In settimana è ufficialmente calato il sipario sulla telenovela che ha visto Kevin Durant e i Brooklyn Nets come protagonisti e l’intero universo degli appassionati NBA nella veste di spettatori (più o meno) interessati. 

Nella giornata di martedì scorso, il sempre ben informato Shams Charania di ESPN ha fatto infatti sapere che Kevin Durant, Rich Kleiman (agente di KD), Steve Nash (coach), Joe Tsai (proprietario) e Sean Marks (general manager) si erano incontrati il giorno prima a Los Angeles per discutere del futuro e avevano deciso, di comune accordo, di portare avanti la loro collaborazione. 

Qualche minuto dopo, sull’account Twitter dei Brooklyn Nets è stato pubblicato un comunicato ufficiale a firma dello stesso Sean Marks. Ci siamo concentrati sul basket, con un obiettivo comune in mente: costruire una franchigia che possa porta un titolo Nba a Brooklyn”. Queste le parole che (apparentemente) mettono la parola fine a una rottura che sembrava insanabile e che invece, più per necessità che per virtù, si è conclusa con un nulla di fatto.

La trade per KD non è andata in porto semplicemente perché non è stato possibile trovare una contropartita adeguata. Troppo alto il valore del giocatore, che seppur alle soglie delle trentaquattro primavere resta uno dei primi 4-5 del lotto, e troppo esose le richieste dei Nets, in particolare dopo che la trade sull’asse Jazz-Timberwolves per Rudy Gobert aveva completamente stravolto le logiche del mercato. 

Celtics, Heat, Raptors e recentemente anche i Grizzlies hanno provato a bussare alla porta dei newyorkesi per capire se ci potesse essere margine per una trattativa. Ma a parte i biancoverdi, che avevano presentato un’offerta centrata sul rampante Jaylen Brown (il quale, tra l’altro, pare abbia gradito il giusto), nessuna squadra è mai sembrata davvero vicina a chiudere una trade che avrebbe avuto pochi eguali nella storia della Lega.

Si torna quindi al punto di partenza, anche perché la permanenza in città di KD chiude sostanzialmente la strada anche all’uscita dell’altro ribelle Kyrie Irving, che sarà costretto (seppur con circa 37 milioni di presidenti spirati ad addolcire la pillola) a restare ancora un’altra stagione in quel di Brooklyn. A fargli compagnia ci saranno anche i patemi fisici e psicologici di Ben Simmons, lontano dai campi da ormai oltre un anno e il cui futuro appare tuttora piuttosto nebuloso, oltre a un resto del roster rimasto “in pausa” per due mesi e ancora parzialmente da completare.

Questo però non significa che tutta questa vicenda e, in particolare, le parole di Durant su GM e allenatore (sostanzialmente riassumibili nell’ultimatum “O me o loro”) possano essere cancellate e che tutti tornino magicamente sulla stessa barca come se niente fosse successo. Come diceva Nanni Moretti “le parole sono importanti” e c’è da star sicuri che Marks e Nash non dimenticheranno molto velocemente il trattamento loro riservato, così come Joe Tsai sa benissimo che il futuro del rapporto con la sua superstar è tutto tranne che scritto nella pietra.

KD ha ancora quattro anni di contratto, frutto di un’estensione da lui firmata non poi così tanti mesi prima dell’inizio di questa pantomima, ma la situazione è troppo ingarbugliata e logorata da dichiarazioni al vetriolo per poter pensare a un futuro senza ulteriori strascichi, per cui è possibile che il sipario si rialzi e che la sequenza ciak, motore, azione rinnovi la telenovela per una seconda (o terza, o quarta) stagione. 

Il sempre attento Adrian Wojnarowski ha paragonato questa vicenda a quella di Kobe Bryant nell’estate del 2007, quando il Black Mamba puntò i piedi con la dirigenza Lakers fino ad essere accontentato con l’arrivo in gialloviola di quel Paul Gasol che lo accompagnò nella vittoria dei titoli del 2009 e 2010. C’è da dire che Kobe era reduce da due stagioni giocate di fianco a Smush Parker, per cui almeno le attenuanti generiche vanno considerate.

I Nets forse sperano che la storia si ripeta e che le vittorie possano sanare, come spesso fanno, i conflitti di uno spogliatoio potenzialmente esplosivo già dal primo giorno di training camp. Che questo accada però è tutto da vedere, perché Durant sa essere uno splendido giocatore, ma quando ci si mette (ossia spesso) è anche un più che discreto rompip**le. Per non parlare di Irving. E di Simmons… Vabbè, ci siamo capiti.

#pray4nash

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