austin Reaves, ma soprattutto 4.3 stoppate a partita, una immensità.

Dall’altra, gli Warriors sono sopravvissuti a una serie che hanno fatto durare fin troppo. Onore a Sacramento, che con una squadra mediocre è arrivata fino a gara-7 con i campioni in carica. Però, e mi scuso per la Filippica in arrivo, i Kings non sono mai stati neanche vicini al livello di Golden State.

La sfortuna ha fatto la sua parte, rompendo il legamento di un dito a De’Aaron Fox. Rimane però impossibile vincere una serie di questo livello quando il tuo ball-handler principale è Domantas Sabonis, che ha perso palloni dopo palloni semplicemente palleggiando. O quando la contromossa a un Curry in versione semidio è Terence Davis. O quando tiri mattoni dall’inizio alla fine di un win-or-go-home game e le migliori percentuali da tre le hanno il rookie Keegan Murray e il centro di riserva Trey Lyles. O quando non sei in grado di prendere un rimbalzo difensivo che sia uno, e ne lasci 18 offensivi alla squadra avversaria (10 a Looney)

I Kings rimangono però una squadra giovane, alla prima esperienza dei Playoff. E, come ha ben detto lo stesso Draymond Green nel suo podcast, nei prossimi anni bisognerà fare i conti pure con i ragazzi di Mike Brown.

Guardando l’eccitazione verso Warriors-Lakers, rimango un po’ perplesso. Perché per LeBron non c’è nulla in palio se non la possibilità di avvicinarsi al quinto titolo, e questo vale anche per Curry, Klay e Draymond. E sui valori in campo, bisogna davvero discuterne?

Chi marcherà Curry? Vanderbilt? Reaves? E ammesso che in qualche modo si riesca a limitare Steph, chi si cura di Klay? DeAngelo Russel… E poi bisogna tenere conto di Wiggins, che come Thompson ha tirato male nella serie con Sacramento ma può accendersi da un momento all’altro.

L’unico matchup in cui è evidente il vantaggio Lakers è Davis-Looney. E lo è da un punto di vista offensivo e anche difensivo. Rimbalzi? Vedremo, perché il buon vecchio Kevon ha confermato di essere uno dei migliori specialisti della Lega. E avere continuamente extra-possessi è una delle armi vincenti degli Warriors.

Dall’altra, Curry si prenderà uno tra DLo e Reaves. LeBron sarà marcato a turno da Green, Thompson e Wiggins, tutte e tre solide o ottime opzioni. AD-Looney sotto il ferro (sì, non vedo l’ora di vederli sgomitare tra loro). Insomma, i matchup mi sembrano quasi completamente a favore degli Warriors.

L’unico punto debole dei Guerrieri è la panchina. Jordan Poole è l’ombra di sé stesso (ma attenzione, gli basta poco per accendersi). Moody e Kuminga sono due giovani atletici ma con ben poca esperienza. Donte DiVincenzo è un gregario di medio-bassa qualità. Gary Payton II uno specialista difensivo che può essere facilmente tenuto a bada con un po’ di bully-ball. Di contro Darvin Ham può disporre di Rui Hachimura, finora autore di ottimi Playoff, di Malik Beasley, Dennis Schröder e Mo Bamba.

Il problema è che in campo per 40 e passa minuti ci sarà Curry, non DiVincenzo. E se non fermi Steph, la serie non la vinci. Quindi bye-bye Lakers. Con una piccola clausola in piccolo: LeBron permettendo. Perché se torna in sé, we’ve got ourselves a series.

Prediction: Warriors in 5/6

2 thoughts on “NBA Playoffs: cosa aspettarsi dalle sfide della Western Conference

  1. Il regolamento dei playoff Nba mi lascia perplesso: non ha senso che la 6^ in classifica affronti in casa la 7^, mentre la 4^ affronti in trasferta la 1^. Stesso discorso per l’Est.

    Avrebbe più senso utilizzare il sistema della Nfl, che riallinea il tabellone tra il primo e il secondo turno, in modo che la testa di serie più alta incontri sempre la più bassa.

    Denver – Los Angeles e Phoenix – Golden State avrebbero avuto molto più senso. Come dall’altra parte Boston – Miami e Philadelphia – New York.

    Tifo per tutte le squadre che non hanno mai vinto il titolo, quindi, comunque vadano le semifinali, spero che la vincitrice della Western conference esca dalla sfida tra Nuggets e Suns!

    • Hai ragione ma questa non è la NFL bensì la National (Le)Bron’s Association, sicchè tappeto rosso per l’uomo-marketing (e sono 20 anni ormai, cambi di regolamento inclusi, senZa i quali il nativo di Akron sarebbe già in ferie – again).

      Piuttosto, dare l’MVP all’africano Zoppo quando Jokic gioca in tale maniera e Philadelphia senZa Embiid vince a Boston sarebbe una vera cialtronata.

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