Dopo sette partite, una più imprevedibile dell’altra (le prime sei tutte vinte dalla squadra in trasferta, un unicum nella storia NBA al di fuori dalla bolla), i Los Angeles Clippers hanno conquistato il passaggio al secondo turno dei playoff, mentre i Dallas Mavericks tornano in Texas a riflettere su un futuro che è pur sempre roseo, ma su cui all’orizzonte inizia a comparire qualche nube.

Di certo, da spettatori, possiamo dire di esserci divertiti. Nonostante partisse decisamente sfavorita nei pronostici della vigilia, Dallas ha venduto cara la pelle e dopo le prime due partite strappate agli angelini sul loro parquet sembrava pronta ad un upset che avrebbe avuto un effetto devastante sul futuro della franchigia di Steve Ballmer. Invece, quando tutto sembrava perduto, i Clippers sono riusciti a ribaltare le sorti del confronto prima pareggiando la serie con due vittorie in Texas, poi recuperando il nuovo svantaggio con una gara 6 for the ages di Kawhi Leonard e una gara 7 giocata ad un livello offensivo straordinario.

Una prestazione monstre di squadra dal punto di vista balistico, sia da tre (20/43 di squadra pari al 46.5%) che a cronometro fermo (24/24, e qui il calcolo percentuale è piuttosto semplice), merito per buona parte di un lucidissimo Reggie Jackson, di un Marcus Morris da record (solo Curry prima di lui aveva segnato sette triple in una gara 7) e di un ritrovato Luke Kennard, senza tralasciare le fiammate di un ottimo Terence Mann.

Inutile però girarci intorno: se in questa serie Los Angeles è sopravvissuta indenne (o quasi) al ciclone Doncic è stato quasi esclusivamente merito di Kawhi Leonard, che ha ricordato sinistramente le prestazioni da assoluto killer dell’anno di Toronto conducendo i suoi fuori da tutti i momenti più difficili con a un campionario devastante di tiri dal midrange, dominio fisico nel pitturato e fiondate letali oltre l’arco. Una leadership che magari non sarà né vocale né caratteriale, ma che in campo si sente eccome.

I Clippers avevano scelto consapevolmente di affrontare i Mavericks perdendo apposta (e a onor del vero in modo abbastanza vergognoso) le ultime due gare di regular season. Hanno rischiato di pagare molto cara la loro scelta e mi resta il forte dubbio che questo non sia l’atteggiamento “giusto” per una squadra che vuole puntare a battere tutti (e non dovrebbe quindi aver paura di incontrare questo o quell’avversario), ma alla fine sono arrivati dove volevano.  Adesso li attendono gli Utah Jazz, in possesso di un roster decisamente più completo e profondo di quello dei texani superati con così grande fatica, e che richiederanno una maggiore continuità della prestazioni per poter proseguire il cammino verso l’argenteria.

Posto che Tyronn Lue dovrà cercare di non prendere troppi schiaffoni (già ne ha presi diversi da Carlisle…) nel confronto tattico con Snyder, il problema principale dei velieri temo risiederà nel rendimento di Paul George, giocatore dotato di talento immenso ma che nella serie contro i Mavs ha palesato ancora una volta tutti i limiti psicologici già imputatigli in passato. Non ne faccio tanto un discorso di cattive percentuali (comunque ieri sera ha chiuso con 5/15 dal campo e 2/8 da tre), quanto di palesato timore nel prendersi le responsabilità nei momenti che contano. Non è pensabile che Leonard possa sempre e comunque tirare fuori le castagne dal fuoco, ma vedremo cosa succederà.

