Sembrava una finestra di mercato tranquilla quella dell’inverno 2023 in NBA. Quando però a frequentare la lega c’è un personaggio come Kyrie Irving la tranquillità ha la stessa vita delle foglie sugli alberi d’autunno di ungarettiana memoria e così malgrado il periodo dei Nets fosse sostanzialmente favorevole e col rientro di Kevin Durant piuttosto vicino, l’ex campione NBA coi Cleveland Cavaliers Kyrie Irving non ha visto soddisfatte le sue richieste contrattuali e ha chiesto così de botto la cessione alla dirigenza di Brooklyn.

Malgrado le prospettive sembrassero vedere Irving ricongiungersi con LeBron James ai Los Angeles Lakers, le cose sono andate diversamente. E così a inchiostrare il giocatore più controverso degli anni Duemilaventi sono stati i Dallas Mavericks, che affiancano così per la prima volta un All Star a Luka Doncic cedendo in cambio ai Nets Spencer Dinwiddie, Dorian Finney-Smith, una prima scelta del 2029 e due seconde scelte del 2027 e del 2029. Ai Mavericks, oltre a Irving, va un Markieff Morris finito ai margini delle rotazioni di coach Jacque Vaughn.

Se Brooklyn ha dovuto fare di necessità virtù a seguito dell’ennesimo colpo di testa della sua (ex) bizzosa star, nettamente diverso è il discorso per Dallas che può ritrovarsi per le mani due campioni assoluti col quale fare il definitivo salto di qualità o implodere rovinosamente sotto i ben noti colpi di testa di Kyrie e dei mal di pancia dello stesso Doncic. A fare da avvocato difensore della dirigenza Mavericks sarà il sottoscritto, mentre l’accusa verrà interpretata da Giorgio Barbareschi, firma di lungo corso di Play.it USA che non ha bisogno certo di ulteriori presentazioni.

Ecco a voi dunque il nostro tentativo di immaginare quanto accadrà a Dallas con l’arrivo del giocatore più imprevedibile degli ultimi anni, mantenendo più di un occhio sulla situazione dei Brooklyn Nets.

PERCHÉ NO (Giorgio Barbareschi)

I Dallas Mavericks sono riusciti ad accoppiare Doncic con un’altra superstar, accontentando le richieste del proprio franchise player di trovare qualcuno che lo avvicinasse a quella terra promessa chiamata titolo NBA.
Dopo aver perso Jalen Brunson nella scorsa free agency, i Mavericks in questa stagione hanno chiesto a Doncic di sostenere un carico offensivo insostenibile. Il suo 38,52% di usage è il quinto dato più alto nella storia dell’NBA. L’attacco di Dallas attualmente cala di circa 12 punti ogni 100 possessi quando lo sloveno va in panchina e la squadra è 1-7 nelle partite in cui non è sceso in campo dal primo minuto.
Una foto che ha fatto il giro del mondo con la disperazione di un Doncic troppo solo

Una foto che ha fatto il giro del mondo con la disperazione di un Doncic troppo solo

Il giocatore ha espresso più volte alla dirigenza, anche se non di fronte ai microfoni, il suo disappunto per la scarsa qualità del roster. I Mavericks volevano quindi un’altra stella, ma trovarne una nella NBA odierna non è così semplice, in particolare per un mercato come quello di Dallas che in passato ha già dimostrato di non essere particolarmente appetibile ai free agent. Realisticamente, l’unica possibilità di ottenere una star era perciò quella di andarne a prendere una con qualche difetto. Nelle scorse settimane sono stati fatti alternativamente i nomi di Bradley Beal, Zach Lavine e DeMar Derozan, ma è soltanto quando Kyrie si è reso disponibile che i Mavs si sono decisi a mettere le loro fiches sul piatto.
La trade che ha portato Kyrie Irving in Texas rende i Mavericks più pericolosi oggi rispetto a quanto non fossero ieri, come hanno immediatamente certificato anche i bookmaker di Las Vegas che hanno fatto scendere la quota del titolo per Luka e soci da 33/1 fino a 10/1. Ma a che prezzo?
Per il privilegio di acquisire il rimanente contratto del terrapiattista più famoso del globo (scusate, mi è scappata) i texani hanno utilizzato una buona parte delle loro risorse più appetibili: un giocatore da 18 punti di media, un 3&D versatile con un contratto team-friendly e una scelta futura non protetta che potrebbe tramutarsi in qualsiasi cosa. Il tutto per acquisire un playmaker di trent’anni, injury prone e incubo di qualsiasi communication manager del pianeta.
Ah, il suddetto soggetto andrà in scadenza a luglio e ha già fatto sapere che si aspetta un rinnovo da circa 200 milioni di dollari (che ovviamente Brooklyn non era disposta a dare). Ma anche dovesse riceverlo dai Mavs è possibile si svegli il giorno dopo e decida, dopo aver insultato quattro o cinque minoranze a caso e sacrificato una capra nella vasca da bagno, che il Texas non gli piace più chiedendo di essere trasferito ad altro lido più gradito.

