Primavera 2018, è qui che inizia la costruzione dei nuovi Celtics, squadra che primeggia l’odierna regular season candidandosi alle back to back Finals.

Boston inizia lì una nuova esistenza, successiva alla primordiale dipartita di Gordon Hayward e in prossimità dei playoff di Kyre Irving, le due star chiamate per generare una nuova dinastia recente, dopo la gloria degli anni ’80 e quella dei Big Three 2008.

Quei Celtics, shorthanded e senza scorer primari, lottano punto a punto ogni match, difendono a oltranza, limitano stelle quali Antetokounmpo ed Embiid e si spingono quasi fino all’olimpo, perdendo dopo un vantaggio di 3-2 la serie finale a Est contro sua maestà LeBron. Soprattutto capiscono che gli assi su cui puntare sono dentro la cantera, a dispetto di pseudo leader venuti da fuori ma limitati caratterialmente.

Da lì in poi a tessere le fila al TD Garden sono difatti tre prime scelte esplose in quella post-season, pesche mai tanto azzeccate che uniscono leadership, resilienza mentale ed una classe seconda a nessuno: Marcus Smart (sesta overall 2014), Jaylen Brown (terza 2016) e Jayson Tatum, terzo dietro a Fultz e Lonzo Ball nel 2017, e perciò steal pazzesca.

La sua progressione nel tempo va di pari passo con quella dei compagni, e una postura tranquilla e mai sopra le righe nasconde altresì uno spirito mai domo che gli permette di restare in partita anche durante svantaggi pericolosi, organizzando poi epiche rimonte che hanno fatto la storia recente di questo gruppo.

La tecnica gli ha inoltre consentito di divenire un playmaker all around, capace di creare action da tutte le mattonelle, in entrambi i post e soprattutto nel clutch time. Non stupisce perciò che nei nuovi gameplan collettivi di Mazzulla, di cui parleremo a breve, Tatum abbia tuttavia più della metà dei possessi in isolamento rispetto al resto della squadra (7.9), e sia arrivato a performare true shooting % e Usg ai massimi di sempre: 61.1 e 31.4!

Cinque campionati dopo quegli epici playoff i Celtics vengono ora accreditati dai favori dei pronostici di Vegas, vista una scalata che li ha portati poi a costanti apparizioni nelle serie conclusive, dove spiccano un’altra finale ad Est e quella per l’Anello al cospetto dei Warriors la scorsa tornata.

Boston infatti ha continuato il gioco aggressivo in difesa, progredendo però nell’altro lato del campo in situazioni prima troppo monodimensionali, come i numerosi uno contro uno dedicati alla coppia Tatum/Brown ed eccessivi tiri dalla lunga contestati, per virare nel tempo verso playbook più schematici e coinvolgenti, che ne fanno adesso – e appunto dopo ben 5 stagioni – una squadra completa e senza apparenti difetti. Ciò ratifica che il rebuilding post Garnett, Allen e Pierce è terminato col tris d’assi fatto in casa.

Da qui si capiscono gli addii dello stesso Irving e Morris, più di una volta sopra le righe verso i giovani commensali, la parentesi fallimentare Kemba Walker e il saluto doloroso ma necessario a Rozier: mosse imprescindibili per consentire la rinegoziazione a quasi 60 milioni annuali dell’accordo a Tatum e Brown e il rinnovo di Smart.

Si è inoltre lavorato di psiche per calmare i bollenti spiriti di Jaylen, sovente inserito dentro possibili blockbuster trade, come nell’ultima offseason quando il nome di Durant echeggiava nell’aria, ma che invece ne è uscito rafforzato battendo finora ogni record di carriera su punti (26.5), rimbalzi (7.2), assist (3.6) e percentuali dal campo al 50%.

KD non si discute ma con un giocatore così performante ad ancora 26 anni anzichè 34 competere per l’anello almeno altri 6 è una certezza; inoltre un calibro MVP in più avrebbe gioco forza tolto possessi nelle mani di Smart, rinvigorito dalle nuove geometrie e responsabilità offensive, che ne fanno – ulteriore novità positiva annuale – il leader per assist, giunti a 7.3 e raddoppiati rispetto agli esordi.

