Al netto di una sola stagione d’intermezzo, quella 2020-21 (usciti al primo turno per mano dei Suns) i Los Angeles Lakers sono passati quasi direttamente dalla corona di campioni NBA al non fare nemmeno i playoff.

Anzi, dal non fare nemmeno la partita di play-in, il che è ovviamente più grave perché significa essere riusciti nella difficilissima impresa di non piazzarsi tra le prime 10 posizioni ad Ovest. Su 15 squadre.

La stagione dei Lakers è stata un fallimento totale. Sono la franchigia numero 1 per prestigio in tutto il mondo e un risultato del genere non è un dettaglio di poco conto, come lo sarebbe più ragionevolmente per altre squadre, ad esempio Kings o Thunder.

Sono passati nel giro di tre stagioni da un estremo all’altro. E’ un tonfo che mi ricorda dolorosamente la nostra Nazionale di calcio, campione d’Europa che non riesce nemmeno a qualificarsi per i Mondiali in Qatar di quest’anno.

Eppure ricordo bene i discorsi che si facevano subito dopo quelle strane NBA Finals giocate nella “bolla”. Sentivo dire che era appena iniziata la nuova dinastia, che LeBron e AD insieme avrebbe vinto come Shaq e Kobe.

Se questo non è successo, è solo in parte colpa loro. Proviamo ad esaminare le ragioni di questo tracollo.

GLI INFORTUNI

Come da prassi ad ogni sconfitta si cerca ogni ragionevole scusa e una delle prime che saltano in mente è la forma fisica. Quest’anno gli infortuni ci sono stati e, anche se non spiegano tutto, sono stati un fattore importante.

Anthony Davis è stato il più colpito. Ha giocato appena 40 partite, prima per colpa di un problema al ginocchio e poi alla caviglia. In queste 40 partite ha carburato solo in parte al massimo del suo potenziale e per la prima volta dal 2013 ha anche saltato l’All Star Game.

Poi c’è LeBron. Il segreto di Pulcinella della sua grandezza è sempre stata anche la sua capacità di preservare il fisico. A 37 anni ha perso inevitabilmente il passo dei tempi migliori ma è ancora sopra la media per atletismo ed ampiamente tra i migliori di sempre, forse il top assoluto, per la sua età.

Ha disputato solo 56 partite ma è tornato sopra i 30 punti di media. Non gli riusciva dal 2008. Quando è stato in campo è stato il miglior trentasettenne della storia, ma si è fermato ai box più del previsto.

I Big Three, eleggendo a terzo Russell Westbrook, hanno giocato insieme appena 21 partite e non c’è mai stato modo di costruire su di loro con continuità.

LEBRON FUORI DAL CAMPO

Non è un mistero e non è stato nemmeno ben nascosto. LeBron ha un peso specifico enorme ben oltre il campo, ed è stato lui il vero artefice della post-season ed architetto della squadra.

Si è scelto i suoi compagni a scapito di ogni logica di gioco, favorendo il legame personale, e questo principio è stato fin troppo evidente nell’acquisizione di Russell Westbrook.

Russ è un nativo di LA ed ha coronato il suo sogno di vestire la maglia gialloviola. Peccato che passerà alla storia, almeno per ora se non verrà scambiato, per momenti di puro imbarazzo.

LeBron è un grande e non si discute, lascerà la lega come secondo miglior giocatore di sempre della storia, secondo solo a Michael Jordan. Fuori dal campo però, del resto come lo stesso MJ mediocre GM, sta faticando parecchio a mantenere lo stesso alto livello.

La responsabilità è anche, se non soprattutto, la sua perché il suo potere è innegabile, come gli effetti che ne derivano. Non si può essere il migliore in tutto.

Mi viene in mente il LeBron attore in Space Jam, tanto per essere leggeri. La sua performance è abbastanza ridicola e qui il paragone diretto con MJ non regge. Michael recita meglio. E infatti la frustrazione in campo in questa stagione, LeBron l’ha nascosta malissimo.

VOGEL PAGA PER TUTTI

Paga sempre l’allenatore, e chi se no. LeBron ha colpe gravi ma è pur sempre LeBron e comunque ha giocato un basket splendido.

Ogni fallimento che si rispetti viene sempre dalla panchina e anche dal front-office. Vogel ha le sue colpe e per tutta la stagione si sono susseguite le voci di uno spogliatoio impazzito che non è riuscito a tenere a bada.

Ha cambiato compulsivamente quintetti e sistemi di gioco, è stato spesso poco lucido. Molto probabilmente sarà sollevato dall’incarico e pare che il caro vecchio Doc Rivers sia in pole position per rimpiazzarlo.

Sul fronte manageriale non si capisce come sia stato possibile smontare un supporting cast intorno ad AD e a LeBron che aveva portato ad un titolo rimpolpando invece la squadra di veterani, ancora dignitosi si ma in forte declino (Carmelo Anthony) o pressoché decotti (Dwight Howard). Oltre al caso Russ che merita un approfondimento.

Melo è stato miracoloso, se consideriamo il ruolo disegnato apposta su di lui, ma ha inevitabilmente mostrato i suoi limiti se portato oltre questa soglia. Si parlava di un contributo ideale da 15 minuti in uscita dalla panchina e invece ne ha fatti 26, dovendo intervenire gioco forza su una rotazione ridotta.

