Possiamo dirlo: New York è tornata, almeno per quanto riguarda lo sport con la palla a spicchi.

Come nel football, ci sono anche qui due facce nella stessa città, Knicks e Nets, e a seconda di simpatie svariate o tradizioni familiari o qualunque altra cosa possa creare attaccamento verso dei colori, una sarà il cugino simpatico, l’altra quello antipatico.

Quest’anno sia i blu-arancio che i bianconeri hanno avuto una ottima stagione di ripresa, che anzi per i primi sta superando di gran lunga le aspettative. La battaglia, però, è stata vinta dai loro cugini di Brooklyn che, ormai un anno e mezzo fa, hanno strappato loro nel mercato due talenti del calibro di Kyrie Irving e Kevin Durant. Ed ecco che sono diventati per tutta l’NBA i cugini antipatici.

Dopo un anno di assestamento, quest’anno i Nets sono stati affidati alle mani di un rookie coach in Steve Nash, che comunque è stato back-to-back MVP della lega nel biennio 2005-2006. Bisogna dire che molti avevano dubbi sulla sua rendita da capo-allenatore, anche perché avrebbe dovuto gestire uno spogliatoio con due stelle già con anelli al dito e che quindi si sarebbero molto più facilmente concessi capricci o lunghe sedute su passati allori.

In effetti il primo contatto tra il neoallenatore e Irving non è stato dei migliori, con l’ex-Cleveland che ha pubblicamente confessato che se davvero sulla panchina del Barclays Center ci sarebbe stato Nash, allora sarebbe valso tanto lasciare che i giocatori si autogestissero. Non proprio un bel biglietto da visita…

I problemi ovviamente non si sono limitati a questo: lo stesso Irving ad inizio stagione è scomparso per una settimana senza darne notizia alla squadra e la situazione infortuni non ha mai arriso ai newyorkesi. Bisogna però dire che Nash, pur inesperto in panchina, è riuscito a gestire una situazione di perenne mancanza con egregia destrezza, e testimone di questo è la classifica, che pone i Nets primi a Est con un record di 35-16.

Enorme contributo ha ovviamente dato anche il front office, guidato da Sean Marks, che ha acquisito a gennaio via trade niente meno che James Harden, e poi nel mercato dei buyouts ha firmato sia Blake Griffin che LaMarcus Aldridge, raggiungendo quota 41 presenze all’All-Star Game nel roster.

I Nets in questa stagione finora di successo stanno registrando un Offensive Rating di 118.2 punti ogni 100 possessi, secondo solo ai Bucks di Antetokounmpo, inoltre guidano la NBA in Field Goal Percentage ed Effective Field Goal Percentage con rispettivamente il 49.3% e il 57.4%. Queste statistiche sono ovviamente supportate dalla miglior percentuale realizzativa da due (56.5%) e dalla quarta dall’arco (39.1%) dell’intera lega.

In compenso, a bilanciare un attacco a dir poco devastante, la difesa è sicuramente il tallone d’Achille della squadra di Nash. Il Defensive Rating è 113.4, quinto peggiore, accompagnato da una percentuale concessa del 46.3% su ben 91 tiri a partiti. La metà campo difensiva è, però, forse l’unico difetto che si può trovare in una squadra che è costruita per vincere, ora.

Durant è, sulla carta, il leader della squadra e lo dimostra anche nella tabella delle statistiche che presenta eloquentemente 29 punti, 5.3 assist, 7.3 rimbalzi e 1.4 stoppate. L’unico inconveniente che ha impedito a KD di diventare leader anche sul campo sono stati gli infortuni, che lo hanno tenuto fuori dal campo in 33 delle 51 partite giocate da Brooklyn.

Un punto di merito, infatti, che va a favore dell’enorme lavoro di Nash è proprio che le tre stelle, Irving-Durant-Harden, hanno giocato insieme solo 7 partite (record 5-2) a causa dell’infortunio di Durant e di varie altre assenze. In questi 336 minuti hanno avuto un incredibile Offensive Rating di 122.4 e un più pronosticabile e preoccupante Defensive Rating di 115.3. In circa 27 minuti giocati insieme, il trio delle meraviglie ha segnato di media 69.4 punti, con il 53% dal campo, poco più del 40% da tre. Questo, ripeto, solo in 7 partite sulle 51 giocate.

Il successo dei Nets credo sia allora vincolato ad altri due fattori: il rendimento delle altre stelle in assenza di Durant e il mestiere con cui coach Nash ha valorizzato le “seconde linee” della squadra.

CI PENSANO HARDEN E IRVING

Harden è pienamente nella corsa MVP, ancora una volta, pur essendo passato da un one man show a una realtà con altri due giocatori del suo livello. Da quando KD è fuori, cioè dal 14 febbraio, The Beard sta mantenendo una media di 27 punti, 10.6 assist, 9.1 rimbalzi, 1.3 rubate pur tirando sotto il 35% da tre e sotto il 45% dal campo.

Questo non significa che stia tirando a salve verso il canestro, ma credo sia sintomo di una maggiore presa di responsabilità per quanto riguarda l’organizzazione della fase offensiva e di ball-handling (come testimonia il numero di assist). Quella responsabilità comprende anche, al contrario, degli isolamenti -quasi naturali e necessari, parlando noi di Harden- che portano a una costruzione di tiro più difficoltosa ed elevano la percentuale di errore.

