Una cosa è certa: non si ha il quarto miglior record della intera NBA per caso. Certo, sono meno di dieci le partite giocate. Ma il 6-3 che al momento scrive il nome di Portland al quarto posto della Western Conference ha dell’insospettabile.

Incredibile? No, perché chi lavora dietro le quinte, e assembla i roster, sa ben di più. Ben di più rispetto a noi seduti in platea, come spesso succede nel mondo dello sport.

In effetti, a ben pensarci, il rebuild dato per scontato ha annebbiato un po’ la vista a tutti. E i dati per smentire il pronosticato collasso della franchigia erano palesi, a partire dalla testardaggine di un Lillard che non ha mai voluto abbandonare i nero-rossi. Voleva (e vuole) vincere il titolo nella sua città. E se è ancora lì, è perché ci sono ottimi motivi per crederci. Poi, riuscirci sarà tutt’altra questione.

Tutto è partito con la coraggiosa scommessa di un anno fa. Chauncey Billups, dopo un solo anno in panchina Clippers come apprendista alle spalle di Ty Lue, è chiamato al grande salto. Rialzare in un solo anno il destino di una franchigia allo sbaraglio era troppo da chiedere per un rookie coach, sebbene un ex-campione NBA con Detroit.

27-55 il mesto bottino della scorsa stagione, con nel mezzo uno smantellamento di buona parte del roster. Norman Powell e Robert Covington spediti proprio ai Clippers, ma soprattutto CJ McCollum impacchettato in direzione NOLA insieme a Larry Nance.

Quest’anno, però, la melodia è decisamente cambiata.

La difesa è rinata. Nella scorsa stagione, ultimissima con un defensive rating di 116.9. Ora, quello stesso dato recita 110.7, dodicesimi in tutta la NBA. Josh Hart, arrivato dai Pelicans nella trade di McCollum, e un ritrovato Nurkic sono l’ancora difensiva degli oregoniani.

Al contempo, però, l’attacco ha ritrovato maggiore dinamismo. 114 di offensive rating contro il 107 dell’anno scorso. Merito del solito Lillard, ma soprattutto di un front office che ha saputo guardare lontano, scommettere senza paura e, francamente, un’aggressività ingiustificata se davvero si trattasse di una squadra in rebuild mode.

Nella metà campo offensiva, la Lillard dipendenza si sente sempre meno. Certo, le medie di Dame-Time rimangono stratosferiche (31 a partita con il 39,2% dalla distanza), ma le alternative non mancano. Sempre più al centro del progetto e del gioco è Anfernee Simons.

Una crescita esponenziale e pazzesca per un giovanissimo. 23 anni, ma in NBA dal 2018 (24° scelta assoluta). Primo americano dopo le nuove regolamentazioni (datate 2005) ad arrivare al professionismo direttamente dalla high school. Usato con il contagocce per i primi due anni, poi ha sempre trovato il modo di farsi vedere sfruttando gli infortuni e i rest games di Lillard. E ora è un giocatore bell’e fatto, vero trascinatore dei Blazers.

L’altra scommessa vinta dal GM Joe Cronin è Shaedon Sharpe. Forse è troppo presto per definirla vinta, ma il rookie ha già dato segnali evidenti di essere un giocatore speciale.

The sky is not the limit, because he can jump out of it”, parole del compagno di squadra Justise Winslow. I dubbi pre-Draft erano tanti. In fondo si tratta di un diciannovenne, con nemmeno un minuto giocato in NCAA. Sì, perché Shaedon si era legato a Kentucky un anno prima, con i progetto di giocare dalla stagione attuale con i Wildcats. Poi ha deciso di affrettare le tappe, dichiarandosi subito per il Draft. Sembrava un passo più lungo della gamba… ma vedendolo sul parquet ci si rende conto che i palazzetti NBA sono il suo habitat naturale. Energia, incoscienza giovanile, e tanta tanta pallacanestro nel suo sangue.

Il penultimo tassello di questo puzzle ha nome Jerami Grant. Non un nome nuovo, anzi celebre per essersi rinchiuso nella prigione d’oro di nome Detroit dopo un ottimo 2019-20 in maglia Nuggets. Due anni dopo, al prezzo di una prima scelta, due seconde e il nostro Gabriele Procida, lascia Motor City e si aggrega alla combriccola lillardiana (alla faccia del total rebuild che ci sarebbe dovuto essere). Difesa solida quanto basta, e abilità offensive sopra la media. 16 punti, 4 rimbalzi e 3 assist a partita, terza stagione più prolifica della sua carriera. E siamo solo all’inizio.

Sono solo 7 partite. Ogni singola parola scritta o pensata potrebbe essere smentita. La barca è ancora in tempo per affondare. Ma come dice una saggia scritta su un muro vicino a casa mia: “sognare non costa nulla, è svegliarsi che costa caro”. E a Portland le scritte sui muri probabilmente recitano: non svegliateci.

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