La stagione NBA 2020-2021 certo non si può definire “una passeggiata”.

Palazzetti vuoti o quasi vuoti, filotti di sconfitte subiti da squadre in lotta per i playoff a causa di improvvisi casi di Covid che costringono e hanno costretto molte stelle a non calcare il parquet per una o due settimane.

E poi ci sono i classici infortuni. Dico classici perché in fondo è così, fanno parte dello sport, anche di uno sport come il basket che, pur essendo attirato, sempre di più, fuori dal pitturato e verso la linea che dista circa 24 piedi dal ferro, rimane un gioco molto fisico. E si sa, la somma tra fisicità e agonismo dà contatti rudi, e da questi ad infortuni il passo è breve, la matematica su questo non mente.

Rimane il fatto che, come per i giocatori stessi, così come per chi è seduto comodamente su un morbido divano con Tranquillo che urla nelle sue orecchie alle due di notte, veder cadere doloranti a terra questi ragazzoni fa stringere sempre il cuore, a prescindere da simpatie o antagonismi.

E quest’anno, purtroppo, abbiamo visto tanti infortuni gravi subiti da giovani in ascesa o da star confermate, a partire da Fultz e Dinwiddie, entrambi fuori per la rottura del crociato anteriore, così come Thomas Bryant. Per lo stesso infortunio eravamo stati privati prima dell’inizio della stagione di Jonathan Isaac, stella nascente in Orlando, di Jaren Jackson Jr. e del martoriato Klay Thompson.

Hanno subito gravi infortuni anche Steph Curry, TJ Warren, Cam Reddish e Mitchell Robinson, e chi più ne ha più ne metta. L’orrore di questi gravi infortuni che obbligano i giocatori a lunghissimi recuperi deve poi essere sommato al fatto che queste stesse disgrazie spesso e volentieri minano le speranze di raggiungere la postseason per squadre di piccolo mercato, come Memphis, oppure compromettono posizioni in classifica complicando alle franchigie il percorso verso le finali NBA.

In questa ultima categoria, tre sono le squadre che più di tutte erano in odore di alta classifica ma che sono state colpite da infortuni alle loro stelle. Dietro di loro si stanno invece radunando banchi di squali in odore di sangue, pronti a sfruttare questi momenti di debolezza per attaccare i capibranco.

EASTERN CONFERENCE

Philadelphia ha perso Joel Embiid per un infortunio al ginocchio intorno a metà marzo, quando il centro stava registrando 30 punti e 11.5 rimbalzi tirando con il 52% dal campo e il 42% da tre. Insomma, in poche parole, era il leader della corsa per l’MVP. In questo lasso di tempo, grazie ad aggiustamenti del magistrale coach Rivers, Philly è riuscita a contenere il danno con un record di 6-2, ma ora, scambiato il centro sostitutivo Tony Bradley, Mike Scott come centro è un esperimento che i tifosi rossoblu non sono molto inclini ad apprezzare.

Brooklyn, invece, ha perso ormai da metà febbraio un membro del Big Three, cioè Kevin Durant, per un problema muscolare. KD non dovrebbe tornare prima di una o due settimane, e ovviamente perdere un giocatore da 29 punti, 7.3 rimbalzi e 5.3 assist con il 52.4% dal campo non è augurabile a nessuno.

Con questi infortuni, molte sono le contendenti che si sono avvicinate, o virtualmente tramite trade o effettivamente con il record. Due in particolare potrebbero costituire una seria minaccia per il trono della Eastern Conference.

1- BROOKLYN NETS

No, non sono psicopatico. È solo che da quando KD è costretto fuori dal campo, i Nets sono 15-3. Sì, avete letto bene, 15-3. E non solo. Nel frattempo hanno aggiunto alla loro rosa, che aveva semplicemente giocatori del calibro di Irving e Harden, due ex-All Star in Blake Griffin, che da quando veste nero sembra rinato, e pochi giorni fa LaMarcus Aldridge, che è stata una firma fondamentale in quanto è stato tolto ai rivali con base a Miami.

In questo lasso di tempo è stato il Barba a caricarsi la squadra sulle spalle, andando a registrare in queste 18 partite ben 28.5 punti, 11.1 assist, 9.5 rimbalzi e 1.5 rubate pur tirando solo con il 34% da dietro l’arco. In questo modo, oltre ad essere rientrato di forza nella corsa per l’MVP spalla spalla con Jokic, ha avvicinato Brooklyn al primato della Conference tenuto dai Sixers e ora i newyorkesi sono una partita dietro alla squadra di Philadelphia. Insomma, con o senza Durant, grazie al Barba, a Irving, a un non trascurabile contributo dei giovani in squadra, come Claxton (9 punti e 4 rimbalzi a partita), Luwawu-Cabarrot e Bruce Brown, e all’attività di Sean Marks e del front office attivissimo nel mercato dei buyout, i Brooklyn Nets non possono che essere la minaccia più grande a Est. La minaccia più grande anche per loro stessi, perché come tante volte la storia ci ha raccontato, la possibilità per un low-seeded team  di battere una squadra superiore e passare dalle stalle alle stelle è veramente breve.

