“Chiudete l’Est”.

Non è la prima volta che inizio un pezzo ricordando questo mantra di molti appassionati NBA del terzo millennio a sottolineare quanto la Eastern Conference non riuscisse minimamente a raggiungere il livello della Western e in effetti molto spesso la finale di Conference occidentale è stata considerata una NBA Finals sotto mentite spoglie.

Basti pensare che nel primo ventennio degli anni Duemila il titolo è andato per 13 volte a una squadra della Western Conference (e tre finali sono finite 4-0) con quattro grandi dinastie che si sono succedute ad Ovest: i Lakers di Kobe e Shaq, poi i San Antonio Spurs di coach Popovich e Duncan-Parker-Ginobili, ancora i Lakers dell’ultimo ciclo Kobe Bryant-Phil Jackson e infine i Golden State Warriors degli Splash Brothers Curry&Thompson. Di contro solo i Miami Heat sono riusciti a vincere due volte consecutive l’anello per la Eastern Conference tra il 2000 e il 2020.

In questa stagione però le cose sono decisamente cambiate: le squadre più attrezzate per l’anello sembrano ad oggi provenire da quel tanto bistrattato Est a lungo dominato da LeBron James e dalle squadre in cui il Re ha militato.

Ad Ovest non c’è oggi una squadra che possa dirsi dominante. Le squadre che alla vigilia d’inizio stagione erano date per favorite stanno pesantemente arrancando: i Golden State Warriors sono da tutto l’anno ai margini della lotta playoff e alle prese con i problemi fisici delle stelle indiscusse, attualmente hanno un record di 2-14 in trasferta e sono in una losing streak aperta di 3 gare. Dietro i senatori inoltre lo young core dei Warriors non sta dando il contributo sperato e quando le superstar iniziano a saltare tante partite per infortunio iniziano solitamente ad affacciarsi segnali di fine ciclo (anche se va detto che Golden State sembrava alla “last ride” anche due-tre stagioni fa e ha invece vinto l’ultimo titolo NBA)

Non fanno molto meglio i Los Angeles Clippers che puntavano forte sul ritorno in campo di Kawhi Leonard che ha però preso parte finora a 10 gare sulle 31 disputate dalla franchigia californiana. L’altro leader designato Paul George, da anni a caccia di un titolo NBA, ha a sua volta saltato 9 gare e anche nel caso dei Clippers parliamo comunque di una squadra dall’età media non più verde e con pochi giocatori futuribili (sostanzialmente Terance Mann e Amir Coffey) Il risultato è anche in questo caso una stagione che vede i Clippers barcamenarsi intorno al 50% di vittorie.

Tutt’altra storia per quanto riguarda le favorite dell’Est. I Boston Celtics e i Milwaukee Bucks, attuali prima e seconda classificata della Eastern Conference, hanno entrambe un record migliore delle prime due squadre dell’Ovest (i Grizzlies e i Pelicans, su cui torneremo) e soprattutto sembrano effettivamente due squadre più attrezzate per una vera lotta al titolo sia delle due citate che delle altre franchigie ad Ovest.

I Celtics, finalisti lo scorso anno e in crescita costante da varie stagioni, hanno superato pressochè indenni lo scandalo extracampo legato all’ex coach Ime Udoka e guidati dal nuovo allenatore Joe Mazzulla stanno continuando a marciare forte sulle loro certezze, ovvero il solido playmaking di Marcus Smart affiancato quest’anno da Malcolm Brogdon, le due superstar Tatum&Brown (tra l’altro più giovani sia degli Splash Brothers che di Leonard&George) e l’efficace gioco interno che ha consentito alla storica squadra biancoverde di attendere con tranquillità il rientro di Robert Williams.

Stesso discorso per Milwaukee che si gode il miglior Giannis Antetokounmpo finora per punti segnati (è andato per la prima volta sopra i 30 di media) e un cast di supporto assolutamente efficace tra cui spiccano un Jrue Holiday a tutti gli effetti seconda stella della squadra e Bobby Portis per la prima volta in carriera sopra i 10 rimbalzi di media. Anche in questo caso i Bucks si stanno (per ora) facendo una ragione dei continui problemi fisici di Khris Middleton, in campo solo 7 volte quest’anno (rientrato il 2 dicembre) e alle prese col consueto periodo di adattamento che ha compreso un 1/12 dal campo nella batosta dei Bucks contro Memphis.

