Ormai ci siamo, mancano pochi giorni alla prima palla a due della 77esima stagione della National Basketball Association e le quindici squadre della Western Conference scaldano i motori. Anche se non tutte per rendere al meglio in campo…

Il campionato che sta per iniziare vedrà infatti due lotte ben distinte: quella più convenzionale, appassionante e sportivamente logica tra le squadre che battaglieranno per il titolo detenuto dai Golden State Warriors e un’altra tra le formazioni destinate alla bassa classifica che ha come premio le maggiori possibilità di aggiudicarsi un premio che non varrà un anello nel presente, ma potrebbe valerne tanti nel futuro: Victor Wenbanyama. Peccato che quest’ultima sia una lotta a chi perde di più…

Addentriamoci quindi nell’analisi delle formazioni a Ovest cercando di tracciare, come molti colleghi fanno da sempre, la griglia di partenza in vista della prossima stagione NBA.

1. GOLDEN STATE WARRIORS

Chiaro come il sole che i Warriors campioni in carica siano la squadra da battere non solo a Ovest ma nell’intero campionato NBA e non solo per una questione di roster.

Steve Kerr è tornato ad accaparrarsi un titolo NBA dopo il biennio oscuro degli infortuni agli Splash Brothers non solo ritrovando le sue stelle nella giusta condizione e con la voglia di vincere praticamente immutata (l’anno di Steph Curry nel suo rientro parla da solo pur non avendo portato la postseason) ma anche costruendo un futuro potenzialmente radioso lanciando Jordan Poole come fratellino minore dei suddetti Splash, ricostruendo da capo un Andrew Wiggins che sembrava avviato a una carriera da scorer prolifico in squadre senza troppe ambizioni e non disdegnando il frontcourt nella squadra che tira da dovunque per eccellenza con Jonathan Kuminga all’anno della maturità e James Wiseman che ha mostrato in preseason ciò di cui è capace.

In questo contesto Klay Thompson ha potuto con calma e pazienza raggiungere i livelli abituali malgrado due infortuni da fine carriera e ad allungare ulteriormente una rotazione con tanto ben di Dio sono arrivati anche JaMychal Green e Donte DiVincenzo che sicuramente con la guida di Kerr sapranno incanalare nella direzione giusta il contributo energico che hanno mostrato di saper dare alle loro squadre in passato.

Tutto molto bello, non fosse che a turbare un cielo così sereno (o forse a dare a noi analisti qualcosa da dire che non sia “quanto so’fforti sti Warriors”) è arrivata la lite in allenamento con Jordan Poole che ha alzato la cresta contro il senatore per eccellenza di Golden State, Draymond Green, che ha risposto al reato di lesa maestà alla sua maniera: con un cazzottone che ha lasciato steso secco a terra il povero Poole.

Un alterco che potrebbe essere sintomatico del classico scontro tra nuove e vecchie leve e che porterà sicuramente a dei provvedimenti per Green, ma in attesa di verificare sul campo il suo impatto non si può non piazzare i Warriors al top della Western Conference 2022/2023.

2. LOS ANGELES CLIPPERS

Ai Clippers è l’anno dell’ora o mai più. Dai tempi della Lob City di Chris Paul che alza e la coppia Blake Griffin/DeAndre Jordan che sradica i ferri si parla tanto di cambio al vertice a Los Angeles ma per quanto la squadra oggi allenata da Tyronn Lue sia ormai una presenza fissa ad alti livelli l’anello non è mai arrivato.

Quest’anno sa tantissimo di ultima occasione per la potenziale corazzata californiana che parte dal rientro in pianta stabile dell’unico giocatore tra le stelle dei Clippers ad essersi fregiato del titolo di campione NBA: Kawhi Leonard si è preso tutta la scorsa stagione per tornare nel pieno delle sue condizioni fisiche e mentali e riuscire finalmente a guidare la truppa di Lue a quell’anello che resta l’ultimo obiettivo di quello che è il miglior periodo della storia della franchigia (ma che nel frattempo ha visto i Lakers vincere un altro titolo) Al suo fianco Paul George che lo scorso anno ha dimostrato di essere a suo agio nei panni di leader e un altro anulare vuoto illustre come John Wall che cerca il rilancio definitivo dopo anni bui prima nell’ultimo periodo di Washington e poi ai Rockets trovatisi successivamente orfani di James Harden e di ambizioni.

