Nell’analizzare la carriera di molti musicisti, cineasti, artisti in genere è molto comune l’utilizzo, per non dire l’abuso, della parola maturazione.

Un musicista può nascere come il più aggressivo, arrabbiato e irriducibile di tutti per poi evolvere la sua proposta musicale mettendo da parte l’energia e la sfrontatezza degli esordi e rendere la sua musica più riflessiva e matura. Un comico cinematografico può iniziare con cento minuti di gag esilaranti e continue per poi andare verso un cinema più ragionato e maturo. Semplicemente si cresce e si cambia, ma tra i fans molto spesso resta un occhio nostalgico verso la musica o il cinema degli esordi.

Questo discorso può essere applicato anche ai cestisti. Un esempio può essere l’indimenticabile White Chocolate, al secolo Jason Williams; tutti noi ammiravamo i suoi passaggi geniali e spettacolari e in tantissimi abbiamo provato almeno una volta a realizzare un assist di gomito. Poi Williams è maturato, ha mitigato il suo lato imprevedibile in favore di un playmaking più compassato e questo gli ha consentito di vincere il titolo NBA affiancando Dwyane Wade e Shaquille O’Neal ai Miami Heat.

Anche per Shaq può valere questo discorso: certamente nel suo caso ha inciso un fisiologico declino fisico, ma anche lui ha cominciato come un giocatore di pura potenza che spaccava (letteralmente) i canestri con le sue schiacciate agli Orlando Magic, incantando i fans ma inizialmente senza vincere nulla. Aggiungendo al suo repertorio movimenti meno spettacolari ma più eleganti è invece diventato il Most Dominant Ever del three-peat con i Lakers.

C’è un uomo in NBA per cui tutto questo non vale. Un giocatore per cui gli appassionati non potranno mai rimpiangere la versione degli esordi perchè è ancora esattamente quello degli esordi.
Quest’uomo è oggi uno dei giocatori più divisivi degli ultimi vent’anni: Russell Westbrook.

Russell Westbrook inchioda la bimane: un'immagine ormai classica

Russell Westbrook inchioda la bimane: un’immagine ormai classica

Scelto dai compianti Seattle Supersonics alla numero 4 del draft 2008 Westbrook è stato uno dei protagonisti dei Thunder delle meraviglie costruiti da Sam Presti affiancando Kevin Durant, ultima stella tra quelle brillate a Seattle, nella cavalcata che ha portato la nuova franchigia di Oklahoma City alle finali NBA a soli quattro anni dalla sua fondazione sulle ceneri dei Sonics.

Il numero 0 ha subito messo in mostra le sue doti distruggendo le difese avversarie coi suoi devastanti attacchi al ferro e facendo sbarrare gli occhi del pubblico con le sue poderose schiacciate. Grazie anche a lui nel 2012 i Thunder arrivano all’atto conclusivo della stagione contro i Miami Heat dei Big Three e in particolare di LeBron James, altro giocatore all’epoca bollato come perdente e che invece ha vinto in quell’occasione il primo dei suoi 4 anelli.

La delusione sul volto di Westbrook e Durant alla fine delle Finals 2012

La delusione sul volto di Westbrook e Durant alla fine delle Finals 2012

Westbrook ha solo 24 anni, c’è tutto il tempo per rifarsi. Ma i Thunder non riescono più ad arrivare alle Finals e inesorabilmente perdono tutti i loro pezzi: già nell’estate 2012 lascia James Harden che andrà a Houston, poi nel 2016 ad abbandonare Oklahoma City è Durant che si unisce ai Warriors degli Splash Brothers.

L’addio di KD segue le prime voci sull’effettiva consistenza di Westbrook quando si gioca per vincere: si parla di problemi di convivenza con il play e soprattutto ci si inizia a chiedere se Russell sia un vero top player o piuttosto una macchina da statistiche.

La stagione 2016-17 dice molto sulle carriere NBA di Westbrook e Durant. Il play sceglie di continuare a sposare la causa dei Thunder e ha la squadra completamente nelle sue mani.

