Quello che è iniziato a metà ottobre è il quinto anno del nuovo imperatore di Dallas: Luka Doncic.

Il giovane sloveno, dopo il primo anno in cui ha avuto la benedizione del suo predecessore Dirk Nowitzki accompagnandone il ritiro dopo 21 anni tutti vissuti con la stessa canotta NBA, ha subito riportato ai playoff i suoi sudditi e dopo due uscite onorevoli al primo turno contro i favoriti Los Angeles Clippers ha dato ai Mavs la finale di Conference dopo 9 anni da quella contro i Thunder del 2011 che portò all’unico anello della franchigia del presidentissimo Mark Cuban.

Giusto per fare un paragone WunderDirk ha impiegato un anno in più per raggiungere tale traguardo (sconfitta 4-2 contro San Antonio nelle WCF del 2003)

Il passaggio di consegne dal vecchio re Dirk I il Tedesco al nuovo sovrano Luka I lo Slavo

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Dallas ha avuto la fortuna di accaparrarsi uno dei migliori giocatori NBA attuali e le sue prospettive sono quindi diventate quelle di rappresentare, prima o poi, una contender al titolo NBA. Cuban ha provato subito il colpo gobbo regalando al suo condottiero un destriero dalle sembianze unicornesche di Kristaps Porzingis ma questo affare non è andato come si sperava con il lettone ex Knicks sempre infortunato e che non ha mai perfezionato del tutto l’intesa con Doncic.

Tant’è che dopo la trade che ha portato Porzingis a Washington, squadra anonima che più anonima non si può da anni, l’allenatore Jason Kidd è riuscito a mettere su un letale sistema di gioco incentrato su Doncic in attacco e su una difesa corale che coprisse le lacune difensive dello sloveno per raggiungere la semifinale NBA persa contro i campioni dei Golden State Warriors.

Chiaro che sull’onda dell’entusiasmo ma anche di una crescita piuttosto costante negli anni i tifosi Mavericks (tra cui il sottoscritto) si aspettavano un upgrade forse decisivo per lottare a tutti gli effetti per il titolo.
Purtroppo dopo quasi un mese e mezzo il suddetto upgrade è arrivato solo da parte di Luka Doncic.

Per quanto possa sembrare incredibile l’ex campione di qualsiasi competizione europea in cui abbia giocato è ancora migliorato rispetto agli anni scorsi e con una media di 33.4 punti a gara (career high) col 50.4% dal campo (career high) e 4 triple doppie su 17 gare giocate di cui due consecutive si sta imponendo tra i candidati al titolo di MVP della NBA. Dallas però è alle prese con l’ormai consueta posizione di centro classifica di novembre: record di 9-9, 4 sconfitte nelle ultime 5 gare, decimo posto a pari merito con una Golden State a sua volta deludente e una sola vittoria in trasferta (contro i disastrati Nets di inizio stagione)

La squadra inoltre continua a farsi rimontare qualsiasi vantaggio come avviene ormai da anni, cominciando dal +25 buttato nell’opening game in casa dei Phoenix Suns, e ha alle spalle anche sconfitte assolutamente disonorevoli come quelle in casa con Oklahoma City e Houston (!!!) e in trasferta contro gli Orlando Magic che fino a lì avevano portato a casa la miseria di 2 vittorie.

Siamo ancora ad inizio stagione ma la strada per vincere non è questa ed è chiaro che come l’anno scorso con la cessione di Porzingis qualcosa debba cambiare nel gioco dei Mavericks. Cerchiamo quindi di analizzare cosa non va per la squadra allenata per il secondo anno da Jason Kidd.

No Jasone, non intendiamo che devi ricominciare a farti buttare addosso le bevande...

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Innanzitutto chiariamo un aspetto: è vero che Dallas è eccessivamente dipendente da Luka Doncic ma lo sloveno non sta affatto giocando da “mangiapalloni” e se non bastassero i tiri con chilometri di spazio che regala ai suoi compagni (Josh Green, che non è un tiratore, sta segnando col 48.6% da tre quest’anno) possiamo fornire due argomentazioni.
In primo luogo l’unica gara saltata da Luka è stata proprio quella interna con gli Houston Rockets che, Doncic o no, una squadra che punta in alto dovrebbe vincere senza neanche troppi patemi. I compagni di squadra del fenomeno col 77 sono stati invece capaci di perdere tirando col 30% dal campo e facendosi battere a rimbalzo per 56-38.

La seconda prova è arrivata dalla sconfitta di sabato sera in casa dei Toronto Raptors privi praticamente di mezza squadra tra cui il leader Pascal Siakam; Doncic ha scelto di fidarsi dei compagni che lo hanno ripagato con questa improbabile azione corale.