I dubbi ci sono e non riguardano solo i tanti galli nel pollaio ma anche il fatto che tutti i tre campioni citati hanno passato i trenta (si prospetta uno starting five con Ivica Zubac unico non ultratrentenne) ma la squadra è completa, esperta e sicuramente motivata. Un altro anno a secco di titoli potrebbe però portare a seri dubbi sul proseguimento del ciclo (Leonard e George hanno una player option nel 2024) e potenzialmente a un’altra ricerca di una nuova era per portare il titolo NBA in quella che una volta era la sponda minore di Los Angeles.

3. DENVER NUGGETS

La notizia principale per i Nuggets non può che riguardare il contratto più ricco mai firmato nella storia della NBA: 270 milioni di dollari (mica bruscolini, come si diceva in una trasmissione che piaceva tanto ai più anzianotti) per il due volte MVP della lega Nikola Jokic.

Il Joker ha dimostrato peraltro di meritare questi bei soldoni fino all’ultimo centesimo non solo per le meraviglie con cui lascia a bocca aperta gli appassionati da qualche annetto a questa parte ma anche per la sua continua volontà di migliorarsi lavorando sul suo fisico e diventando oggi un’autentica ira del Signore per chiunque affronti la sua squadra, che infatti da tre anni è protagonista di deep run ai playoff.
La domanda che sorge spontanea è: quest’anno i Denver Nuggets riusciranno a ottenere qualcosa di più della finale di Conference, miglior risultato dell’era Jokic nel 2020?

A rinforzare le possibilità del “sì” arriva soprattutto il ritorno di Jamal Murray dopo la fine del calvario ospedaliero che lo ha tenuto fuori una stagione e mezza. Murray aveva incantato tutti nella bolla di Orlando per poi partire senza convincere troppo la stagione successiva e rompersi poi il crociato; molto delle speranze di successo in Colorado passano per lui così come per Aaron Gordon che ha una delle ultime occasioni per dare finalmente un contributo incisivo.

La dirigenza non è stata con le mani in mano e ha dato a Will Malone uomini d’esperienza come Caldwell-Pope e, perchè no, DeAndre Jordan per cercare di tramutare un’ottima squadra come la Denver degli ultimi anni in una contender fatta e finita. Le intenzioni sono buone e in attesa di vedere se saranno confermate dai fatti la certezza resta sempre Jokic, quest’anno come nel futuro prossimo.

4. MEMPHIS GRIZZLIES

I Grizzlies di Taylor Jenkins sono come l’anno scorso la massima espressione del motto “potere ai giovani”. Anche quest’anno quindi via libera allo spettacolo dei ragazzotti di Memphis pronti a correre come pazzi, bombardare da tre al primo centimetro utile e fare a gara a chi salta più in alto di tutti col fantastico Ja Morant a fare da attrazione principale.

Morant si sta ritagliando uno spazio tra le stelle assolute di questa lega a suon di balzi sopra il ferro e soprattutto di performance balistiche da brivido e arriva anche quest’anno più agguerrito che mai a squarciare le difese per permettere al cecchino Desmond Bane di aprire il fuoco. Gli stessi ingredienti dello scorso anno ma che hanno funzionato alla grande e non hanno motivo di non ripetersi in questa stagione aggiungendoci l’immancabile deputato al lavoro sporco come Dillon Brooks.