In ogni caso, il livello di gioco di questo Harden è veramente spettacolare, e a chi non avesse avuto la fortuna di ammirarlo consiglio di riparare subito a questa mancanza con un qualunque video di suoi highlights su YouTube.

Per quanto concerne Irving… stiamo parlando comunque di uno dei giocatori più controversi e discussi di questa generazione, si pensi solo quest’anno ai riti indiano-americani nei prepartita, molto criticati da tifosi e dalla stampa americani, a numerose rotture delle norme anti-Covid, alla celeberrima scomparsa di una settimana non comunicata alla società che lo paga fior fiore di quattrini, alle dichiarazioni in conferenza stampa, e si potrebbe andare avanti.

Ma, come C.J. McCollum ha detto pubblicamente, molte sono le cose che lui fa e che nessuno elogia, a partire da piccoli gesti per giovani tifosi fino a enormi investimenti in società di aiuto ai bisognosi (si parla di una cifra superiore al milione di dollari negli ultimi anni a società che lottano contro la fame e la povertà).

Ma soprattutto, noi siamo qui per giudicare l’uomo che calca il parquet, e lì è un fenomeno. Dotato di un’abilità di controllo del palleggio unica in questa lega, aggressività offensiva, intelligenza tattica e classe donategli direttamente da Madre Natura, il nativo di Melbourne non ha deluso le attese questa stagione. Stiamo parlando di 36 partite con 28 punti, 6.2 assist, 5 rimbalzi e 1.3 rubate tirando con il 39% da tre e ben il 57.5% da due. E per intenderci, 28 punti sono un massimo in carriera e le altre statistiche sono al livello del suo primo anno a Boston.

A volte, come insegna Uncle Drew, è meglio ammirare la bellezza del gioco di questi atleti fino a che ce l’avremo davanti agli occhi piuttosto che perdere tempo a criticarli in tutti i modi possibili e perdere ciò che ci stanno regalando. Ah, per la cronaca, il rimando al nostro solito YouTube vale anche per lui.

Poi, dopo l’enorme e indubbio apporto che questi due fenomeni stiano dando alla squadra newyorkese, bisogna dare una nota di merito a Nash.

IL LAVORO DI STEVE

Alla notizia dell’arrivo di Harden sembrava che, eccetto le altre due stelle e il centro di turno, gli altri giocatori non avrebbero avuto molto da dire sul campo. Non erano paure infondate, visto che il Barba 6 volte su 10 circa mantiene il possesso della palla per più di 6 secondi.

Eppure, evidentemente esortato dal coach stesso, l’ex-Rockets si è messo a disposizione della squadra e non ha rinunciato a fidarsi dei suoi compagni tanto quanto delle sue abilità. Caso principe è quello del tiratore Joe Harris che da quando è arrivato Harden segna 14.2 punti a partita (nelle 13 partite prima erano 14.5), tirando con poco meno del 50% da tre, passando da 5 a 7 tentativi a partita.

Nash però non si è limitato a “strappare dalle mani” la palla a Harden e Irving, ma ha dato fiducia a veterani dati ormai per cotti o a giovani sconosciuti. Tra i primi basti che si citino Jeff Green, con 10.3 punti e 4 rimbalzi, nonché nelle ultime tre partite 22 punti, 3 rimbalzi e 2 assist di media; Blake Griffin, che nelle sue 6 partite in casacca nera ha registrato 8.8 punti, 5 rimbalzi e 1 assist e soprattutto è tornato a schiacciare dopo due anni di astinenza dalla sua specialità. L’ultima aggiunta è LaMarcus Aldridge che in sole tre partite ha fatto vedere il valore che è ancora in grado di fornire nel reparto dell’ala grande o dei lunghi segnando 10 punti, prendendo 6 rimbalzi e distribuendo 3 assist, in più contribuendo difensivamente con 1 rubata e 2 stoppate.

Nel reparto giovani invece ha rilanciato Landry Shamet, che lo ha ricompensato con 9 punti a partita e il 38% dall’arco. Insieme a lui, hanno calcato il parquet del Barclays Center anche dei totali sconosciuti come Luwawu-Cabarrot e Bruce Brown che hanno contribuito egregiamente alla causa dei bianconeri registrando di media in due 17 punti, 7 rimbalzi e 3 assist. Un altro giovane promettente è il centro Nicolas Claxton, che ha fatto vedere sprazzi di brillantezza entro una mediocre performance media che lo vede con 7.5 punti, 4.8 rimbalzi e 1.3 stoppate a partita. 

Stando così le cose, sembrano veramente imbattibili nella postseason, e forse lo saranno… rimane il fatto che hanno un enorme buco nel ruolo di centro a cui non credo che si possa ovviare con una rotazione di Aldridge, Claxton e DeAndre Jordan, veterano che non si è riusciti a far risorgere neanche quest’anno e che viaggia a 7 punti e 7 rimbalzi a partita.

Diventerebbe molto problematico non solo per la questione di presenza al ferro o per cercare di conquistare possessi offensivi extra, ma per una questione prettamente difensiva. Chi marca Embiid? Chi marca Antetokounmpo? Chi Drummond e Anthony Davis? E Jokic?

E poi, tralasciando per il momento i lunghi, chi affiderà Nash in marcatura a Irving, che sembra il più lacunoso difensivamente delle tre stelle?

Tante sono le domande a cui solo il campo può rispondere, come sempre mi piace ricordare. Una cosa è certa, quando quei tre calcano insieme il campo, i problemi difensivi sono prima di tutto degli avversari. La NBA è avvisata.

 

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