Entriamo nella fase decisiva della stagione, quella dove le partite iniziano a pesare un po’ di più. La fase dei verdetti, dei dentro o fuori che segue lo spettacolo – anno dopo anno più squallido – dell’All Star Game.

Per fare pronostici riguardo al piazzamento delle diverse franchigie è troppo presto, in fondo questa NBA è ormai un mischione di squadre di metà classifica. Con qualcuna che riesce a scattare in avanti e allungare per prima, e altre che mollano il piede dall’acceleratore sperando di prendersi il miglior premio di consolazione a fine anno, in questo caso Victor Wembanyama.
Per quanto riguarda i premi individuali, invece, è legittimo avere più di una idea.

Most Valuable Player

Nikola Jokic. Una storia vista e rivista, precisamente due volte nelle ultime due stagioni. Ma c’è poco da fare. L’MVP nasce ed è sventolato come premio della regular season, quindi evitiamoci i vari “non ha mai portato i suoi Nuggets alle Finals” e frasi simili. Avranno senso solo se saranno riformati i criteri di assegnazione del premio, una speranza abbastanza volatile. Il back-to-back MVP della lega ha già registrato 22 triple doppie in questa stagione, 12 più del secondo. Le medie sono spaventose: 24.5 punti, 11.6 rimbalzi e 10 assist in soli 33.5 minuti a partita. Se mantenesse queste medie, sarebbe il terzo giocatore nella storia NBA a terminare una stagione con una tripla doppia di media (dopo Robertson e Westbrook).

Il premio di giocatore più valuable non può e non deve basarsi sulle statistiche. Ma ad un certo punto queste dovranno pur valere qualcosa… Il field goal percentage di oltre 65% è il settimo della lega, dietro ai vari Claxton e Gobert che alla fine o schiacchiano o non tirano. Non stupisce infatti che il serbo sia primissimo in true shooting percentage, 70,3%; Primo in win shares (11.8), PER (31.7), offensive rating (134.7), assist percentage, cioè la percentuale di canestri dei compagni che derivano da un suo assist (47,3%!!). In tutto questo, è secondo nell’intera NBA per numero di assist: 531, solo undici dietro a Trae Young. L’unico altro lungo nella top 10 di assist e Domantas Sabonis, nono con 393. Un dominio confermato e riconfermato dal Joker. Ah, e sta facendo tutto questo con i Nuggets al primo posto nella Western Conference.

Vincendo il terzo MVP di fila raggiungerebbe mostri sacri del calibro di Russel, Chamberlain e Bird. Niente male per un ragazzo grassoccio che non sa saltare.

Ad inseguire: Joel Embiid, Jason Tatum, Luka Doncic, Giannis Antetokounmpo

Defensive player of the year

Qui la questione si fa interessante. Sono rare le stagioni in cui il miglior difensore della lega sia chiaro e lampante a febbraio, ma quest’anno la corsa sembra ancora di più sul filo del rasoio. Al momento, però, lo consegnerei a Jaren Jackson Jr.

Nelle prime 26 partite della sua stagione, iniziata a novembre, sono 86 le stoppate messe a segno dal centro di Memphis. Terzo in NBA per numero di stoppate (136 contro le 139 di Lopez e le 140 di Claxton, che hanno giocato 20 partite in più), primo in blocks per game con 3.2. Dal suo ritorno, la difesa dei Grizzlies si è trasformata, diventando la migliore della lega (109.9 di defensive rating). Ancora migliore il suo rating personale (102.9), primo per distacco. A questo aggiunge anche l’agilità per rubare 1.1 palloni a partita. Credo che questo video riassuma perfettamente il concetto.

Ad inseguire: Nic Claxton, Brook Lopez, Bam Adebayo, OG Anunoby

Rookie of the Year

Un po’ di sano orgoglio italiano, o meglio italoamericano. Paolo Banchero è indiscutibilmente il miglior rookie dell’anno. La prima scelta assoluta da Duke non ha deluso, e soprattutto nella prima parte della stagione ha letteralmente trascinato i suoi Orlando Magic a vittorie insperate.