Anche i problemi sono gli stessi del passato recente però: tanto per cambiare Jaren Jackson Jr. è di nuovo rotto e salterà la prima parte di stagione per poi verosimilmente prendersi l’altrettanto consueto periodo di re-ambientamento sul parquet. Un elemento così prezioso nello scacchiere di Jenkins e al contempo così fragile meriterebbe a questo punto un affiancamento robusto nel frontcourt dove invece troviamo un Killian Tillie ancora in fase di maturazione e soprattutto uno Steven Adams non sempre a suo agio nel ruolo di equilibratore di questi ardimentosi giovini. Peraltro se n’è andato Kyle Anderson e quindi di esperienza ce n’è ancora meno… (conta il giusto l’aggiunta di un Danny Green alle prese col terribile binomio torn ACL)

Ci si divertirà sicuramente tantissimo a vedere i Grizzlies anche quest’anno, Morant ritoccherà qualche altro record individuale, ma l’ultimo passo per poter davvero competere ad alti livelli deve ancora arrivare.

5. DALLAS MAVERICKS

Anno quinto dell’era Luka Doncic in arrivo per Dallas che da quando si è accaparrata il fenomeno di Lubiana è passata dal declino post-Nowitzki al tornare in pianta stabile ai playoff con una passata stagione per la quale il bicchiere è molto più che mezzo pieno. Se la finale di Conference per i Mavericks è stato un risultato inaspettato per quasi tutti di certo non si può dire che non ci siano pieni meriti da parte dei texani con Jason Kidd che si è liberato di un Porzingis sempre più palla al piede e ha potuto costruire un sistema difensivo letale per affiancare la sua stella.

Gli interpreti di quel sistema sono tutti al loro posto: Bullock a ringhiare sugli esterni, Finney-Smith e Kleber a cambiare su chiunque gli passi a tiro e a sfruttare gli spazi creati dalle capacità irreali di Doncic di arrivare al ferro. L’estate ha visto arrivare inoltre JaVale McGee come complemento di un frontcourt che l’anno scorso era parecchio debole e un giocatore ancora giovane e con ambizioni di crescita come Christian Wood che esce da un contesto perdente per abbracciarne uno in grado di competere in alto.

Quanto in alto solo il parquet potrà dirlo ma va detto che le analisi preseason non possono ad oggi prevedere una vera lotta al titolo NBA per Dallas. Il mercato della franchigia di Mark Cuban soffre infatti di un errore pesante come il mancato rinnovo di Jalen Brunson, non tanto per il valore in sè del giocatore (che resta una ottima comboguard ma che a mio avviso a New York avrà ben poco da divertirsi senza Doncic e coi Knicks che sappiamo) quanto per non essere riusciti a ottenere assolutamente nulla in cambio. Tra gli esterni si punterà fortissimo quindi sul ritorno di un Tim Hardaway rinnovato a mio avviso troppo frettolosamente due stagioni fa, che rientra da un grave infortunio e dovrà inserirsi nel suddetto sistema difensivo di Kidd in cui c’è poco spazio per un tiratore streaky e un difensore ondivago come lui.

Dallas arriverà lontano, Doncic continuerà a incantare tutti, ma anche in questo caso per l’anello meglio ripassare dopo qualche altro ritocco al roster.

6. MINNESOTA TIMBERWOLVES

Ovvero i protagonisti della trade dell’anno e che ha condizionato pesantemente il mercato NBA dell’estate 2022: quella che ha portato tra i lupi del Minnesota nientemeno che Rudy Gobert. Della serie: abbiamo un grande centro offensivo ma che in difesa passa dal rivedibile al disastroso? Nessun problema: gli compriamo il miglior difensore della NBA tra i lunghi.

D’altra parte i Timberwolves sono reduci da un finale di stagione 2021-22 che ha mostrato a chiare lettere di cosa può essere capace la squadra di Chris Finch: play-in tournament con eliminazione dei Los Angeles Clippers e primo turno playoff in cui la squadra di Minneapolis ha combattuto ad armi pari contro i Memphis Grizzlies spinta da un pazzesco Anthony Edwards dimostratosi pronto a prendersi anche lui l’elite degli esterni NBA.