Lo scontro tra i Grizzlies e i Bucks del 12 dicembre è finito addirittura con un +41 in favore di Memphis ma se sulla singola gara gli orsi guidati da Ja Morant hanno sicuramente nelle corde un risultato simile le cose cambiano se si ragiona sul lungo termine, dato che i Grizzlies continuano a mancare di esperienza playoff e hanno ceduto anche Kyle Anderson sostituendolo con un Danny Green alle ultimissime battute.

Al di là dei discorsi sulle prime classificate però quello che salta all’occhio è la differenza di prospettiva futura tra molte squadre dell’Est e praticamente tutte quelle dell’Ovest.

Le uniche squadre della Western Conference ad aver dimostrato un miglioramento rispetto allo scorso anno sono finora i Sacramento Kings (e qui non ci voleva molto data l’assoluta mediocrità in cui la squadra della capitale californiana è impantanata da vent’anni) e soprattutto i New Orleans Pelicans che ritrovando Zion Williamson in forma ottimale si stanno imponendo come una delle migliori squadre dell’Ovest.

Zion guida una squadra in cui il sistema difensivo di coach Willie Green ha finalmente iniziato a funzionare ed è affiancato da vari uomini che possono costituire un’alternativa credibile a lui come go-to-guys, da CJ McCollum ancora a suo agio nel ruolo di scorer d’esperienza a Brandon Ingram che non sta finora soffrendo (ma potrebbe iniziare…) il fatto che il leader dei suoi non sia lui passando per un Jose Alvarado che non sta temendo niente e nessuno. Come contender però i Pels restano sostanzialmente un’incognita proprio perchè l’assenza di una squadra dominante delegittima in qualche modo il loro secondo posto.

Guardando alle altre squadre troviamo gli Utah Jazz che dovevano smobilitare e invece si sono ritrovati per mesi ai piani alti per poi calare fino al settimo posto attuale o i Denver Nuggets e i Dallas Mavericks che non stanno avendo il contributo sperato (contrariamente a quanto accade a Milwaukee) da chi affianca Nikola Jokic e Luka Doncic. Se nel primo caso almeno Jamal Murray sta ritrovando la stoffa preinfortunio, i Mavericks stanno finora sciaguratamente sprecando il miglior Doncic della carriera e hanno come prima opzione offensiva dietro lo sloveno Tim Hardaway Jr., non certo il massimo dell’affidabilità.

Dalla parte orientale abbiamo invece squadre ben costruite come i Cleveland Cavaliers, che stanno raccogliendo i frutti di anni di mediocrità con l’aggiunta determinante di Donovan Mitchell o i Miami Heat che non saranno in una posizione esaltante di classifica ma continuano ad esprimere un ottimo gioco corale con la sapiente guida di Jimmy Butler in campo ed Erik Spoelstra in panchina.

Come accennato però al di là dei casi singoli a spiccare è il fatto che nella Eastern Conference troviamo varie squadre che sembrano puntare in alto con continuità, nella Western Conference invece si alternano formazioni che sembrano aver fatto il loro tempo (non ho citato finora i Lakers perchè non è bello sparare sulla Croce Rossa) che traggono il massimo da ciò che hanno ma che non sembra sufficiente per una deep run (i Jazz e i Kings, per certi versi anche i Phoenix Suns che però sono ora in difficoltà) e formazioni costruite male o che puntano a Victor Wembanyama senza mezzi termini (guardando nei bassifondi a Est abbiamo gli Orlando Magic con cinque vittorie di fila e un grande Banchero, a Ovest gli Spurs che hanno sposato il motto “perdere e perderemo” fino in fondo)

In sostanza l’Est è attualmente migliore dell’Ovest, ma soprattutto potrebbe restarlo anche nei prossimi anni dato che le squadre militanti nella Eastern Conference sembrano più attrezzate non solo per il presente, ma anche per il futuro.

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