Le sue capacità realizzative erano note dal liceo, e si sono ritradotte alla perfezione a livello professionistico. 19.7 punti e 6.6 rimbalzi di media, conditi con 3.3 assist. Un numero che non rende onore alle abilità di playmaking, finora passate troppo in sottotraccia.

Benedict Mathurin ha provato per un periodo a riacciuffare il treno per il ROTY, ma il rendimento altalenante nelle ultime settimane ha solo confermato il dominio tra i novellini del nostro, e anche un po’ loro, Paolo.

Ad inseguire: Benedict Mathurin, Jaden Ivey, Jalen Williams, Walker Kessler

Sixth Man of the Year

Sfida tosta, tostissima. Westbrook era un candidato finché indossava la canotta gialloviola, adesso la titolarità con i Clippers ne minerà in maniera consistente la possibilità di vittoria. Brogdon e Poole sarebbero scelte ovvie (il primo sta giocando una stagione a mio parere sottovalutatissima in quel di Boston). La mia idea è un po’ folle, un po’ fuori dalle righe, ma neanche troppo. Si tratta di Malik Monk, uno dei protagonisti della rinascita dei Kings, di gran lunga la più inaspettata della intera NBA.

L’ex-Kentucky è protagonista nella squadra californiana con 14 punti, 3 rimbalzi e 4 assist a partita. Un bottino certamente inferiore a quello di altri papabili candidati. Questa scelta si può capire solo guardando le partite dei Kings: il coinvolgimento, l’abilità di shot creator, il suo atletismo.

Ma anche la sicurezza che la presenta di Lik in campo trasmette ai suoi compagni. E poi, quando serve, anche una bella dose di clutch gene.

Ad inseguire: Malcolm Brogdon, Jordan Poole, Immanuel Quickley, Bobby Portis

Most Improved Player

Anche qui ci sarebbe da scrivere un papiro. Tra Doncic, già stella ma in costante miglioramento, Haliburton, Shai c’è da perdere la testa. Qui, però, voglio premiare la resurrezione di un giocatore dato per morto, e che dal nulla è rinato dalle sue ceneri conquistandosi anche la chiamata all’All Star Game. Ed è proprio il King in the North, Lauri Markkanen. 25 punti, 8 rimbalzi e 1.5 assist a partita in 34 minuti.

Quello che più stupisce della crescita del finlandese non è tanto l’introduzione di nuovi colpi nel suo arsenale, ma la continuità con cui riesce a giocare. Mid-range, schiacciata di prepotenza, tripla da casa sua, dribble sotto le gambe: quest’anno sembra gli riesca tutto. E gli riesce a meraviglia, con una scioltezza e morbidezza nei movimenti che fa innamorare ogni volta che lo si vede. Certo, grazie a Madre Natura è anche in grado di prendere a spallate una intera difesa e spezzare il ferro. Più o meno così:

Ad inseguire: Shai Gilgeous-Alexander, Tyrese Haliburton, Jalen Brunson, Luka Doncic 

Coach of the Year

La risposta qui credo sia ovvia, e corrisponde al nome di Joe Mazzulla. Jacque Vaughn avrebbe potuto insidiarlo, ma lo smantellamento completo dei Nets lo ha automaticamente escluso dalla corsa. E se anche Micheal Malone e Mike Brown stanno facendo un lavoro incredibile, non si può non premiare un first-year coach che a oggi detiene il miglior record dell’intera NBA.

I Celtics avevano iniziato la stagione con lo scandalo interno che coinvolgeva Ime Udoka, poi allontanato. Ora guardano l’intera lega dall’alto, forti del loro 44-17, e forti di una squadra giovane e senza neanche un punto debole. Qualche merito, però, va dato anche a Brad Stevens: prima il furto con cui ha portato Brogdon ai Celts, poi l’acquisto mirato di un lungo tiratore come Muscala. Giù il cappello a tutto il front office. Vedremo se sarà l’anno buono per riportare l’anello in Massachusetts.

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