Con Gobert i penetratori avversari ci penseranno due volte ad attaccare Towns come prima opzione ben sapendo che troveranno il francese a spazzare via qualsiasi cosa in aiuto e KAT dovrà sacrificarsi molto meno in difesa conservando le energie per tutto il suo vastissimo repertorio offensivo.

I Timberwolves sono tornati ai playoff lo scorso anno per restarci, sarà molto probabilmente una stagione positiva per la truppa di Finch, ma per una deep run ci sono ancora dei limiti dettati soprattutto dal fatto che non basta un Gobert per risolvere magicamente i problemi di una difesa puntualmente tra le peggiori in NBA gli scorsi anni e nel backcourt i punti sono tantissimi, i costruttori di gioco molto meno.

Da questo punto di vista i Wolves convivono col dilemma D’Angelo Russell; l’ex Lakers è senz’altro un pilastro fondamentale capace di prendersi i tiri che scottano, ma quanto senso ha la sua presenza al fianco di un altro grande attaccante come Edwards senza che ci sia un vero direttore d’orchestra ad armarli entrambi? E inoltre, Edwards ha bisogno di crescere difensivamente, potrà farlo in modo sereno dovendo anche coprire le magagne difensive appurate di Russell?

Un dubbio amletico con cui la dirigenza convive da tempo ma a cui ha deciso di rispondere con un “ha senso”. Vedremo sul campo come andrà ma se non dovesse funzionare la prima mossa che andrà fatta l’ho ampiamente descritta sopra.

7. NEW ORLEANS PELICANS

Altra squadra in crescita e altra potenziale mina vagante soprattutto perchè Zion is back.

Per l’uomo che porta il nome della terra promessa questo dovrebbe essere davvero l’anno buono. Finora abbiamo assistito a piccoli assaggi di quanto devastante possa essere l’ex Duke ma questi bagliori di talento cristallino sono stati seppelliti da notizie sulla sua cattiva condizione fisica, sulle sue ginocchia fragili e sulla difficoltà a tenere sotto controllo il peso. Ora però Williamson è visibilmente in forma e sano per poter finalmente mostrare a tutti noi appassionati e soprattutto agli avversari quello che sa fare.

Per questo i Pelicans lo scorso anno hanno deciso di non darsi al tanking e di acquistare CJ McCollum da una Portland che non sembra avere più molto da dire com’è messa attualmente per puntare a un finale in crescendo che potesse dare energia e motivazioni alla squadra in vista di questa stagione che sta per iniziare. Il risultato è stato quello sperato con McCollum a suo agio nel ruolo di leader dopo aver ricoperto quello di spalla di Dame Lillard per tanti anni e Brandon Ingram in crescita definitiva per trasformare i suoi hero ball in tiri decisivi, senza dimenticare quello che a mio avviso è il miglior Jonas Valanciunas della carriera NBA sotto canestro in grado di intimidire e di segnare a profusione.

Quello che personalmente non mi convince è proprio la convivenza tra due giocatori interni come Valanciunas e Williamson. Nell’anno in cui il ruolo di centro era ricoperto da Steven Adams (non certo un giocatore come il lituano ma sicuramente un altro dei pochi puramente interni) i risultati dei Pels sono stati poco convincenti e attualmente non ci sono troppe ragioni che possano convincermi che con Valanciunas le cose possano andare in modo troppo diverso. In più nella NBA odierna affidarsi a due lunghi che prediligono il gioco d’area contemporaneamente è quasi un azzardo, che pagherà solo se ci sarà una crescita definitiva di una difesa di squadra non sempre convincente, se Ingram resterà sul pezzo e non ricomincerà a sparare tutto ciò che gli passa per le mani e se Williamson troverà un tiro rispettabile dalla lunga.

Un po’ troppi se per puntare a una vera deep run. Per adesso godiamoci Zion, ci sarà ampiamente tempo per il resto.

