Portentosa prova di forza dei Suns, che proseguono la scalata verso l’olimpo NBA, iniziata dapprima con una splendida regular season e continuata poi al cospetto di LeBron, arrivando oggi alle finali di conference dopo 11 anni in modo talmente perentorio da mettere l’anello nel mirino, grazie ad un gioco corale difficile da trovare oggi nelle altre contendenti, grazie ad un backcourt formidabile diretto da quell’incredibile campione a nome Chris Paul insieme ad un basket difensivo importante!

Lo sweep è severo ma giusto, dato che a parte i primi tre quarti di gara 1 non c’è stata mai sfida, e la resistenza di Denver non ha avuto opportunità di palesarsi, né in attacco, dove Jokic è stato in tutti i sensi isolato dalla discontinuità dei piccoli al suo fianco, ben marcati stavolta, a differenza della serie con Portland, dai vari mastini Bridges, Crowder, Craig e Payne, né in difesa, coi letali high screen di Ayton nei pick & roll per Paul e Booker, arma rivelatasi incontrastabile e che ha deciso ogni situazione clutch.

I Nuggets escono a testa alta, consci che il loro miglior ball handler, l’assente Jamal Murray, sarebbe stato proprio l’elemento adatto a sparigliare le carte per inventare canestri in autonomia verso retroguardie così aggressive, cosa che Morris, Campazzo e specialmente Rivers avevano illuso di poter fare contro il bluff Blazers.

Se Porter Jr va lodato per una grandissima stagione, discorso diverso va fatto per Aaron Gordon, nei piani originali two-way forward versatile per ogni evenienza, ma sul più bello deludente sia a tabellino (6 pti in gara 2 e 2/10 nella terza) che negli uno contro uno difensivi: restano ora i dubbi sul sacrificio di RJ Hampton e sui mancati accordi contrattuali con Jerami Grant!

Non sappiamo cosa accadrà ora, ma se Paul restasse di nuovo con le polveri bagnate e senza titolo, l’alone di giocatore vincente e fra i migliori di sempre nel suo ruolo nessuno potrebbe comunque metterlo in dubbio, visto il modo con cui ha trasformato una piazza tossica in un’oasi felice pronta a vincere le Finals.

E’ infatti grazie a lui se Ayton e soprattutto Booker hanno acquisito la maturità adatta per sviluppare una pallacanestro da leader, rapportandosi senza paura agli Jokic, Davis o James di turno, e se il futuro qui in Arizona con loro due al timone di comando sarà dunque pregno di soddisfazioni.

Sebbene favorite dal seeding, era più che ovvia la reputazione da underdog che queste due franchigie si portavano dietro nel primo turno.

I Lakers al completo avrebbero probabilmente continuato a stracciare la concorrenza, come fatto prima della doppia beffa Lebron/AD in RS, ma una sfortuna costante si è accanita nuovamente su di loro, privandoli del Monociglio sul più bello. La quinta e sesta gara della serie hanno però mostrato dei Suns forti nell’approfittare di tali situazioni, palesando una saggezza insolita per gente non abituata a palcoscenici d’elite e bypassando anch’essi l’acciacco di Chris Paul, come detto responsabile principale assieme a Monty Williams della progressione verso le vette infinite di Booker ed Ayton.

I Nuggets avevano compiuto prima l’impresa di conquistare il fattore campo, sopravvivendo alla perdita del loro secondo leader Murray senza risentirne in termini di risultati da stagione regolare, e poi hanno impostato la serie coi Blazers sulla chimica di gruppo, malgrado Aaron Gordon non abbia mai alzato l’asticella offensiva e Will Barton sia stato fatto fuori dagli infortuni, elevando se possibile ancora più in alto la stella di Jokic e obbligando Portland a giocare un basket individualistico, che ai playoff è sinonimo di uscita anticipata!

Doppi overtime ed equilibrio massimo nei precedenti annuali – 2/1 Denver e 5 punti in media di margine – davano a vedere matchup proporzionati fra le due rivali, ma come detto l’assenza di Murray e quelle almeno iniziali di Barton (ginocchio) e Dozier (adduttore) spostavano i pronostici sponda Phoenix, rispetto ai Blazers squadra coesa e difensivamente parlando feroce: il campo confermerà queste previsioni.

