Mancano 5 secondi al termine del terzo quarto di gara-5 tra i Boston Celtics e i Golden State Warriors. La serie è sul 2-2 e la gara è in perfetto equilibrio con Boston che ha reagito al 24-8 in favore dei Warriors dopo 10′ attaccando costantemente l’area nel secondo quarto, ha risposto al ritorno di Golden State in doppia cifra di scarto prendendo a cannonate la retina dall’arco (6/9 da tre per i Celtics dopo un primo tempo da 3/15 e con la prima tripla arrivata dopo 20′) ed è in vantaggio dopo un gioco da tre punti di Jaylen Brown. 

I Celtics stanno ritrovando la forza di resistere alle spallate della macchina da guerra di Steve Kerr come in gara-1 disinnescando peraltro Steph Curry che dopo la sbornia da 43 punti nella gara precedente è fermo a 5/16 dal campo senza nessuna tripla realizzata (e finirà con zero bersagli dagli amati 7 metri e 24 per la prima volta nella sua intera carriera playoff chiudendo con 0/9) e si apprestano a giocarsi un ultimo quarto punto a punto per cercare di tornare a Boston in vantaggio 3-2.

Poi Andrew Wiggins sull’errore allo scadere dei 24 proprio di Brown cattura il suo ottavo rimbalzo, si butta verso la metà campo avversaria, capisce che non è il caso di cercare gloria personale e cerca un uomo libero trovandolo in Jordan Poole quando manca un secondo e il compagno di squadra è libero, ma coi piedi sulla storica sagoma di Jerry West che precede la scritta NBA Finals.

Poole non ha altra scelta che tirare. Per il resto, parlino le immagini.

Il momento NBA Finals è servito.

Non sarà all’altezza delle triple di Big Shot Rob Horry contro i Kings o contro i Pistons nè del francobollo di LeBron James su Andre Iguodala (e ho citato i primi due che mi venivano in mente) ma di sicuro il canestrone di quello che ormai è a furor di popolo il terzo Splash Brother ha completamente cambiato la quinta gara di finale trasformando un possibile ultimo quarto da decidere in volata in una passerella per i Warriors con Boston che non riesce a tirarsi su dopo questo gancio in pieno volto.

E qui torniamo a un vero e proprio mantra delle nostre analisi di queste finali NBA: la capacità dei Celtics di restare sul pezzo e giocare la propria pallacanestro.

Del senno di poi son piene le fosse per cui non si può ovviamente dire cosa sarebbe successo se il tabellone non avesse accolto nel paniere il tentativo di Poole ma come avevamo detto in precedenza Boston non solo era assolutamente in partita ma poteva contare sulla maggiore freschezza del proprio roster e sulla serata storta di Curry ma anche di Kevon Looney alle prese con problemi di falli (già tre dopo nemmeno cinque minuti di utilizzo nel primo quarto) per un assalto finale che da credibile stava diventando concreto.

Al di là di quello che sarebbe potuto accadere però Golden State è arrivata a vincere gara-5 anche grazie all’arma principale del roster di Udoka: la difesa. Da questo punto di vista protagonisti assoluti sono stati Gary Payton II e soprattutto Andrew Wiggins.

Cominciamo dal figlio del Guanto dei Sonics che ha vissuto una serata memorabile (la migliore della sua intera carriera NBA costituita, prima di questa stagione, da parcheggi in G-League e contratti a termine) piazzando 15 punti in uscita dalla panchina con 6/8 dal campo dopo aver trovato subito un canestro da tre appena messo piede sul parquet ma soprattutto facendosi trovare su tutte le linee di passaggio e rispondendo presente anche con i tagli verso l’area dove non ha avuto paura di attaccare il colossale Robert Williams.

Gary Payton II in versione Guanto su Jaylen Brown per la gioia di tutti i nostalgici

Gary Payton II in versione Guanto su Jaylen Brown per la gioia di tutti i nostalgici

Il vero MVP di gara-5 è però a mani basse l’ex prima scelta dei Minnesota Timberwolves del 2014. Avevamo già parlato nel nostro articolo su gara-4 di come Wiggins fosse arrivato in NBA tra mille aspettative e con la nomea di scorer micidiale per poi mostrare a Minnesota di saper fare canestro ma non di essere un trascinatore e quindi arrivare a Golden State in emergenza e non riuscendo a portare ai playoff i suoi malgrado una delle stagioni più prolifiche nell’intera carriera di Steph Curry.

Così come avevamo già evidenziato che lo scorer micidiale si stava man mano trasformando, complice il rientro di Klay Thompson a ricomporre gli Splash Brothers e il contemporaneo emergere del prodotto di casa Jordan Poole, in uomo squadra deputato più al lavoro sporco che a segnare.

La nottata di Andrew Wiggins lo ha visto ricevere un giusto premio per l’umiltà con cui ha lavorato con Steve Kerr e i suoi collaboratori per ritagliarsi questo nuovo ruolo che con le dovute proporzioni ricorda quanto compiuto da Jimmy Butler al suo passaggio ai Miami Heat col Jimmy Buckets degli esordi che è diventato un vero leader e un riferimento per i tanti giovani del roster di Spoelstra.

Le cifre dell’ex Wolves parlano di 26 punti e 13 rimbalzi con 12/17 da due (e 0/6 da tre, ma lasciamogli godere la serata magica) la partita racconta di un Wiggins su tutti i palloni, su tutti i rimbalzi e una minaccia assoluta per il ferro dei Celtics.

Dulcis in fundo per i Warriors non possiamo ignorare il contributo di Klay Thompson, sottotono nelle prime 3 gare ma protagonista di un’ottima gara-4 con una difesa decisiva su Jayson Tatum e di una gara-5 che lo ha visto tornare lo Splash Brother che siamo abituati a vedere. 5/11 da tre per il figlio di Mychal (e fratello di Mychel, visto in Italia a Varese con 9 partite da neanche 5 punti a gara…) e anche in questo caso una grande difesa su Tatum nel primo break dei Warriors prima che Jayson si mettesse in partita da solo con canestri di puro talento.

Si torna in Massachussetts sul 3-2 per i Warriors e ora per Boston si fa durissima. Non bastano i 27 con 5/9 da tre e 10 rimbalzi di Tatum che ancora una volta ha un plus minus decisamente negativo (-13) così come i 20 di Marcus Smart che nell’ultimo quarto ha perso la concentrazione dopo un chiaro errore arbitrale con un suo fallo in attacco su Jordan Poole (che ha palesemente simulato) e i 18 ma con 18 tiri e 0/5 da tre di Jaylen Brown irretito da un Draymond Green tornato su livelli più consoni al suo palmarès.

Non basta tutto ciò perchè il naufragio della squadra di Udoka è stato netto e incontrovertibile ed è ora un’eredità mentale pesante da portarsi dietro nel win or go home di gara-6. Boston però si è già trovata con le spalle al muro nel secondo turno contro i Milwaukee Bucks andando a prendersi gara-6 in trasferta e abbattendo gli avversari nell’ultimo e decisivo atto per cui è ancora presto per dare per morti i Celtics: il proverbiale Pride della squadra più titolata in NBA farà in modo che Boston darà tutto per evitare di abbandonare la lotta al titolo davanti al proprio pubblico.

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