Nel momento in cui scriviamo una leggera flessione ha rimesso in discussione la vetta NBA, fino alla trasferta di San Francisco in cassaforte per Horford e soci. Se le due L casalinghe coi redivivi Magic preoccupano fino a un certo punto, per via di un approccio fallimentare l’una e causa l’assenza di Tatum l’altra, campanelli d’allarme vanno analizzati invece nelle debacle californiane contro i cannibali della Bay Area e allo Staples Center al cospetto di Leonard e George: due possibili sfidanti al titolo e club alla fine del loro massimo prime ma se sani fisicamente secondi a pochi altri.

Ambedue le franchigie, tiratesi a lucido per l’occasione, hanno limitato i leader di lega per punti, tentativi e percentuali dalla lunga a statistiche penose: 101.9 Off Rtg, 98 PACE e ad uno scialbo 26.55% da tre, dimostrando che innumerevoli tagli offensivi e marcature perimetrali, dominio a rimbalzo, turnover e fast break points possono confondere il gioco fatto di ball handling totale imposto da Mazzulla, nel quale a parte il rientrante Robert Williams i trattatori di palla con almeno 12 minuti a gara sono ben 11 su 12!

Il plausibile Coach of The Year ha immesso con queste insolite metodologie sicurezza e qualità in ogni possesso offensivo, fatto di letture di gioco sì istintive e casuali ma ben radicate, creazioni continue e una sostanziale diminuzione di palloni persi. Adesso infatti, a parte le tre superstar tanto citate, i playmaker capaci di concludere in autonomia e filare in transizione sono tantissimi e ad altissima probabilità di successo, sfruttando più tagli che in passato e praticando inediti blocchi lontano dalla palla, che hanno appunto il compito di dare al portatore scarichi liberi e creare l’ovvia possibilità di un tiro aperto nel long range. Perciò su 87.2 conclusioni totali per gara Boston ne riserva l’astronomica cifra di quasi 42 (48.05%) dall’arco, regna in segnature assistite (80%), 3 pt field goal, triple open (16), triple wide open (19) e percentuale di realizzazione (.381).

Tornando a parlare di acquisti a sensazione accantonati da Brad Stevens per scelte casalinghe oppure esterne ma sensate e di utilità, eccellenti quelle fatte per White la scorsa deadline, al prezzo di Richardson, Langford e una first pick, e soprattutto Brogdon questa estate, ROY 2017 già rimpianto in epoche non sospette da Giannis e pervenuto nel Massachussetts per un primo giro 2023 e molteplici giocatori senza appeal (Theis e Nesmith su tutti): elementi che accrescono qualità palla in mano, danno esperienza e migliorano la seconda unità ora che Robert Williams potrebbe riprendere posto nel lineup iniziale ed alzare quindi il quintetto.

Se ciò avvenisse le eccezionali statistiche dal perimetro sciorinate in precedenza diminuirebbero a favore di maggiori penetrazioni e uso dei pick and roll, tentativi in mid range e pull-up oggi rispettivamente al 26° e penultimo step di categoria, e di maggiori conclusioni in lunetta per un gruppo di cecchini nei liberi (primi all’83%) con tuttavia soltanto 22.2 viaggi a partita.

Il pennant della vecchia Eastern Conference e l’essere stati front runner per il titolo giocando alla pari coi Warriors hanno cementato sicurezze dentro la testa dei Celtics. Siamo sicuri perciò che cali di tensione in quel di Boston se ne vedranno pochi pochi, come non vediamo all’orizzonte una deadline che possa rafforzare altre compagini dell’Est, tanto da impedire al gruppo di Mazzulla di giocarsi l’accesso alle prossime Finals coi Bucks, ed arrivare poi eventualmente a contendere l’Anello NBA col fattore campo a disposizione.

One thought on “Boston Celtics: mentalità da titolo?

  1. Parere mio ai verdoni per il titolo manca un centro di spessore. Uno alla Sabonis, per dire. O Jokic, per fare fantascienza. Andrebbe bene pure Horford 25enne, ma ormai…

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