Secondo varie fonti, a Irving erano interessati Lakers, Suns e Clippers. Tra tutti era LeBron James, in particolare, a desiderare una riunione con il suo ex compagno di squadra. Ma, alla fine, le aspettative del Re sono state nuovamente disattese e gli hanno causato un ulteriore sconforto verso l’operato della dirigenza gialloviola che, as usual, non ha mancato di far sapere all’universo mondo.
Ma ognuno deve fare conto con le proprie delusioni. Personalmente, approcciandomi a questa deadline speravo che in qualche modo la dirigenza texana riuscisse a liberarsi di almeno uno dei due peggiori contratti a roster, ossia quelli di Tim Hardaway Jr. e Davis Bertans. Nada, nisba: quelli son sempre lì a invecchiare (male) al costo di un inopinato numero di biglietti in verde.
Con tutti i soldi che prendi, Davis, fai bene a mostrare questo sorrisone

Con tutti i soldi che prendi, Davis, fai bene a mostrare questo sorrisone

Invece è arrivato Irving, con il suo carico (pesante) di annessi e connessi. A questo punto non so se sperare di aver sottovalutato il valore di lungo termine del giocatore in questione o piuttosto confidare che l’operazione si riveli fin da subito un fallimento, perché in questo modo almeno Dallas rinuncerebbe a offrire a Irving una scellerata estensione contrattuale che intaserebbe il cap per un quadriennio. In quel caso, i Mavericks avrebbero “solo” strapagato qualche mese di affitto di Irving ma potrebbero almeno ripartire con un monte salari un po’ più snello, anche se con meno asset da utilizzare per ulteriori trade (che in realtà potrebbero verificarsi anche da qui a giovedì).

Tirando le somme, da pseudo-proto-finto-semi giornalista quale provo ogni tanto a essere, sono costretto a dire che i Mavericks avessero poche possibilità di migliorare un roster inadeguato anche soltanto a replicare la finale di Conference della passata stagione e hanno colto la migliore disponibile sul mercato, pensando forse di approfittare di una stagione in cui l’Ovest sembra poter essere aperto a possibili sorprese come poche altre volte negli anni recenti.

Da tifoso dei Mavericks, invece, non posso che commentare questa trade con (molto) malcelato disappunto. Certo, Irving è uno degli attaccanti più ammorbanti per talento ed efficacia, e immaginare le difese avversarie a dover contenere lui e Doncic può essere un’idea allettante. Ma il solo pensiero della prossima dichiarazione scellerata di Irving, prima ancora di tutto il resto, basta a farmi ripiombare nella mestizia. Con buona pace di Nico Harrison e Jason Kidd, che oggi si dicono entusiasti della trade ma domani, temo, potrebbero esserlo un po’ meno. 

PERCHÉ SI’ (Marco Mezza)

Una cosa è certa: i Dallas Mavericks si sono presi un gran rischio nel portarsi a casa Kyrie Irving. Ma la situazione dei texani era tale che ci sono gli elementi per considerare questo rischio come necessario.

Dallas si è resa conto in questi mesi che con questo roster non sarebbe andata lontano. Senza aver ottenuto nulla dall’addio di Jalen Brunson il gioco che l’anno scorso aveva portato ai Mavs la finale di Conference non funzionava più, i tiratori sparavano troppo spesso sul ferro i tiri costruiti da Luka Doncic e le alternative quando il fenomeno sloveno era bastonato dalle difese si sono rivelate essere l’inaffidabile Tim Hardaway Jr. e uno Spencer Dinwiddie che ha sofferto oltremodo il passaggio da sesto uomo a titolare.

Chiaro che a Jason Kidd servisse un nuovo giocatore di riferimento da affiancare a Doncic non solo per placare la sete di vittorie dei fans ma anche per non scontentare lo stesso Doncic (che infatti ha avuto l’ultima parola sull’arrivo di Irving) e non correre il rischio che potesse portare altrove i suoi talenti anche prima della scadenza del suo contratto nel 2027.

Il problema è che la situazione contrattuale di Dallas non era delle migliori con vari contratti zavorra (ovviamente Davis Bertans…) e quindi non c’erano troppi margini di manovra. Aspettare la free agency avrebbe significato inoltre quasi sicuramente andare incontro a cocenti delusioni come troppo spesso accaduto in passato quando nonostante l’acquisto di Porzingis i Mavs non riuscirono a prendere nemmeno un qualsiasi Danny Green.

