Che la stagione dei Los Angeles Lakers non partisse sotto i migliori auspici lo hanno scritto e detto più e più volte tutti gli analisti NBA del pianeta. Infatti a inizio novembre per la blasonatissima franchigia californiana le previsioni sono andate oltre gli scenari già foschi con la squadra penultima nella Western Conference davanti solo ai pluritankanti Houston Rockets e soprattutto ultima a vincere una partita in stagione, partendo con 6 sconfitte su 6 e riuscendo a portare a casa la seconda vittoria grazie al protagonista più inaspettato che l’ha mandata al supplementare poi vincente: Matt Ryan.

La storia di Ryan è l’unica nota lieta ad oggi dell’inizio stagione dei Lakers nonchè la più classica delle favole made in Hollywood (parliamo di un giocatore non scelto da nessuna franchigia al draft 2020 e che non più tardi di due anni fa si guadagnava da vivere lavorando al cimitero di Yonkers) Ma come accennato dietro il buon Matt solo guai per i lacustri che hanno inanellato due sconfitte di fila contro Jazz e Cavaliers.

Chiariamo però una cosa in apertura di articolo: il disastroso ottobre della Los Angeles gialloviola è già stato ampiamente commentato, revisionato e ridicolizzato perchè possa trovare ampio spazio in questa analisi. Mi limiterò a riproporre vari aspetti grotteschi che hanno costellato le gare dello Staples Center, oggi Crypto.com Arena, a cominciare dal povero Anthony Davis battezzato da un irrispettoso Jusuf Nurkic che però alla fine ha avuto ragione dato l’esito di questa tripla:

Al di là dell’esito del tiro di Davis possiamo notare l’inesistente circolazione di palla e un’azione interamente giocata nel quarto di campo di LeBron James e dell’ex stella di New Orleans. Il tutto non sul +20 o sul -20 ma con la gara in equilibrio e il possesso del sorpasso nelle mani.

D’altra parte il tiro da tre non è certo il fondamentale che rappresenta il punto di forza di questa squadra come dimostra colui che ormai è il giocatore più bistrattato dai suoi tifosi: Russell Westbrook. Nel derby con i Clippers che lo scorso anno hanno battuto i rivali in tutti e quattro i derby e che hanno vinto 32 delle ultime 39 stracittadine (i più anziani faticheranno ancora a credere che potesse accadere…) Westbrook ha infatti preso un tiro in transizione dall’arco per la gioia del suo pubblico:

I Lakers sono ultimi per percentuale da tre punti tirando sotto il 30% (unici con Oklahoma City, altra squadra da tempo sull’andante tankante) ma d’altra parte la circolazione di palla è quella che è e il risultato non si può certo dire inaspettato.

Un vero disastro, insomma, e una stagione che rischia di partire già compromessa dato che la squadra è stata costruita davvero come peggio non si poteva. Non c’è un costruttore di gioco dato che a Westbrook si è inspiegabilmente scelto di affiancare Patrick Beverley che è l’ultimo giocatore a cui affidarsi per una regia compassata in una squadra di stelle o presunte tali; sotto canestro Anthony Davis continua ad essere spesso infortunato avendo saltato già due partite delle 9 disputate finora e non ha una riserva che possa proteggerlo da un minutaggio eccessivo.

Dulcis in fundo la squadra è totalmente in mano a LeBron James costretto a fare il centro, il portatore di palla e il finalizzatore nella stessa partita. Non che la cosa gli dispiaccia ma non è certo la via per vincere.

Come accennato però questa analisi vuole essere più ampia per rispondere a una domanda principale: come si è arrivati dal titolo del 2019-20 al non disputare i playoff lo scorso anno e al partire 0-6 in questo?

La maglia dice "We cannot walk alone" ma LeBron James sembra piuttosto solo ai Lakers

La maglia dice “We cannot walk alone” ma LeBron James sembra piuttosto solo ai Lakers

In realtà analizzando il percorso dei Lakers dall’acquisto di James in poi risulta evidente (almeno a mio avviso) quanto il suddetto anello della bolla di Orlando sia stato il massimo che si potesse ottenere. Anzi, per certi versi si può dire che sia andata bene ai tantissimi tifosi della franchigia sparsi per il globo terracqueo che perlomeno hanno potuto festeggiare un titolo a differenza di altri progetti andati in fumo (citofonare Jazz nonostante il grande inizio di stagione)

LeBron James fa parte dei Lakers dalla free agency del 2018 quando ritenne concluso il suo secondo mandato da imperatore di Cleveland (che a differenza del primo ha portato l’unico anello alla squadra dell’Ohio e soprattutto una leggendaria rivalità con i Warriors di Steph Curry) e decise quindi di cercare il quarto anello risollevando le sorti della parte più titolata di LA.
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ames trovò una squadra con un core interessante ma dal potenziale inespresso come quello costituito da Lonzo Ball, Brandon Ingram e Kyle Kuzma. La scelta più opportuna da parte del Re sarebbe stata quella di mettere a disposizione la sua esperienza vincente e le sue doti atletiche e balistiche ancora impressionanti e inarrivabili per la maggior parte del pianeta NBA per far crescere questo nucleo e arrivare a vincere nel futuro prossimo lasciando prospettive di crescita alla franchigia.

Di questi quattro solo uno è rimasto a LA...

Di questi quattro solo uno è rimasto a LA…

Non è andata esattamente così perchè già nell’inverno 2018-19 James fa capire a chiare lettere di pretendere al suo fianco Anthony Davis da tempo scontento a New Orleans.