8. PHOENIX SUNS

Con i Suns in netto vantaggio nel secondo turno playoff 2022 contro Dallas Devin Booker cade a terra, finge dolore, poi sorride in favore di telecamera e dice: The Luka Special!!!
Da lì nulla più per Phoenix fu lo stesso e il povero Devin si accorse a sue spese che la specialità di Luka non è esasperare i contatti (cosa che fa eh, non c’è dubbio) ma trasformare una contender della NBA in uno psicodramma travestito da squadra nel giro di due partite.

La vendetta di Luka Doncic che mette a ferro e fuoco il Footprint Center segnando nel primo tempo quanto tutti i Suns ha avuto ripercussioni devastanti sull’estate della franchigia dell’Arizona che ha perso il fondamentale uomo-spogliatoio JaVale McGee proprio in favore di Dallas e si ritrova con tantissime situazioni difficili nel roster: da Jae Crowder che ha chiesto da tempo di essere ceduto a DeAndre Ayton che non parla col coaching staff da mesi passando per Chris Paul che quest’anno compirà 38 anni e si è trovato in netta riserva di ossigeno nelle ultime gare della serie contro i Mavericks. Certo, la stagione deve iniziare, ma i Suns hanno inaugurato la loro preseason con l’improbabile sconfitta contro i carneadi australiani Adelaide 36ers.

Il roster è più o meno quello dello scorso anno per ora ma la condizione mentale dei Suns è tutta da costruire e anche quando avranno superato il trauma degli scorsi playoff si renderanno probabilmente conto che stanno puntando a un anello NBA affidandosi a un grandissimo, sublime ma quasi quarantenne Chris Paul come go-to-guy e che la consistenza ad alti livelli di Booker come leader è ancora tutta da dimostrare. Se davvero Crowder sarà ceduto inoltre si perderà un elemento di raccordo molto più importante di quanto si pensi, per non parlare di cosa voglia dire giocare col tuo centro titolare sfiduciato e che come riserve ha l’eterna incompiuta Biyombo e un Dario Saric che ad Eurobasket ha mostrato di non essere ancora in condizione fisica.

In attesa di essere clamorosamente smentito dai fatti, insomma, direi che per quell’anello in Arizona ci sarà ancora da attendere.

9. LOS ANGELES LAKERS

Abbiamo appena finito di parlare di una situazione di spogliatoio difficilissima e quindi lasciatemi dire che è molto bello passare invece a un panorama sereno, tranquillo e di prospettiva come quello dei Los Angeles Lakers.

Una squadra che notoriamente digerisce benissimo i periodi bui è infatti reduce da una sfavillante stagione da 33-49 grazie a un roster costruito in manera assolutamente mirabile, con le chiavi della squadra in mano a un giocatore di affidabilità comprovata come Russell Westbrook (talmente amato dalla tifoseria da guadagnarsi l’affettuoso soprannome di Westbrick) e con giovani in ascesa come Talen Horton-Tucker, che non si è ancora capito quanto sia forte e quanto sia un bluff, e Malik Monk, prontamente ceduto ai rivali dei Sacramento Kings. Risultato? LeBron James fuori dai playoff per la prima volta in carriera.

Quest’anno le cose dovranno andare diversamente e le mosse della dirigenza parlano chiaro in proposito: come coach via libera a un esordiente assoluto come Darvin Ham (mi ricorda tanto Jason Kidd preso come coach nella Brooklyn delle superstars, che infatti ci ha impiegato poi anni a guadagnarsi una reputazione credibile) mentre nello spot di playmaker dopo aver provato a cedere Westbrook in tutti i modi possibili e immaginabili si è scelto di affiancargli nientepopodimeno che un giocatore tranquillo e compassato come Patrick Beverley.

Insomma, uno spogliatoio pronto a esplodere al primo fiammifero acceso e una squadra in mano alla salute di Anthony Davis e a un LeBron che onestamente mi sembra abbia attualmente come massima aspirazione quella di giocare al fianco del figlio Bronny. Certo, io non vorrei mai trovarmi contro un James reduce dalla lesa maestà dell’assenza della postseason, ma le mosse dei Lakers mi sembrano davvero degne di un giocatore di NBA 2k in vena di esperimenti folli e per quanto mi riguarda un ritorno ai playoff sarà da vedersi come un punto di arrivo piuttosto che di partenza.