Il supporting cast di Luka Doncic ad oggi non è quindi adeguato per competere in alto e anzi ha vari giocatori in un certo senso miracolati dallo sloveno e altri che non hanno ancora ben chiaro il proprio ruolo.

Tra questi ultimi c’è quello che dovrebbe essere la seconda stella dei Mavericks: Christian Wood. Proveniente dai Rockets in smobilitazione post-James Harden il 27enne lungo è stato il primo acquisto della offseason di Dallas e uno dei giocatori sui quali puntare per l’upgrade decisivo accennato sopra.
I punti non mancano (16.8 a gara col 57.6% dal campo) ma difensivamente Wood continua a non fare alcun tipo di passo avanti e risulta un vero e proprio buco nero. Inoltre spesso e volentieri il suo fatturato offensivo nasce da iniziative personali che testimoniano quanto l’ex Pistons sia poco coinvolto nel gioco di squadra (su cui torneremo e che rappresenta la vera croce e delizia dei Mavericks)

Inizialmente Wood doveva partire dalla panchina in favore di JaVale McGee, altro nuovo acquisto per aumentare la rim protection di una Dallas che di rim protectors aveva assoluto bisogno. Wood si era detto peraltro disponibile senza problemi a questo assetto, ma i tifosi hanno iniziato ad avanzare richieste di farlo partire in quintetto quando il titolare è diventato di nuovo, come da anni ai Mavericks, Dwight Powell.

Powell è il giocatore con la militanza più lunga ai Mavericks tra quelli attuali essendo arrivato in Texas col disgraziato affare Rajon Rondo del 2014. L’ormai trentunenne canadese è diventato il rollante preferito di Luka Doncic col quale conclude spesso con una schiacciata i pickandroll alti, ma a parte questo in quasi dieci anni non ha mai messo in campo nient’altro. Non segna (7.6 punti di media in carriera, quasi tutti schiacciando su assist di Doncic) non prende rimbalzi (4.6 a gara in carriera) e non è un rim protector (0.5 stoppate in carriera) Il suo contratto è in scadenza e non c’è ragione di considerarlo parte di una possibile contender.
Eppure il titolare è di nuovo lui malgrado la presenza di McGee che alla sua età è un intimidatore ben più incisivo.

I problemi però non si limitano solo al frontcourt. Dallas gioca con le stesse caratteristiche che l’hanno portata alle Conference Finals: Doncic attacca il ferro, se la difesa non lo raddoppia segna e spesso prende anche il fallo, se la difesa lo raddoppia lui riesce in modo spesso incredibile a trovare un tiratore sul perimetro nelle persone di Dorian Finney-Smith, Maxi Kleber o Reggie Bullock, che poi quando sono i Mavericks a difendere tolgono pressione alla stella slovena.

Gli avversari però hanno preso le contromisure puntando sull’anello debole di questo sistema che tanto bene aveva funzionato lo scorso anno. Per cui la difesa collassa puntualmente su Doncic, che altrettanto puntualmente trova il tiratore; peccato che il tiratore non sia un Ray Allen e neanche un Kyle Korver o un JJ Redick per cui la pressione sugli esterni porta spesso Finney-Smith, Kleber e Bullock a smattonare in allegria (Kleber e Bullock tirano intorno al 28%, Finney-Smith fa leggermente meglio fermandosi comunque al 33%)

Dalle stelle alle stalle

Dalle stelle alle stalle

Aggiungiamoci che nessuno dei tre menzionati fa altro in attacco a parte tirare da tre e che il solo Spencer Dinwiddie costituisce un’alternativa offensiva rispettabile e avremo un attacco ingolfato con Doncic costretto a prendersi la squadra sulle spalle ogni singolo finale di partita. Ciliegina sulla torta Tim Hardaway Jr., rinnovato a furor di popolo in favore di un Seth Curry che sarebbe stato ben più funzionale e che al rientro dall’infortunio dello scorso anno è alla sua stagione peggiore sia per percentuale dal campo che da tre punti.

Non è detto che il sistema messo su da Kidd non possa riprendere a funzionare ma ci vuole più di un aggiustamento al roster affinchè ciò accada. Da questo punto di vista perdere Jalen Brunson senza ottenere nulla in cambio è una macchia pesante sulla costruzione di una squadra che ha bisogno di un esterno che attacchi il ferro e che i lunghi funzionino meglio da intimidatori quando gli avversari battono la prima linea difensiva.

Luka Doncic concorrerà sicuramente per l’MVP e probabilmente riuscirà anche a portarselo a casa. Ma se la sua squadra non apporterà i correttivi adeguati il suo contributo quest’anno potrebbe non portare passi avanti per i Mavericks che inizierebbero quindi a vedere il fantasma delle proprie prospettive che mutano nuovamente: da potenziale contender a potenziale vetrina per il fenomeno sloveno.

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