Una cosa è certa: a New York non ci si annoia mai, nemmeno quando si parla di quel lato cestistico che ha riservato ben poche soddisfazioni ai suoi quantomai pazienti e sofferenti tifosi.

Tom Thibodeau, coach di New York dal 2020

Tom Thibodeau, coach di New York dal 2020

La squadra allenata per il terzo anno da Tom Thibodeau aveva vissuto l’ennesima speranza di rilancio dopo la qualificazione ai playoff del 2020/21, anno d’esordio sulla panchina Knicks per il coach, per poi vedere puntualmente tale speranza cadere sotto i colpi di Trae Young nel primo turno di quella postseason e ripiombare l’anno successivo in quella mediocrità che da troppi anni stride col valore di mercato della franchigia ancora presieduta da James Dolan.

Quest’anno i Knicks si sono finora visti protagonisti di una stagione caratterizzata da continui picchi seguiti da altrettante losing streak (giusto per dirne una, hanno iniziato con un 3-1 nelle prime 4 gare e poi hanno continuato con un 1-3 nelle successive 4) e il mese di dicembre è quello più esplicativo da questo punto di vista, con 8 vittorie consecutive tra il 4 e il 20 di questo mese e 4 sconfitte di fila nelle gare successive (di cui 3 in casa)

Il risultato, ad oggi (29 dicembre) è il solito, grigio 51.7% di vittorie che porta il solito, grigio sesto posto nella Eastern Conference quest’anno quantomai competitiva, in coabitazione coi Miami Heat a loro volta in un periodo bruttino e con gli Indiana Pacers che sembravano voler tankare e a ben 7 vittorie dai Boston Celtics che occupano la prima posizione.

La parola che potrebbe definire meglio l’annata dei Knicks finora è: inaffidabilità. E non potrebbe essere altrimenti visto il continuo alternarsi di vittorie esaltanti e sconfitte che riportano sulla Terra la squadra di Thibodeau ma soprattutto andando a vedere quello che New York propone sul parquet.

Rispetto alla squadra che arrivò ai playoff due anni fa ci sono stati sicuramente dei cambiamenti. La dirigenza Knicks ha tentato di rimediare al fatto che l’uomo migliore della serie contro Atlanta sia stato Derrick Rose (ci è piaciuto rivederlo ad alti livelli come meritava ma obiettivamente per New York non era il massimo che l’uomo di punta fosse un Rose preso come collante d’esperienza) aggiungendo Kemba Walker ed Evan Fournier, esperimenti entrambi falliti col primo in pieno declino e col secondo attualmente fuori dalle rotazioni di Thibodeau.

Questo ha favorito l’emergere della nuova guardia titolare Quentin Grimes, giovane più compassato ma efficace e in costante crescita (quest’anno quasi 10 punti di media col 38% da tre) e di Miles McBride dalla panchina. Sia Grimes che McBride sono al secondo anno in NBA ed è curioso che siano state di nuovo le circostanze esterne (leggi: lo scarso rendimento del titolare Fournier) a convincere Thibo a dargli una possibilità.

Tutto ciò non ha però cambiato il sistema offensivo dei Knicks che peraltro definire sistema offensivo è quantomeno generoso. Anche quest’anno infatti si nasce e si muore sulle iniziative personali di RJ Barrett, Julius Randle e, a proposito di cambiamenti, dell’acquisto di punta nell’ultima offseason dei Knicks: Jalen Brunson.

Si tratta di tre giocatori con punti nelle mani, ampio repertorio offensivo e in grado di accendere una folla a cui ormai basta ben poco per accendersi. Tuttavia Barrett ha ancora come prima opzione l’attaccare il ferro senza che questo crei spazi per i compagni e ha dimostrato di essere un attaccante d’elite quando si corre e si attacca in transizione ma molto meno quando bisogna invece vedersela con la difesa schierata.

Non gioca a favore del canadese il fatto che senza di lui Grimes abbia avuto la miglior partita della sua breve carriera con 33 punti a Dallas e 7/16 da tre (molti errori sono arrivati nel finale) Partita però passata in secondo piano a fronte della storica performance di Luka Doncic.

 

Il go-to-guy dei Knicks resta però Julius Randle che malgrado la mazzata individuale e di squadra presa due anni fa nella serie playoff con gli Hawks (in cui Randle, fresco di riconoscimento di Most Improved Player e di prima convocazione all’All Star Game, vide dimezzarsi le sue medie in tutte le voci statistiche) non ha cambiato di una virgola il suo approccio.

