L’aria rarefatta del Colorado è oggi più elettrizzante del solito, grazie alle sensazioni che si respirano nel fortino della Ball Arena, dove i Denver Nuggets versione 2022/23 stanno facendo impazzire i propri tifosi: un nuovo trionfo dopo quello degli Avalanche in NHL l’anno scorso comincia così a prendere corpo!

Dalla trasferta di Portland di inizio dicembre, gli uomini di Michael Malone hanno messo infatti il turbo e iniziato a dominare gli avversari, lambendo nel momento in cui scriviamo il primato generale NBA.

Dopo tantissime stagioni positive fra le 46 e 48 W è però in quella attuale che si vivono le migliori vibes, e i motivi prevalenti sono due.

In primis la Western Conference sembra meno competitiva che in passato, dato che i Lakers non fanno più paura, Golden State è ancora in un lungo rodaggio specialmente on the road e Doncic è tuttora troppo solo. Lo spauracchio principale sono perciò gli Orsi di Memphis, ancora giovanissimi e sbarazzini ma anche sfacciati e sicuri di sé nonostante l’età, e soprattutto profondi come pochi!

L’altra ragione per sognare è la cattiva sorte che finora sta risparmiando Jamal Murray e soprattutto Michel Porter Jr, assoldati assieme ad Aaron Gordon, sostituto di Jerami Grant, per formare un Big Three di “riserva” all’inarrestabile Nikola Jokic, semplicemente l’uomo più decisivo di tutta l’NBA. I dolorosi addii a Morris e Barton fanno quindi meno male e il contributo offensivo dei nuovi Brown e Caldwell-Pope, unito alla crescita di Hyland, sono ottimi segnali.

Nei nuovi gameplan di Malone il 2 volte MVP è il fulcro di qualunque possesso offensivo, e la diminuzione della sua media punti a favore di assistenze e migliori percentuali certifica quanto la sua regia all around venga sfruttata dall’allenatore per coinvolgere e facilitare le soluzioni dal campo sue e del resto del roster.

Potrebbe questa scelta di Malone derivare da un Murray forse ancora fisicamente appannato, troppo spesso innamorato del pallone nonché sempre avvezzo a turnover e in calo statistico nelle percentuali. L’esplosione definitiva a secondo violino di Porter Jr inoltre è ancora ferma al palo, e un corpo martoriato dagli infortuni non ne assevera un’affidabilità certa. Vero, le sue medie da fuori sono sempre una garanzia, al pari degli utili 16.5 punti a partita, ma ciò che il ragazzo da Missouri ha nel suo DNA cestistico lo dovrebbe ergere ad alter ego di Jokic e alternativa primaria alle azioni col serbo in post.

Restano la fisicità e le garanzie difensive di Aaron Gordon a concludere le caratteristiche dei Big Four su cui si è puntato e sui quali già si erano affidate le speranze da titolo due anni fa, prima che l’eccezionale Murray di allora si rompesse il crociato.

Jokic intanto si prende tutta la scena a Denver, persino quando agguanta i rimbalzi e vola in transizione con quell’iconica e goffa falcata animalesca ma infermabile, conclusa quasi sempre al ferro o in assistenza vincente. Oltre all’infinita classe in dote al serbo, la sua dominanza qui in Colorado si nota soprattutto nelle statistiche sugli screen, grazie alle quali Denver segna con più del 50% di probabilità.

Michael Malone anche quest’anno pratica perciò un’ attacco ragionato basato sui possessi in post up (sono i primi NBA) col serbo mattatore, che prevede quindi Jokic fuori dal pitturato, in attesa di avere palla in mano per poi concludere, scaricare o attendere varchi utili affinché il portatore penetri, il tutto sebbene Denver segni ben 23 punti per game in transizione su tuttavia soli 18.4 possessi!

Parlare di terzo MVP non solo non è utopistico ma sacrosanto, dato che nessun’altra star incide così totalmente sia nell’Off Rtg (118.5) che sulla classifica della propria squadra.

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