10. SACRAMENTO KINGS

Nuntio vobis gaudium magnum: i Sacramento Kings versione 2022-23 hanno potenzialmente un senso come squadra.

Il margine di manovra per la dirigenza della capitale della California era quello che è ma il roster non sembra affatto costruito male. Già negli ultimi mesi della stagione la trade che ha portato Domantas Sabonis in maglia Kings ha permesso di sfoltire la rosa di millemila SF in mano al nuovo coach Mike Brown e per quanto la cessione di Tyrese Haliburton possa essere discutibile è, appunto, una scelta logica avendo DeAaron Fox come giocatore di punta e Davion Mitchell a fargli da vice.

Via anche un Buddy Hield che quello che poteva dare l’aveva già dato in favore di un giocatore in crescita come Malik Monk e di un tiratore affidabile (per quanto cali sotto pressione) come Kevin Huerter; la scelta di Keegan Murray è un giusto rinforzo al frontcourt dove si alterneranno il succitato Sabonis e un Richaun Holmes che ora ha un contesto molto più idoneo ad emergere. A fare da uomo di raccordo una delle poche certezze dei Kings degli ultimi anni come Harrison Barnes.

A mio avviso non è ancora abbastanza per i playoff in un contesto molto competitivo come la Western Conference più che altro perchè ora che a Sacramento hanno una squadra bisogna che si costruisca anche un gioco e una mentalità difensiva, cosa che bisognerà fare praticamente da zero. Ma un raggiungimento anche del play-in tournament dove tutto può accadere (pensate a un possibile accoppiamento con gli odiati Lakers…) può essere un piccolo, ma importante punto di partenza per i poveri tifosi Kings che ormai da vent’anni sostengono una squadra che non vince mai nulla.

11. PORTLAND TRAIL BLAZERS

Stiamo per entrare nella zona “tank for Wenbanyama” con una Portland che sinceramente non ho ben capito che idea abbia del proprio presente e del proprio futuro.

La cessione di CJ McCollum sembrava presagire una smobilitazione da parte dei Blazers e invece il roster di Portland versione 2022/23 non presenta troppe differenze strutturali rispetto a quelli degli scorsi anni. Squadra sempre in mano al fantastico Damian Lillard che sarà affiancato da Anfernee Simmons come scorer di punta; aggiunta di Gary Payton II per migliorare la difesa del backcourt e di Jerami Grant per aggiungere pericolosità offensiva e togliere pressione a Lillard, infine backcourt ancora in mano a Jusuf Nurkic.

Direi quindi che le intenzioni della dirigenza Blazers non siano quelle di giocarsi le proprie chance di accaparrarsi Wenbanyama ma piuttosto quelle di competere per la postseason. In tutta sincerità però mi sembra un po’ poco sia in prospettiva presente che futura (Grant è in scadenza) e come avevo scritto nella mia analisi dei Blazers degli ultimi mesi nello scorso anno avrei puntato piuttosto a una rivoluzione totale cercando di cedere Lillard a suon di scelte e spazio salariale.

Così non è stato e quindi si continuerà a competere, ma con le stesse armi che si sono rivelate alla lunga spuntate nelle scorse stagioni. Vedremo se Lillard e un’eventuale esplosione di Simmons mi smentiranno.

12. UTAH JAZZ

Qui invece si è a tutti gli effetti preso atto che un ciclo è finito e sono in pieno corso i lavori di demolizione.