Intrigante l’inedita sfida fra Mikal Bridges e Michael Porter Jr, most improved player di ambedue le compagini, il primo pietra angolare delle marcature perimetrali e titolare di 6 rubate, 3 stoppate e 10 di media nelle tre gare conclusive coi Lakers, e l’altro erede stagionale di Murray quale secondo violino e portentoso al 50% plus dall’arco in tre degli ultimi 4 match con Portland.

Phoenix esce meglio dai blocchi in gara 1 e prosegue il processo di crescita verso la maturità definitiva, giocando un match difensivamente accorto per tre quarti prima di iniziare una spaventosa asfissia – specialmente su Jokic d’un tratto freddo e legnoso – che sarà poi decisiva per staccare gli antagonisti nel resto di incontro e serie, dopo un costante inseguimento pesino da meno 10 (60-70): segno di eccellente forma fisica.

Il risultato netto di 122-105 sarà soprattutto condizionato dalle performance dell’ormai recuperato Paul (21pt/11ast), ora terzo trentaseienne di sempre al pari di Stockton e Nash con tali statistiche ai playoff, Ayton (20+10reb) e del sopra citato Bridges, perfetto 3&D al tem-high di 23 punti (8/12) e 4 su 8 dall’arco. Dignitoso pure l’ex Torrey Craig nei 15 minuti a disposizione, utile annessione d’esperienza a stagione in corso.

I Suns stracceranno i rivali nella successiva disputa, un 123-98 indirizzato quasi da subito, grazie a una spettacolare difesa di gruppo e alla coralità in manovra, che permetterà a Crowder e i restanti titolari di arrivare in doppia cifra, il tutto agli ordini di Chris Paul, panacea di tutti i mali e strepitoso nel 26-1 assist-to-turnover-ratio di inizio serie, dove le open opportunity da lui generate gli consentiranno di entrare nella storia NBA, con 15+pts/15+ast/0 turnover!

Perfetto anche Booker con ben 10 rimbalzi, mentre il fresco MVP Jokic non ha avuto aiuto dai secondary scorer Porter Jr e Gordon, controllati e limitati nei 17 punti al 6/20, al pari di Rivers e Morris, 12 punti combinati con Campazzo in uno scadente 4/19, per i quali la retroguardia di Phoenix sembra la luna al cospetto di quella a tinte Blazers.

L’1 su 13 dalla lunga nel primo quarto e il 14/43 totale sotto al 33% ratificheranno sia le problematiche ad approcciarsi a degli impietosi mastini perimetrali che appunto l’assenza di un ball handler capace di creare diversivi dal palleggio, ciò per cui Jamal Murray è divenuto una star! Unica nota positiva un Will Barton ritrovato sebbene per soli 16 minuti (10 pt).

Sempre avanti pure in gara 3, Phoenix terminerà avanti 116-102 per il 3-0 che non ammette repliche, dove alla solita prova di gruppo (46% da 3 e 53 dal campo) si eleveranno i due big Booker e Paul con 55 punti in coppia: con tali medie non occorreranno second chance opportunity e si supererà il dominio rivale nei rimbalzi offensivi (18-4). Lodevole il ruggito del leone Jokic, ora decimo all time per triple doppie (6) in gare da playoff.

I 37 punti di Chris Paul nel 125-118 dell’ultima sfida, coi Suns sopra sin dallo 0-2 del primo frame, avvenuti grazie al sensazionale 14/19 e 9 liberi tutti a bersaglio, saranno determinanti per scacciare ogni tentativo di riavvicinamento nemico e sanciranno il suo incontrastato regno nella serie, aiutato dalla classica performance di Booker (34) e dal nervosismo di Jokic, espulso per una manata a Cameron Payne nel terzo quarto sul 76-83 con già 22 pts e 11 rebs in cassaforte.

Finiranno qui le residue speranze dei Nuggets di allungare la contesa, malgrado l’ottimo Barton (25), il redivivo Morris (19) e la garanzia Porter Jr (20) lotteranno fino alla fine delle ostilità! Phoenix chiuderà col record di franchigia di 7 W consecutive in postseason e il serbo sarà il primo MVP ad essere “sweepato” dai tempi di Magic Johnson del 1989.

 

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