Light the beam! Una frase che il mezzo milione di abitanti di Sacramento si è fin troppo abituata a sentire (e pronunciare).

Quattro raggi laser dei colori societari che si alzano dritti verso il cielo dal tetto del Golden 1 Center per celebrare ogni vittoria della franchigia più perdente della storia NBA.

Per intenderci, l’ultima volta che Sactown era una città di playoff NBA, l’iPhone 1 non era ancora uscito… Ora invece, dopo 22 partite, sono settimi a Ovest con un rispettabile record di 13-9. Ma cosa è cambiato per i violaneri?

L’offensive rating di questa stagione recita un sonoro 116. Quinto in NBA dietro ai Celtics (121.3, per ora il più altro di sempre), ai Suns, ai Jazz e ai Nuggets. Non solo… quel 116 è anche il dato più alto della storia della franchigia. Esatto, anche di quando erano i Kansas City Kings. Si trovano invece al quarto posto per il numero di assist a partita: ben 28.

Tutto questo, però, potevamo aspettarcelo. La nomina a head coach di Mike Brown già sapeva di piccola rivoluzione nella metà campo offensiva. I dati confermano che un cambio di rotta c’è stato eccome.

Nelle prime conferenze stampa, l’ex vice-Steve Kerr aveva affermato di non volersi allontanare da quella che era stata la strategia offensiva dei Kings dal 2017 a questa parte. Joerger, Walton, Gentry: tutti avevano concentrato il loro attacco attorno a due parole chiave. Space and pace: spazio e velocità. Una tattica usata per sfruttare al meglio le qualità della star della franchigia De’Aaron Fox.

Brown ha aggiunto qualcosa in più. Ha infatti importato la cosiddetta Princeton offense [NDR: non la prima volta che si vede a Sacramento]. Una tattica offensiva particolare, che può essere adottata solo da una squadra in cui tutti e 5 i giocatori in campo sappiano trattare bene la palla (palleggio, dribble, tiro, passaggio). Il concetto che sta alla base è quello di sfruttare al meglio i mismatch, le situazioni di vantaggio negli uno contro uno.

Proprio per questo, con le chiavi dell’attacco in mano ad un ottimo shot-creator come Fox, i californiani prediligono uno schieramento 5-out (con i cinque giocatori fuori dalla linea da tre) o 4-out-1-in (con il lungo in post alto appena fuori dal pitturato). Per l’appunto, lasciando tanto spazio per attaccare il pitturato e il ferro.

mismatch bisogna però crearli, e qui entra in gioco proprio l’idea di space and pace.

La velocità è fondamentale nell’esecuzione dell’attacco. L’agilità acquisita in questa off-season (Malik Monk, Kevin Huerter su tutti) nonché il solito Fox sono perfetti per sfruttare i primi secondi dell’azione per andare al tiro. Tra i 22 e i 18 secondi dalla fine dello shot-clock, quindi sfruttando il fatto che la difesa è poco schierata, i Kings tirano 16.6 tiri a partita (primi nella NBA). Di questi, ben 60% dei tiri segnati sono facilitati da un assist.

Velocità, però, anche della circolazione di palla. Perché mentre fino all’anno scorso l’attacco dei Kings a difesa schierata era stagnante, questa stagione Brown è riuscito a sbloccare questo fondamentale.

In questo avere un lungo con mani eccezionali come Sabonis è cruciale. Certo, la trade che ha spedito a Indiana Haliburton fa ancora mordere le mani a molti tifosi violaneri. Ma a Sacramento un big-man con le qualità e la prepotenza del lituano non si vedeva dall’epoca d’oro di Cousins. E proprio qui nasce la necessità di un altro tipo di velocità: quella di lettura del gioco.

La Princeton offense non è evidentemente limitata ad una circolazione di palla sterile intorno all’arco dei tre punti. Lasciando molto spazio libero dentro l’area, è fondamentale il tempismo e la rapidità dei tagli. Sono aboliti i ruoli: non c’è il play, non c’è l’ala grande né piccola. Ci sono 5 giocatori che, con cut ins e blocchi off the ball riescono a costruire un attacco efficiente e divertente da guardare.

Insomma: se la difesa marca a uomo sul perimetro, è presa alle spalle con netti tagli verso il ferro. Se Sabonis è in post alto ed è lasciato con un mismatch, la palla è lasciata in mano sua. Se invece la difesa converge su di lui, lo scarico per un tiro da tre è automatico. Velocità, spazio. La ricetta di Mike Brown per un attacco che fa scintille.

 

Snoccioliamo ora altre considerazioni:

  • De’Aaron Fox, dopo la flessione della scorsa stagione, viaggia a 24 punti a partita (con il 52.6% dal campo), 5 rimbalzi e 6 assist. Per le altre statistiche, rifatevi gli occhi.
  • Domantas Sabonis è cruciale per i giochi di pick-and-roll giocati come ball-handler (alla Adebayo per Miami). 16.7 punti, 11 rimbalzi e 6.5 assist a partita per il gigante lituano.
  • Le sorprese della stagione sono di certo Malik Monk e Kevin Huerter. Il primo, ex-compagnio di college dello stesso Fox, è un serio candidato per la vittoria del Sixth man of the year award. 14.6 punti (massimo in carriera, tirando con il 48% dal campo), 2 rimbalzi e 4 assist. Il secondo, arrivato da Atlanta in una trade estiva per una prima scelta futura, è una scommessa che sembra aver pagato. 16 punti a partita con il 45% da tre, e l’incoronazione pubblica di Durant (“Huerter sta giocando come Curry e Thompson”… non esageriamo, KD).
  • Harrison Barnes (13 punti a partita) e il rookie Keegan Murray (10 a partita) contribuiscono alla causa in maniera finora troppo altalenante.
  • Davion Mitchell è fondamentale nella seconda unit per la sua difesa (107 di defensive rating).

Per Defensive Rating di squadra sono, però, 22esimi, concedendo 114 punti ogni 100 possessi.

Per ora, dunque, la squadra si regge sull’attacco. Il rischio è, ovviamente, quello di una flessione offensiva che porterebbe ad un netto peggioramento del record. La scommessa, invece, è quella di un miglioramento difensivo che porterebbe i Re… dritti in postseason.

Senza sperare o sognare troppo, per ora godiamoci i laser viola che tagliano il cielo della capitale californiana.

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