Troppo spesso l’ex Lakers e Pelicans parte in palleggio da fuori l’arco dei tre punti cercando di attirarsi un raddoppio dell’esterno in difesa che arriva sempre di meno (gli avversari prendono le contromisure e non è raro infatti che Randle sia marcato direttamente da un esterno che possa rubargli palla quando la mette a terra) e altrettanto spesso tiene palla per la maggioranza dell’azione offensiva facendo (troppo?) affidamento alle sue doti atletiche per finire al ferro.

Julius Randle al ferro contro la difesa

Julius Randle al ferro contro la difesa

Di nuovo, Randle non costruisce nulla per i compagni, semmai sono questi ultimi a dover tenere d’occhio ciò che scaturisce dai suoi attacchi e trasformarlo in qualcosa di sostanzioso. In una frase, Randle gioca come LeBron ai Lakers senza però essere LeBron, malgrado si parli comunque di un gran giocatore.

Avendo questo tipo di giocatori che comunque portano in dote un potenziale offensivo non da poco sarebbe d’uopo affiancargli un costruttore di gioco. Il bello è che Thibodeau ha a disposizione da anni Immanuel Quickley (16 assist nella gara con Dallas) che non sarà Steve Nash ma è senz’altro un fit adeguato per giocare con Randle e Barrett. Quickley però in due anni e mezzo ai Knicks è partito in quintetto 8 volte e quest’anno deve fare da riserva a Jalen Brunson.

La presentazione di Jalen Brunson, acquisto principale dei Knicks

La presentazione di Jalen Brunson, acquisto principale dei Knicks

E veniamo finalmente a commentare l’impatto del figlio di Rick sulla squadra. Brunson è approdato a New York dopo una trattativa macchiata dallo spettro del tampering (con i Knicks sanzionati di una futura scelta, ma d’altra parte avendo il padre nello staff della nuova squadra…) e dopo aver fatto da scudiero a Luka Doncic ai Dallas Mavericks.

In campo Jalen fa esattamente ciò che sa fare meglio: attaccare il canestro senza paura, prendere tiri in sospensione, cercare di guadagnare falli che converte in punti dalla lunetta con l’87% su circa 5 tentativi di media.

A livello individuale una stagione di tutto rispetto, con 20.2 punti di media e 6.6 assist (del resto è l’unico che prova a costruire qualcosa…) Ma ancora una volta non ha dimostrato finora di poter dare ciò che serviva ai Knicks che forse si sono fatti troppo prendere la mano nel portarsi a casa un giovane emergente dopo essersi visti troppe volte rifiutare dai free agent.

E a questo punto parlare di come la dirigenza di New York abbia costruito il roster è inevitabile. La situazione salariale dei Knicks non è tragicomica come altre volte durante la presidenza Dolan ma comunque non è di quelle che fanno ben sperare per le prospettive della squadra: al di là dei bei soldoni dati a Brunson (quasi 80 milioni fino al 2026) abbiamo una bella zavorra rappresentata dai 55 milioni da versare a un Evan Fournier che attualmente non gioca mai fino al 2025 e la maggioranza dei salari è appannaggio di Randle e Barrett, quasi 200 milioni in due rispettivamente fino al 2026 e al 2027.

Tanti, tantissimi soldi per pochi, pochissimi risultati

Tanti, tantissimi soldi per pochi, pochissimi risultati

In sostanza, detto che si cercherà un acquirente per Fournier e che sarà molto difficile trovarlo, il nucleo dei Knicks resterà tale ancora per tanti anni. E alla luce di quanto scritto finora ciò significa che per tanti anni i Knicks resteranno una squadra con cui non ci si annoierà da esterni, che magari riuscirà a strappare qualche qualificazione playoff per il rotto della cuffia, ma ancora ben lontana non solo da una contender, ma data la crescente competitività della Eastern Conference anche da una partecipante in pianta stabile alla postseason.

One thought on “L’ottovolante dei New York Knicks

  1. Caro Marco, spero proprio che tu possa sbagliarti di grosso. Noi tifosi Knicks siamo ormai abituati a tutto e potremmo anche sperare di abituarci a qualcosa d’altro che non sia l’inaffidabilità e la mediocrità

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