La sua annata è spettacolare: il repertorio non cambia di una virgola, salta sempre più in alto di tutti, colpisce sempre nel cuore dell’area facendo collassare su di lui le difese, i possessi decisivi sono sempre per lui malgrado la selezione di tiro non sia affatto delle migliori.

Al termine della stagione Westbrook registra una tripla doppia di media, è il suo anno migliore per punti segnati (31.7 di media) e viene insignito di uno dei più discussi premi di MVP del ventunesimo secolo. L’ex compagno Durant, però, a Golden State è a sua volta nominato miglior giocatore dei playoff e soprattutto vince il titolo NBA mentre i Thunder escono al primo turno playoff contro i Rockets dell’altro ex Harden.

Le annate successive vedono Westbrook venire affiancato da altri campioni come lui a secco di anelli: prima a OKC arriva Paul George, poi è il numero 0 a ritenere concluso il suo tempo in Oklahoma e raggiungere Harden agli Houston Rockets. In ambedue i casi però l’epilogo per Russell è sempre lo stesso: tante giocate spettacolari, cifre da capogiro ma nessun risultato concreto.
Perchè la costante della carriera di Westbrook è il volersi sentire leader assoluto delle squadre con cui gioca, essere lui il riferimento principale nei momenti pesanti delle gare, fare in modo che la squadra vinca grazie a lui o perda per colpa sua.

Questo spiega anche i sempre più frequenti momenti grotteschi durante le sue prestazioni: capita infatti sempre più di frequente che si avventuri 1 contro 5 o che prenda un forzat(issim)o tiro da tre, lui che in carriera ha il 30.8% e che per questo è stato apostrofato Westbrick dai detrattori.

Westbrook vuole vincere ad ogni costo, ma anche essere il protagonista della vittoria. Come sappiamo, però, nello sport di squadra non funziona così.

Il punto probabilmente più basso della carriera di Russell arriva nella offseason 2020: i Rockets hanno capito che con Westbrook non si vince e quindi cercano acquirenti per il suo contratto trovandoli nei mediocri Washington Wizards a loro volta ben lieti di liberarsi dell’oneroso accordo con il proprio ex-leader John Wall.

Westbrook riparte da una formazione di secondo piano, nella quale però milita un altro gioiello della NBA: Bradley Beal. E nella capitale per la prima volta Russell accetta (parzialmente) di farsi da parte lasciando che sia Beal, da anni uomo di punta della squadra, a trascinare i suoi.

Un high five tra Westbrook e Bradley Beal, una delle poche convivenze felici di Russ

Un high five tra Westbrook e Bradley Beal, una delle poche convivenze felici di Russ

Dopo un inizio di stagione letteralmente disastroso i Wizards riescono ad acciuffare i playoff quando la loro posizione di classifica a febbraio urlava a gran voce tanking. Ed è Bradley Beal l’uomo sotto i riflettori, affiancato da un Westbrook che segna di meno ma è al suo anno migliore in assoluto per gli assist, ben 11.7 (e altra tripla doppia di media, la quarta in carriera)
La postseason vede per Washington il terribile accoppiamento con i Philadelphia 76ers: i Wizards accarezzano l’upset in gara 1 ma devono poi cedere a un avversario nettamente più quotato anche perchè in area hanno poco più di nulla da opporre allo strapotere di Joel Embiid.

Arriviamo quindi al presente. La militanza a Washington aveva fatto bene a Westbrook e la maturazione di cui dicevamo sopra sembrava potersi compiere, trasformando un esuberante e spettacolare campione di ieri in un uomo d’esperienza di oggi.
Il richiamo della voglia di vincere però è troppo forte e Russell approda in maglia Los Angeles Lakers. E torna il Russell Westbrook di sempre.

