La Western Conference ha ufficialmente le sue pretendenti alla finale NBA: ad affrontare i Phoenix Suns saranno i Los Angeles Clippers che hanno ribaltato lo svantaggio iniziale della serie contro gli Utah Jazz vincendo quattro gare consecutive.

Dopo 51 anni, la maggior parte dei quali trascorsi con l’ingrata etichetta di squadra minore di Los Angeles rispetto ai ben più blasonati Lakers, i Clippers lotteranno quindi per il titolo di Conference affermandosi sui Jazz con un’importante prova di talento ma soprattutto di forza mentale.

Paul George e Terance Mann festeggiano la prima finale di Conference della storia dei Clippers

Paul George e Terance Mann festeggiano la prima finale di Conference della storia dei Clippers

La formazione allenata da Tyronn Lue è infatti riuscita a passare il turno nonostante il 2-0 iniziale in favore di Utah (con una giocata come la stoppata di Rudy Gobert al termine di gara-1 che rischiava già di condizionare pesantemente la serie in favore dei mormoni) ma anche malgrado l’infortunio del suo uomo migliore.

A cinque minuti e mezzo dal termine di gara-4, giocata allo Staples Center e condotta dai Clippers per tutta la sua durata sin dal 30-13 con cui si è concluso il primo quarto in favore dei padroni di casa, Kawhi Leonard è stato costretto a uscire dal campo per un dolore al ginocchio destro che si è poi rivelato un infortunio ai legamenti del crociato anteriore, tra i più temuti in assoluto da ogni cestista.

I Clippers facevano quindi ritorno a Salt Lake City avendo ottenuto il pareggio per 2-2 ma lo stato d’animo degli uomini di Lue non dev’essere stato sicuramente dei migliori. Los Angeles perde infatti a tempo indeterminato un Leonard in piena forma playoff e la sua dote da 30.4 punti e 7.7 rimbalzi di media nella postseason.

Di contro i Jazz approcciavano gara-5 ancora senza Mike Conley ma con la certezza del rientro di Donovan Mitchell dopo la sua uscita anticipata in gara-3 e ovviamente potendo contare su un fattore campo ancora nelle loro mani.

Donovan Mitchell a canestro in gara-4

Donovan Mitchell a canestro in gara-4

Alla Vivint Arena però è andata in scena quella che a posteriori possiamo definire la gara decisiva nella serie.

I Clippers hanno preparato la partita con lo stesso piano delle ultime gare nel primo turno con Dallas, quando si erano trovati di fronte uno stellare Luka Doncic da trentelli e quarantelli vari: lavorare ai fianchi in difesa concedendo qualcosa in più al cannoniere avversario principale Mitchell e concentrando i propri sforzi sul resto della squadra nella consapevolezza che difficilmente un giocatore vince una partita da solo. Così Lue ha utilizzato i suoi difensori principali sui compagni di squadra di Mitchell la cui marcatura è stata affidata per larghi tratti a Reggie Jackson.

Utah ha avuto un pazzesco 9/17 da tre da Bojan Bogdanovic, per la maggior parte messo però su all’inizio della gara (con Utah arrivata a +10 nel secondo quarto) e nel disperato tentativo di rientro degli ultimissimi minuti; per il resto Donovan Mitchell, di per sè limitato a 21 punti con un non esaltante 6/19 dal campo, si è ritrovato troppo solo e non ha avuto il sostegno di una squadra che ha tirato il doppio dei tiri da tre (54) rispetto ai tiri da due (26) e la cui panchina ha prodotto solo 17 punti di cui 15 arrivati da Jordan Clarkson.

Dall’altra parte del campo Los Angeles ha beneficiato del miglior Paul George dei playoff che ha risposto presente nella gara probabilmente più difficile per la sua squadra. L’ex Indiana ora scorer principale dei Clippers in assenza di Leonard ha messo a segno 37 punti, sua seconda miglior performance individuale ai playoff (aveva segnato 39 punti per due volte in maglia Pacers) aggiungendo ben 16 rimbalzi e guidando i suoi al recupero dello svantaggio del primo tempo e poi a condurre la gara. Un importante segnale dello stato di forma di George che però da solo non illustra appieno la vittoria finale dei Clippers per 119-111.

Nel momento del bisogno è arrivata la doppia doppia di Paul George

Nel momento del bisogno è arrivata la doppia doppia di Paul George

I compagni di squadra di PG-13, contrariamente a quanto avvenuto per Donovan Mitchell, hanno infatti svolto un ruolo che va oltre il semplice supporto al loro cannoniere di punta. Cominciamo da un Marcus Morris da 25 punti e 10/16 dal campo (3/4 da tre) che non è più un semplice difensore addetto al lavoro sporc(hissim)o ma sta mostrando importantissimi progressi nelle partite che contano; proseguiamo con il fondamentale apporto difensivo di Nick Batum e di un redivivo Patrick Beverley, rientrato nelle rotazioni di Lue dopo esserne stato tolto dal terribile confronto con Luka Doncic, fino ad arrivare a un Terance Mann in continua ascesa (e su cui torneremo) e soprattutto a quello che è stato il vero uomo in più dei Clippers oltre a George in gara-5: Reggie Jackson.