LA CHIMICA DI SQUADRA

Caruso, Caldwell-Pope e e Danny Green erano perfetti per completare un roster da titolo con la loro difesa e la loro capacità di mettere dentro i tiri importanti ma si è andati su un “modello Real Madrid” dei tempi che furono mettendo insieme un’accozzaglia di grandi nomi, magari a fine carriera, senza nessuna chimica e con basso spirito di squadra.

Caruso era un idolo assoluto e difatti parimenti lo è diventato per i tifosi dei Bulls. Il grande errore passa dalla sua testa pelata. Era il simbolo evidente di una squadra che lotta, un improbabile atleta e giocatore completo che faceva saltare spesso dalla sedia.

Se non c’è questo spirito di squadra non si va da nessuna parte. LeBron aveva un po’ il fiatone perché costretto a tappare troppi buchi e in questo suo sforzo deve essere tornato indietro negli anni quando a Cleveland per intere stagioni faceva letteralmente tutto da solo.

RUSSELL WESTBROOK E IL SUO IQ

Voglio bene a Russ come a qualsiasi grande star NBA e gli riconosco tanti meriti. Quest’anno però è stato a tratti imbarazzante. Non parlo tanto dei numeri ma soprattutto come atteggiamento e come scelte sul campo, offensive e difensive.

Ha chiuso con 18,5 punti, 7,4 rimbalzi e 7,1 assist tirando però il 29% da tre e il 44% dal campo con 3,8 perse a partita. Tolte le percentuali, sarebbero anche dei grandi numeri ma sono solo ricordi appannati delle sue stagioni migliori. Stiamo pur sempre parlando di uno che ha viaggiato in tripla doppia di media in 4 stagioni.

Il problema è che troppo spesso ha preso decisioni infelici e per di più nei finali di partita. Il suo playmaking è stato di non alto livello, mettiamola così, va troppo veloce e va a sbattere contro il muro della difesa quando sarebbe più saggio controllarsi meglio.

Ma nessuno gli ha mai detto che andando più piano potrà avere maggiore efficienza? Per il bene suo e delle squadre in cui gioca la migliore acquisizione sarebbe Kyle Anderson al suo fianco, il più lento di tutti. Potrà insegnarli tante cose. Piano piano.

Ci sono troppi airball in questa stagione, c’è stato un tifoso che lo apostrofato “Russell West-brick” e lui lo ha affrontato a muso duro. Si è pestato i piedi con LeBron e possiamo dire che l’esperimento di inserirlo nello stesso back-court è fallito.

E pensare che si poteva prendere un altro nativo di LA, quel DeMar DeRozan che è stato a tratti MVP a Chicago. 44 milioni di dollari per quest’anno e l’opzione a 47 l’anno prossimo non fanno che aggravare il giudizio.

Non voglio dire che la sua legacy è intaccata, ma di sicuro è stata una stagione molto negativa, che peserà nel giudizio finale di un giocatore favoloso a cui però per adesso è mancato un pezzo di strada per diventare davvero grande.

Un consiglio ai Lakers ? Che ritornino subito al modello “Due star e comprimari” prendendo gente che difende e che suda. A meno che LeBron non voglia tornare di nuovo a Cleveland per l’ultimissimo atto della sua gloriosa carriera.

Gli manca un solo vero obiettivo e non è un mistero per nessuno. Giocare insieme con suo figlio Bronny quando il ragazzo approderà nella NBA. Non importa che sia ad LA, a Cleveland o in qualsiasi altro posto.

 

2 thoughts on “I motivi del fallimento dei Los Angeles Lakers

  1. Jordan capiva che il suo talento infinito andava sostenuto da un’altra stella e da mestieranti iper volenterosi da coinvolgere nel gioco ed anche emotivamente. A Westbrook, un gradone comunque sotto Jordan, questa consapevolezza non ha mai sfiorato la mente, faccio tutto io…non ho bisogno di migliorarmi…gli altri 4? beh il regolamento vuole che ci siano… . Prendersela per il Westbrick, ma ha mai provato almeno per una volta ad utilizzare la postseason per migliorare il suo tiro? Mi pare che Kobe che era Kobe anche per questo lo facesse spesso in questo ed altri fondamentali. RW, tante triple doppie ma grazie ad una caterva di tiri, la sua caratteristica principale la testa del perfetto perdente.

    • Che Westbrook fosse un danno si sapeva da quando cominciò a giocare per le sue statistiche facendo scappare dalla squadra sia Durant che Harden.
      Il fallimento dei Lakers è tutto di Lebbros, e sarebbe stato anche più clamoroso se il KOvid non avesse permesso la stagione ritagliata su misura senza il fattore campo con il titolo in regalo (almeno il secondo dopo quel famoso omaggio Allen-Popovich).
      Sono anni che in regular season non difende per arrivare fresco ai playoff e smonta team decenti per arricchire i suoi agenti con le transazioni. Che Davis fosse un infortunio ambulante era pure quella cosa nota a tutti da tempo.
      Sul Secondo Miglior Giocatore della storia, soprassediamo: lo è esclusivamente a livello statistico. Se intendiamo il contributo a rendere la NBA un circo, di certo è superiore a Jabbar, Magic e Bird.

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