Sull’altra sponda del fiume i Dallas Mavericks possono tornare a casa a testa alta, portando in trionfo un Luka Doncic che nonostante la sconfitta finale si è reso protagonista di una serie giocata a livelli stratosferici. 35.7 punti, 7.9 rimbalzi, 10.3 assist, con una gara 7 chiusa a 46+7+14 e un controllo su ogni aspetto del gioco (o quasi, ma ci arriviamo più sotto) irreale per un giocatore di quell’età. Doncic è riuscito a portare un roster palesemente inferiore a quello degli avversari a un millimetro di distanza dal buttare giù dal burrone una delle assolute favorite al titolo NBA.

In questa sfida impari, persa davvero per pochissimo, pochi compagni di squadra sono stati in grado di fornirgli un supporto credibile. Sicuramente Tim Hardaway Jr, autore di una serie pregevole sia a livello offensivo che (incredibile a dirsi) difensivo, Boban Marjanovic, che fa poche cose ma quelle che fa le fa piuttosto bene, e Dorian Finney Smith, che va a rimbalzo come un leone e non ha paura di tirare fuori gli attributi quando serve. Per il resto un po’ pochino, sia dai giocatori di rotazione (Kleber, Brunson, Burke e Powell hanno avuto qualche sprazzo qua e là, ma mai in modo costante) che dai supposti titolari, perlomeno nelle attese di inizio stagione. 

Josh Richardson ha completato con una anonima postseason un’altrettanto trascurabile stagione regolare, chiusa a 12 punti di media ma in progressivo calo di utilità ed efficienza con il passare dei mesi. Il suo contratto prevede in estate una player option a poco meno di 12 milioni che sarebbe di comune interesse non esercitare, anche perché il gradimento di Coach Carlisle (lui invece confermassimo da Mark Cuban poco dopo la fine di Gara 7) nei suoi confronti al momento appare ai minimi termini.

Ben più oneroso, e meritevole di una riflessione dedicata, è il contratto di Kristaps Porzingis. Per usare un elaborato giro di parole, in questa serie contro i Clippers il lettone… ha fatto schifo. 13 punti e 5 rimbalzi di media non sono oggettivamente un fatturato accettabile per un giocatore che, cifre alla mano, al momento è pagato più di gente del calibro di Giannis Antetokounmpo, Bradley Beal e Jaylen Brown. 

Ma come nel caso di George, le cifre deficitarie rappresentano solo una parte del problema. Sarà a causa del doppio infortunio alle ginocchia, sarà per un carattere non particolarmente “duro”, il fatto è che Porzingis sembra troppo spesso avulso dal gioco (in particolare quando la palla pesa di più) e si accontenta di stazionare sul perimetro invece di sgomitare in area, dove i suoi 220 cm farebbero invece molto comodo.

Il talento del giocatore non si discute ed è per questo motivo che molto probabilmente Porzingis resterà a Dallas. Con tutti i suoi difetti, temo infatti sarebbe difficile trovare una contropartita adeguata sul mercato e scambiarlo con giocatori più vecchi e/o più rotti (sono circolati i nomi di CP3, Love, Wall e Walker) non sembra una scelta che possa migliorare le prospettive dei Mavs sul medio-lungo termine.

Prospettive che vanno definite al più presto, perché non si sa per quanto tempo Luka sarà disposto a tollerare di uscire al primo turno lottando più o meno da solo contro i mulini a vento. I Mavs in estate avrebbero lo spazio salariale per aggiungere un secondo violino di buon livello, ma il mercato non offre granché (DeRozan? Lowry? Collins?) e Dallas non ha granché da inserire in potenziali trade (due delle prossime tre scelte di primo giro sono di proprietà dei Knicks).

Powell, Kleber e Finney-Smith sono già sotto contratto, è molto probabile che vengano rifirmati sia Hardaway (a patto che si accontenti di dire ragionevoli) che Marjanovic (fedelissimo di Doncic), e si spera che dopo il classico anno di “purgatorio Carlisle” i due rookie Josh Green e Tyler Terry facciano vedere qualcosa di buono. Oltre a questo, ci si affiderà all’immenso talento di Doncic che con questa serie ha certificato definitivamente la sua appartenenza all’elite della NBA.