Facile parlare col senno di poi bollando questa richiesta come errata, possiamo peraltro ricordare che anche Kobe Bryant, a metà anni 2000 e coi Lakers in piena crisi con l’asse play-pivot Smush Parker-Kwame Brown a collezionare figure barbine, si impuntò con la dirigenza chiedendo acquisti di peso. Arrivò Pau Gasol e con lui tre finali consecutive di cui due vincenti prima che il 4-0 contro Dallas nel 2011 concludesse definitivamente l’epopea Kobe-Phil Jackson.

Sta di fatto che in quell’inverno 2019 Davis non arrivò e l’anno si concluse con i Lakers fuori dalla postseason per la sesta volta consecutiva con conseguente licenziamento di coach Luke Walton, destinato poi a un altro insuccesso sulla panchina dei rivali dei Sacramento Kings.

Nell’estate 2019 quindi le richieste del Re furono soddisfatte. Il nucleo di cui sopra fu smontato con Ball e Ingram ceduti a New Orleans come contropartita (così come Josh Hart) proprio per Anthony Davis. James ha quindi il suo co-protagonista per riportare i Lakers al successo immediato, che però è costato alla squadra la perdita di ben tre prime scelte future.

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Tutto questo però viene messo in secondo piano da una stagione caratterizzata soprattutto dalla pandemia di Coronavirus e dalla conseguente interruzione della stagione NBA (oltre che di tutte le stagioni sportive nel mondo, o meglio quasi tutte, visto che a Taiwan i playoff si giocarono…) che alla sua ripresa a Disneyland, in una situazione particolare per tutti i giocatori ritrovatisi in una prigione dorata vera e propria, vide i Lakers vincenti grazie indubbiamente alle due stelle ma anche a gregari di comprovata efficacia come Danny Green (che si portò a casa il terzo titolo con tre squadre diverse) JaVale McGee e Alex Caruso, amatissimo dai suoi tifosi per l’energia che mette in ogni giocata.

Tutto molto bello ma già la stagione successiva si dimostra deludente con l’uscita dai playoff al primo turno contro i Phoenix Suns che a differenza dei Lakers hanno costruito mattone su mattone la loro scalata ai piani alti della Western Conference, draftando DeAndre Ayton, lasciando emergere Devin Booker e aggiungendo Chris Paul a un core ben definito ed affiatato.
Cosa che ai Lakers non è avvenuta.

Ma per James non c’è problema: basta aggiungere un altro grosso nome e finire di distruggere quel poco che era rimasto in piedi di già costruito. Via quindi Caruso in free agency, via Kyle Kuzma, dentro Russell Westbrook.
L’acquisto meno sensato che si potesse fare in quel momento.

Su Westbrook mi sono già espresso in un precedente articolo di cui rimarco in succinto il contenuto: oggi è il perfetto capro espiatorio e la responsabilità è senza dubbio sua, ma anche di chi ha avuto l’idea di inserirlo in un contesto dominato totalmente da LeBron, in cui tutte le possibili evoluzioni future sono state sacrificate sull’altare della vittoria immediata (ed effettivamente arrivata) e in cui non si riesce a costruire un gioco diverso dal palla-a-James e dallo speriamo-che-AD-sia-sano.
Cosa mai poteva portare di buono il buon Russell in questo ambiente?

Westbrook è un giocatore di istinto, di atletismo e bisognoso di avere la palla in mano per rendere. Non ci si poteva aspettare che cambiasse dall’oggi al domani per il solo privilegio di giocare ai Lakers e al fianco di LeBron.

In generale l’epoca in cui giocare ai Lakers o da qualunque altra parte sia un privilegio per il solo nome e amore della franchigia è finita. C’è chi se ne è fatto una ragione (i Raptors che dopo Leonard continuano a fare il massimo e ad essere una squadra più che apprezzabile, ad esempio) e chi no. I Los Angeles Lakers fanno parte del secondo gruppo.

Così Russell combatte contro i mulini a vento prendendo solo craniate in testa e i Lakers perdono e continueranno a farlo. Ad oggi il problema principale dei gialloviola non è l’inizio stagione da solo due vittorie, non è Westbrook e neanche l’essersi messi in mano a coach Darvin Ham alla sua prima panchina in assoluto: il problema è l’assenza totale di prospettive.

Tre contrattoni, un Patrick Beverley, spiccioli per gli altri

Tre contrattoni, un Patrick Beverley, spiccioli per gli altri

La stessa sconfitta casalinga con i Cleveland Cavaliers è esplicativa in proposito: è bastato un break di 13-2 degli ospiti a inizio terzo quarto per far crollare i Lakers che si sono ritrovati privi di riferimenti. Gli avversari, invece, quei riferimenti li hanno costruiti negli anni a poco a poco e aggiungendo Donovan Mitchell a una squadra già consolidata e in ascesa.

La franchigia voleva vincere subito e ha vinto. Ma per farlo ha bruciato tutto ciò che aveva coltivato, poco o tanto che fosse (e nel frattempo Ingram è diventato un affidabile scorer a New Orleans e Hart un ottimo play apprezzato dovunque giochi per ciò che può dare) e non ha più margine di costruzione immediato.

Anche un buon giovane come Malik Monk se n’è andato a Sacramento in free agency. Ad oggi restano i contrattoni di James e Davis a pesare quasi 180 milioni fino al 2025 e praticamente nient’altro per il futuro: la squadra attuale è fatta soprattutto di contratti annuali e le scelte al Draft sono partite per Anthony Davis.

Il prossimo futuro sarà in mano al quasi quarantenne LeBron e al sempre più fragile e sempre meno superstar Brow, si dovrà cercare finalmente di mettere su qualcosa dalle macerie, ma se si continuerà a puntare su un fantastico ma fisiologicamente declinante James e sul nome della franchigia come attrattiva i risultati saranno come quelli degli ultimi anni: disastrosi.

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