2- MILWAUKEE BUCKS

Dopo una partenza zoppicante e poco convincente, più in termini di prestazione che di effettivo record, i cerbiatti hanno risposto presente al tentativo di allungo dei Brooklyn Nets con un record di 8-2 nelle ultime 10 partite. Nelle ultime 16, con record di 13-3, The Greek Freak viaggia a 29 punti, 11.7 rimbalzi, 7.4 assist, 1 rubata e 1.2 stoppate a partita, tirando da tre con la stessa percentuale di Harden (ma ovviamente su molti meno tentativi). Aiutato dai fidi scudieri Middleton, Holiday, DiVincenzo, Lopez e Portis, tutti in doppia cifra di media, e con la più nuova addizione di PJ Tucker per solidificare il lato difensivo del campo, sono terzi a Est solo 2.5 partite dietro Philadelphia.

Sono quinti nella lega per offensive rating (116.8 punti ogni 100 possessi), primi in punti a partita (119.3), quarti nella percentuale di tiro da tre (39,3%), primi in rimbalzi a partita (48.6), e ottavi in defensive rating (110.3 punti concessi ogni 100 possessi). Insomma, solide statistiche che sottolineano una squadra che sembra pronta al salto di qualità. Il problema rimarrà comunque il rendimento del due volte MVP nella postseason, momento in cui nelle ultime uscite ha dimostrato un certo affanno contro difese che per ovvi motivi alzano l’intensità.

HONORABLE MENTIONS: Celtics, Heat, Hawks. Per quanto riguarda le prime due, sono state martoriate dal Covid e infortuni sfortunati che ne hanno frenato l’andamento, fino anche a rovinarlo. In entrambe poi ci sono mancanze nel roster, rispettivamente a 5 e al 4/5. Rimane il fatto che sono due squadre con enorme talento, e che Miami nella offseason dispone di un coach di enorme esperienza e di un certo Jimmy Butler che ha già dimostrato che quando si tratta di win or go home è capace di trasformarsi in qualcosa di molto pericoloso per gli avversari. Di sicuro nessuno si augura di incrociare il suo percorso con quello della squadra di South Beach, specialmente dopo l’arrivo di Oladipo.

Gli Hawks invece hanno molto talento, sono semplicemente molto poco consistenti, soprattutto nella metà campo difensiva. Per questo, a parer mio, possono solo essere un effettivo pericolo alle prime tre in quanto dark horse. Menzioni d’onore elevate alla seconda vanno a Knicks e Hornets, attualmente quarti e quinti, anche se metterli tra le contender sarebbe affrettato, anzi quasi da manicomio. Ma chissà, tra due o tre anni magari…

WESTERN CONFERENCE

Oltre allo sciagurato infortunio di Klay, che prima della partenza della stagione ha tolto praticamente dall’orizzonte una papabilissima contender, nella costa pacifica degli Stati Uniti sembra che la Dea Bendata, nel classico gioco messicano della piñata, si sia accanita solo contro i Lakers. Infatti, prima si è infortunato Anthony Davis, a metà febbraio, e poi LeBron James poche settimane dopo, intorno al 20 marzo. AD, che se tutto va bene dovrebbe rientrare intorno a metà aprile, stava viaggiando a 22.5 punti, 8.4 rimbalzi, 3 assist con il 53% dal campo.

The Chosen One, invece, che salterà dalle 4 e 6 settimane, manteneva una media a partita di 25.4 punti, 7.9 assist e 7.9 rimbalzi con il 51% dal campo e un parametro di player efficiency rating che indica ben 24.7. Da quando entrambe le stelle sono fuori dal parquet, i Lakers hanno faticato a trovare ritmo, vincendo 2 partite su 6 e scivolando al quarto posto della Western Conference, pedinati da vicino da Nuggets e Blazers. La firma recentissima di Drummond sicuramente aiuterà ad arginare un po’ le acque e permetterà un recupero più completo a Davis e LeBron. Quindi, a mio parere, non è contemplata la mancata qualificazione alla postseason. Certo, i Lakers incontrerebbero davvero molte difficoltà e un percorso più accidentato se si qualificassero da sesti o settimi, situazione assolutamente da evitare per non essere vittime di brutte sorprese. A contendere il trono a Ovest dei gialloviola ci sono tre squadre principalmente:

1- UTAH JAZZ

Utah, come ormai chiunque segua la NBA sa, è la favola dell’anno a Ovest. Hanno il miglior record NBA (34-11), un offensive rating di 118 (primo nella lega) e un defensive rating di 109.1 (quinti totali). Segnano 17 triple a partita tirandole con il 39.7%, rispettivamente primi e secondi nella intera NBA. Hanno uno dei due o tre difensori più forti della lega in Rudy Gobert, che concede 101 punti in 100 possessi ai giocatori che marca (primo in assoluto).