Donovan Mitchell e Rudy Gobert hanno già salutato la carovana mormone e probabilmente lo farà più o meno presto anche Mike Conley; al loro posto sono arrivati giocatori come Lauri Markkanen (impressionante ad Eurobasket) e Colin Sexton sicuramente di tutto rispetto ma niente affatto idonei ad essere le punte di diamante di una contender. Probabile quindi che si cerchi di dare via gli ultimi pezzi pregiati (oltre al succitato Conley anche Bogdanovic e Clarkson quindi) per far crescere il roster che conta cinque esordienti assoluti, tra cui il nostro Simone Fontecchio che da un lato arriva in un contesto che sarà con ogni probabilità perdente ma dall’altro avrà più occasioni per mettersi in mostra.

E’ un anno zero a tutti gli effetti quindi per Utah che inizia a costruire il proprio futuro dalla stagione 2022-23. Se è un futuro che porterà in dote qualcosa di sostanzioso è tutto da vedere ma la decisione della dirigenza mi sembra sostanzialmente quella giusta dopo aver battagliato anni per andare vicino a un titolo che non è mai arrivato. E stavolta non c’era neanche MJ…

13. HOUSTON ROCKETS

Poco da dire sui Rockets che dall’addio di James Harden e dalla successiva pesca di Jalen Green hanno accelerato pesantemente sulla pista del tanking, iniziando nel frattempo anche a mettere su qualcosina di costruito.

Con calma e pazienza Green sta cercando di evolvere nella selezione dei tiri ben affiancato da un Jae’Sean Tate in ascesa; nel frattempo la dirigenza si è liberata del contrattone di John Wall, dell’ultimo rimasuglio dell’era Harden Eric Gordon e di un Christian Wood poco compatibile con un contesto di rebuilding per accumulare spazio salariale e sperare in un pizzico di fortuna per i successivi Draft.

Una situazione abbastanza classica quindi che porterà i Rockets a un’altra annata perdente ma nella consapevolezza che la strada verso una franchigia di successo passa anche per questo tipo di situazioni. D’altra parte, come nel caso dei Jazz, il precedente ciclo Harden non ha portato all’anello NBA e quindi giusto radere tutto al suolo e ripartire da zero.

14. OKLAHOMA CITY THUNDER

Beh, c’è da competere per Victor Wenbanyama, per molti il miglior prospetto della storia e un giocatore che “metterà nei guai la lega” (Kevin Durant dixit) e volevate che il re della lotta alla prima scelta Sam Presti si astenesse?

Per la verità OKC aveva pescato un importante elemento per il proprio futuro come Chet Holmgren, lungo dai fondamentali cristallini ma che aveva fatto suscitare dei dubbi sulla consistenza fisica, dubbi che si sono puntualmente confermati col suo fisico longilineo (per usare un eufemismo…) che è andato subito a sbattere con l’intensità NBA costringendolo a un anno di stop.

Per cui anche quest’anno vedremo Shai Gilgeous-Alexander a mettere su numeri che non serviranno a nulla, Luguentz Dort e Josh Giddey a continuare la loro crescita e gli Oklahoma City Thunder a un altro anno a secco di soddisfazioni sul campo ma utile per far maturare un nucleo che si sta pian piano stabilizzando e che potrebbe avere Wenbanyama come elemento principale.

15. SAN ANTONIO SPURS

In assoluto la squadra che ha puntato di più sulle possibilità di mettere le mani sul fenomeno francese. Gregg Popovich ha deciso di offrire agli Spurs un altro anno della sua esperienza in panchina per allenare un roster a cui, ceduto anche Dejounte Murray, è rimasto il nulla più assoluto.

A parte il solo Keldon Johnson l’intera squadra dei San Antonio Spurs è costituita infatti da contratti in scadenza di giocatori sostanzialmente inutili alla causa come Josh Richardson, Doug McDermott e Jakob Poeltl affiancati a giovani meno che ventenni come Josh Primo e Blake Wesley. Difficile trovare altro da aggiungere per quanto riguarda la stagione 2022/23 se non che la squadra materasso dell’Ovest saranno con ogni probabilità proprio gli Spurs, per quanto sia difficile immaginare San Antonio come la perdente per eccellenza a noi che abbiamo visto il ventennio delle meraviglie di Duncan, Parker e Ginobili.

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