La presentazione di Westbrook con la sua maglia attuale, quella Lakers

La presentazione di Westbrook con la sua maglia attuale, quella Lakers

A Los Angeles Westbrook gioca insieme al mostro sacro LeBron James, al fenomenale Anthony Davis, a due ex leader ora comprimari come Dwight Howard e Carmelo Anthony. Ciò nonostante il trascinatore, il protagonista, l’uomo a cui affidarsi deve essere sempre e solo lui.

Diamo però anche uno sguardo alla situazione losangelina, per la quale non si riescono a trovare termini più eleganti di casino totale.

La squadra è attualmente al settimo posto a Ovest ed è lontana varie vittorie dalle posizioni di vertice (8 di distacco dai Grizzlies terzi)
Si tratta del classico roster assemblato male con veterani più o meno affermati che non riescono ad amalgamarsi, un progetto tecnico poco organizzato e pochissimi giovani con voglia di emergere (forse solo Talen Horton-Tucker e Malik Monk) con la ciliegina sulla torta dei continui problemi fisici di Davis.

In questo contesto Westbrook ha deciso, come sempre nella sua carriera tranne che a Washington, di imporsi come uomo-squadra malgrado la presenza di James e compagnia e quando le cose si mettono male (ed è successo spesso quest’anno) l’MVP del 2017 si ostina a cercare a tutti i costi la giocata risolutiva, finendo però molte volte con risultati al limite del ridicolo.

L’ultima settimana dell’ex MVP può essere riassunta in due momenti che sono più che esplicativi di quanto Westbrook possa offrire sia nel bene che nel male.
Nella notte del 17 gennaio dopo aver subito 36 punti di scarto dai Denver Nuggets i Lakers affrontano Utah, altra squadra in difficoltà. Los Angeles vince e Westbrook, dopo aver battuto Royce O’Neale dal palleggio, inchioda la schiacciata dell’anno in testa a uno dei migliori stoppatori della lega come Rudy Gobert prendendo anche un tecnico per taunting:

Il 21 gennaio i Lakers fanno invece visita agli Orlando Magic, anche in questo caso vincendo seppur contro un avversario non tra i più ostici. Westbrook però è protagonista in negativo come in questa giocata, dove attacca Wendell Carter Jr. senza riuscire a batterlo e poi si ostina a volergli tirare in faccia con un pessimo risultato:

Chi ha scelto Westbrook come play dei Lakers 2021-22 ha probabilmente pensato che potesse ricoprire un ruolo di collante che non gli appartiene assolutamente e che è comunque davvero difficile da rivestire in una squadra con tante primedonne. Westbrook finisce così per essere il perfetto capro espiatorio in cui però le responsabilità degli errori non sono completamente sue ma vanno condivise con tutti tra staff e giocatori.

Russell soffre quindi un contesto sbagliato che lui cerca disperatamente di raddrizzare. Ma allora qual è, o meglio, esiste un ambiente in cui l’ex Thunder possa nuovamente dire la sua con 34 anni da compiere?

La risposta appare quasi ovvia: allo stato attuale Westbrook potrebbe continuare a interpretare la pallacanestro che vuole solo in una squadra senza ambizioni di successo (come lo erano i Wizards) che non potrebbe garantirgli una seconda chance alle finali NBA dopo quella di ormai dieci anni fa.

Affinchè voglia davvero avere la possibilità di riprovare a vincere un anello Westbrook dovrebbe quindi accettare di condividere le responsabilità di vittorie e sconfitte con gli altri compagni: ne gioverebbe la squadra in cui gioca, siano essi i Lakers o chiunque altro, ma anche lui stesso, che libero dal peso dei riflettori a tutti i costi potrebbe essere molto più trascinatore di quanto non lo sia attualmente.

In una parola, Westbrook deve accettare che anche per lui è arrivato il momento della maturazione.

2 thoughts on “Essere o non essere Russell Westbrook

  1. Westbrook un mangiapalloni, come Harden, come era Anthony e altri. Grandi statistiche ma anelli per gli altri. Se vuoi vincere, alla larga da questi personaggi da circo equestre.

    • Concordo e ribadisco (per quanto Harden nel giusto contesto è 3 volte meglio di Westbrick).

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