Molto spesso discusso e considerato nulla più di un comprimario oltre che partito come riserva di Beverley, l’ex Pistons nativo di Pordenone, già fondamentale in gara-6 contro Dallas, ha fornito una prestazione che i già ragguardevoli 22 punti con 8/15 dal campo non descrivono appieno: nell’ultimo quarto di gara-5 con Utah a cercare la rimonta è stato lui a prendersi in molti casi i tiri importanti (come nel 5-0 personale con cui ha ricacciato indietro i Jazz arrivati a -3 a 5 minuti e mezzo dal termine) sgravando George da troppe responsabilità e rappresentando sempre più una certezza per i propri compagni.

Gara-5 ha visto quindi i Clippers riprendersi il fattore campo e soprattutto con il match point sulla propria racchetta per le due gare successive. La squadra di Lue ha chiuso la pratica Utah Jazz davanti al proprio pubblico in gara-6 imponendosi per 131-119 grazie a ciò di cui parlavamo in apertura di questo articolo: la forza mentale.

Utah ha approcciato rabbiosamente gara-6 cavalcando ancora una volta un Donovan Mitchell il cui tabellino a fine gara dirà 39 punti con 9/15 da tre e potendo contare anche sul ritorno di Mike Conley (che però ha realizzato solo 5 punti con un misero 1/8 dal campo) I mormoni hanno così costruito il +25 con cui è iniziato il terzo quarto prima di incassare un parziale di 41-22 nella frazione di gioco propiziato in attacco nuovamente da Jackson (27 con 10/16 dal campo) e soprattutto dalla più classica delle schegge impazzite: Terance Mann.

I 39 punti con 7/10 da tre di Mann, venticinquenne di Brooklyn alla sua seconda stagione NBA che nella prima gara dei playoff era sceso in campo per soli 14 secondi, verranno ricordati nelle memorie playoff di qui a venire soprattutto perchè rappresentano il giusto riconoscimento per un giovane che ha sempre approcciato ogni gara al massimo delle sue possibilità pur nei suoi limiti soprattutto difensivi e di altezza ma anche tenendo presente che di questi 39 punti 14 sono arrivati nel terzo quarto della rimontona Clippers. 

Difficile dire se siamo di fronte alla nascita di una futura superstar, sicuramente però Terance Mann può godersi quella che è la migliore serata della sua carriera pur mantenendo la concentrazione sulla serie successiva come bonariamente ricordatogli da Batum su Twitter.

L’ex cenerentola di Los Angeles si presenta quindi con moltissime frecce al suo arco alla finale di Conference contro una Phoenix a sua volta priva di Chris Paul a tempo indeterminato per i protocolli Covid. La squadra di Lue ha finora mostrato sul campo un’importante profondità, una difesa asfissiante e la fondamentale capacità di non mollare mai riuscendo a ribaltare a proprio favore le situazioni più sfavorevoli.

Tuttavia i Clippers sono pur sempre senza il suo uomo migliore Leonard (e anche senza un importante uomo d’esperienza come Serge Ibaka) e dovranno sperare soprattutto che i loro role players continuino su questa strada, oltre che ovviamente sull’apporto di Paul George (che però tende ancora un po’ a nascondersi quando le responsabilità sono pesanti) per arrivare alla prima finale NBA della sua storia.

Utah mastica amaro per la sconfitta ma soprattutto perchè questo sembrava davvero l’anno buono per la franchigia di Salt Lake City quantomeno per giocarsi l’ultimo atto della postseason. Subire quattro sconfitte consecutive partendo da un vantaggio di 2-0 è un brutto colpo per le ambizioni dei Jazz il cui nucleo principale ha comunque contratto per la prossima stagione (con Mitchell e Rudy Gobert blindati almeno fino al 2025) pertanto sicuramente Utah giocherà per le posizioni di vertice anche l’anno prossimo.

Tra gli elementi di peso è in scadenza Mike Conley che l’anno prossimo andrà per i 34 e libera il payroll dal contratto più oneroso (quest’anno 34 milioni per l’ex Grizzlies) per cui i Jazz potranno cercare in free agency quel tassello da affiancare a Donovan Mitchell per completare la propria crescita e rendere definitivamente la squadra una contender come ai tempi di Stockton-to-Malone.

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