Dallas non è mai stata una meta ambita dai giocatori di peso liberi da contratto, Doncic o no, tant’è vero che il massimo trapelato in casa Mavs riguardo questa finestra di mercato riguardava, e nemmeno senza troppe velleità di riuscire a prenderli, i due Bogdanovic (giocatori di tutto rispetto ma non certo due big) mentre i nomi di Beal, DeRozan e LaVine erano apparsi come un’ipotesi senza troppe basi di concretezza.

Ricordiamo come andò a finire con DeAndre Jordan, vero?

Ricordiamo come andò a finire con DeAndre Jordan, vero?

Così quando si è prospettata l’occasione di prendere Kyrie Irving, su cui Dallas già aveva fatto più di un pensierino in estate, Nico Harrison ha deciso di coglierla al volo non preoccupandosi troppo di perdere Dinwiddie e Finney-Smith con i quali comunque non aveva margine di vittoria e anzi approfittando degli ottimi rapporti tra lui e Irving stesso per sperare che Kyrie porti a Dallas ciò che sa fare meglio: giocare a basket, e bene.

Certo, il nostro Kyrie lo conosciamo tutti e la sua richiesta di trade a ciel sereno è zucchero in confronto a ciò di cui è capace fuori dal campo. Peraltro c’è l’affare Rajon Rondo come precedente negativo pesante per Dallas, che pensò bene di sacrificare mezza squadra per tornare competitiva nell’immediato e invece fu vittima delle bizze di Rondo che l’avrebbero condannata non solo a non vincere, ma a cederlo prima di subito per poi ritrovarsi in una mediocrità interrotta solo dalla pesca di Doncic al Draft.

Sta di fatto che seguendo il modo più ortodosso di portarsi a casa un giocatore importante Dallas avrebbe rischiato di più per tutti i motivi elencati sopra e se Irving fosse stato un signorino serio e morigerato a Dallas non sarebbe andato neanche morto. In questo modo invece i Mavericks mantengono la speranza, rinfocolata dalle ottime prestazioni di Kyrie negli ultimi due mesi, di essere a tutti gli effetti tra le candidate a una deep run convincente nei playoff a fronte della perdita di Finney-Smith, che però sarà tamponata dal rientro di Maxi Kleber (meno versatile ma più affidabile come tiratore) e di Dinwiddie, dal quale si era già tratto il massimo.

Dal punto di vista di Brooklyn c’è poco da dire, siamo di fronte alla fine di un nuovo ciclo fallimentare dopo quello dell’epoca Pierce-Garnett-Johnson. Di fronte all’aut-aut di Irving i Nets non potevano permettersi di perderlo a costo zero a fine anno e tra le offerte hanno accettato quella meno rischiosa dato che accettare Russell Westbrook dai Lakers avrebbe reso ancora più esplosiva una situazione già delicata e prendere John Wall dai Clippers non avrebbe dato troppe garanzie di restare a galla.

Così i Nets ottengono un buon role player come Finney-Smith e il cavallo di ritorno Dinwiddie che è più disciplinato di Westbrook o Wall e meglio disposto a stare uno se non due passi indietro a Kevin Durant che immaginiamo assolutamente non contento di trovarsi uomo solo al comando dopo le prospettive di aggiungere un altro anello personale ai due vinti con i Warriors. 

Va detto che se Durant, a contratto con Brooklyn fino al 2026 per quasi 200 milioni complessivi, si convincesse del progetto Nets quest’ultimo non partirebbe proprio da basi sballate data la crescita costante di Nic Claxton e la presenza di un nucleo affidabile di role players (Seth Curry, O’Neale, Harris…) a cui si aggiungerebbe un altro “soldatino” come Finney-Smith. Il buon KD però non è mai stato troppo disponibile a fare da chioccia a una squadra in divenire e ci vorrà qualche altra firma per indurlo ad accettare la situazione attuale in casa Nets.

C’è inoltre da parlare proprio della questione contrattuale di Irving che i Mavericks non intendono discutere fino all’estate. La situazione appare a mio avviso più favorevole a Dallas di quanto si pensi: se Kyrie funziona non ci sarà motivo di non rinnovarlo contando che a fine anno scadrà anche il contratto di Dwight Powell a liberare ancora un po’ di spazio, altrimenti i Mavericks avranno più margine di manovra e potranno anche proporre un max deal.

Irving tra l’altro si è detto entusiasta di andare a Dallas e fiducioso di poter unire le forze con Doncic per dominare l’NBA. Luka dal canto suo è contento, a quanto pare, dell’approdo di Kyrie; magari un altro progetto Irving-centrico salterà per aria o magari avremo una coppia di esterni devastante per tutti gli avversari.

Sicuri che questa foto non possa spaventare nemmeno un po' le altre 29 franchigie?

Sicuri che questa foto non possa spaventare nemmeno un po’ le altre 29 franchigie?

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