Se proprio vogliamo trovare il pelo nell’uovo e senza peccare di lesa maestà, si può dire che per fare il salto di qualità definitivo Luka dovrebbe sistemare solo due cose: la percentuale ai tiri liberi (scesa a livelli patologici nei playoff dopo una già non scintillante regular season) e la tenuta fisica nel quarto quarto. Sulla seconda questione incide certamente il fatto che Doncic sia costretto a gestire in prima persona praticamente tutti i possessi, con un dispendio di energie che alla fine presenta il conto, pena il crollo dell’efficienza offensiva dei Mavs a livelli da prima divisione regionale, ma è altrettanto vero che 5/6 chilogrammi in meno da portare a spasso lo aiuterebbero a conservare un po’ di fiato da utilizzare quando le partite si decidono e la lucidità diventa un fattore ancora più decisivo. 

In fondo, la cura dimagrante mi pare che a Jokic abbia fatto piuttosto bene…

2 thoughts on “Nonostante un Doncic da leggenda, alla fine passano i Clippers

  1. Porzingis è vittima della moda del lungo tiratore. 2 metri e 20 non servono a niente se stai a 7 metri (a meno che non tiri 20 volte a partita col 50% o più), anzi ti rallentano. Che abbia paura di farsi male è comprensibile: sotto colla palestra, metta un paio di tutori e la pianti di fare il Bargnani. Nowitzki era un’altra cosa.
    Doncic non li fa 10 anni a questi ritmi, è bene che qualcuno glielo faccia sapere. Le statistiche mirabolanti sono anche frutto del giocare da solo (vedi Westbrook, uno dei peggiori mangiapalloni della storia).

    I Jazz sono favoriti perchè Lue non è un allenatore da NBA, bensì il cameriere di Lebbros (che lo voleva anche a LA prima che gli dicessero: ehi, da queste parti siamo gente seria) mentre Snyder la sua macchinetta l’ha calibrata per bene: 2 sixth men che sarebbero titolari in 20 altre squadre la dicono lunga sull’arsenale a disposizione.
    Punto debole dei Clippers è Zubac, quindi pessimo accoppiamento (tutti la menano col tiro da 3, ma è troppo variabile come statistica per farci affidamento). Leonard però è onnipotente: Jordan ha frustrato più volte Stockton e Malone, se Kawhi dovesse farcela entrerebbe di diritto in quella categoria lì.

  2. Francamente i Clippers non mi hanno impressionato, certo talento, qualità di singoli e profondità non mancano, ma mi sembrano soggetti a vari blackout in attacco o difesa che alla lunga pagano e l’allenatore non mi sembra dotato nè di personalità, nè di grande acume tattico. C’è però un fattore importante Kawhi, in alcuni momenti della serie è sembrato Jordan per come non sbagliava mai in attacco e in difesa: mostruoso come ai tempi di Toronto.
    Dallas, purtroppo, esce un po’ peggio dalla serie, vero che era sfavorita, ma sul 2 a 0, con una gara 3 che si era messa benissimo, farsi rimontare e sprecare 1 macht point è stato duro da digerire. In più si aprono delle questioni importanti: Luka D.non può fare tutto da solo, ha bisogno di 1 giocatore non dico del suo livello, ma un pelo sotto e di altri comprimari degni. Porzingis a mio parere non si è rivelato giusto: il talento è incredibile, ma non sembra animato dal fuoco necessario per vincere gare 7 o similari e poi, come diceva giustamente Nick the quick bello il lungo che sta fuori area, ti crea molte situazioni tattiche interessanti, ma alla fine un 2,20 che mette 1 stoppata e prende meno rimbalzi di un play non ti fa vincere. Spero che il lettone cambi passo e stia lontano dagli infortuni perchè chi lo prenderebbe dopo che ben 2 squadre non hanno avuto fiducia in te ad alti livelli?

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