Hanno un miscuglio perfetto nel backcourt tra giovane sfrontatezza con Donovan Mitchell (26 punti e 5.5 assist di media), saggezza da veterano con Mike Conley (16 punti e 5.5 assist) e un po’ di follia con il probabilissimo futuro Sixth Man Of The Year Jordan Clarkson (17.4 punti e 4 rimbalzi in 25 minuti scarsi). Hanno poi ottimi rimpiazzi energici nel reparto dei lunghi, come Royce O’Neal e Derrick Favors. E poi c’è un certo Joe Ingles, l’attuale leader della lega in true shooting percentage (72.9%) e offensive rating (137.6 punti ogni 100 possessi), a cui si danno veramente troppi pochi meriti. Insomma, una squadra ben costruita e molto ben allenata. Il dubbio rimane la tenuta nella postseason, ma per ora un primo posto non fa ribrezzo ai tifosi di Salt Lake City.

2-PHOENIX SUNS

Effetto Chris Paul, probabilmente: Phoenix è seconda a Ovest, con record di 31-14. Pur essendo la terza squadra più lenta ad arrivare al tiro (il cosiddetto pace), sintomo di una lenta costruzione, sono ottavi in offensive rating e soprattutto quarti in defensive rating concedendo solo 108.9 punti ogni 100 possessi. Per il resto, nelle statistiche più classiche sono nella media, se non che, com’era pronosticabile, sono secondi in assist forniti a partita con 27, e difensivamente forzano gli avversari a tirare con il 34% da tre e il 45% complessivo, secondo e ottavo dato nella intera NBA. Ben 7 giocatori segnano con consistenza più di 10 punti a partita, e il leader tra questi è la giovane stella Devin Booker.

Sotto il ferro, invece, domina DeAndre Ayton, con 14 punti e 11 rimbalzi, anche se questa stagione ha un po’ frenato quel processo di crescita che da lui ci si aspettava. In campo aperto, invece, c’è in bella mostra la classica inconfondibile classe di CP3 che gestisce il pallone a spicchi e sforna 8.5 assist a partita accompagnati da 16 punti.

Oltre ai tre diamanti, vi sono gregari di elevato livello che completano il roster nella maniera migliore possibile: Jae Crowder, fondamentale in difesa, Dario Saric, che permette a Ayton minuti di respiro senza farlo troppo rimpiangere, Mikal Bridges, che si sta confermando un giocatore solido, così come Cameron Johnson, Frank Kaminsky, Cameron Payne e la nuova azzeccatissima aggiunta Torrey Craig. Una squadra che, a parer mio, ha profondità e qualità nel roster che ha poche eguali nella lega, ed è una delle più papabili fautrici di un profondo cammino nei playoff, più profondo degli stessi Jazz.

3 – LOS ANGELES CLIPPERS

Come l’anno scorso, siamo qui a dire che i Clippers possono aspirare alla corona di Re LeBron. Sarà vero? Purtroppo per la risposta a questo quesito dobbiamo attendere che il campo parli. Intanto, possiamo dire che i Clippers sono terzi a Ovest, con  record 31-16. Erano partiti con una forte mancanza nel ruolo di point guard pura, e sono riusciti a tappare quella falla con Rondo nell’ultimo giorno di mercato sacrificando Lou Williams e due seconde scelte.

Non sappiamo ancora se Rondo sarà la risposta ai loro problemi in regular season. Certo è che Playoff Rondo fa molta paura, e viste le ultime stagioni non sembra sia contemplata la possibilità di un abbassamento del livello da parte del veterano quando arrivano le partite che contano davvero.

Parliamo comunque di un playmaker di livello indiscusso posto a guidare le operazioni di una squadra che attualmente ha il secondo offensive rating della NBA (118.2). Hanno la migliore percentuale dall’arco della lega (41.6%), ma sono un po’ carenti nella metà campo difensiva, in cui concedono 108.7 punti a partita, il 36% da tre e addirittura 9 rimbalzi offensivi agli avversari. Indiscusse stelle sono Kawhi Leonard, che trascina l’attacco con 26 punti 6.3 rimbalzi e 4.8 assist ma che è l’àncora anche della difesa compiendo 1.8 rubate a partita (secondo nella NBA), e Paul George, che contribuisce con 22.5 punti, 6.3 rimbalzi e 5.5 assist.

Nel pitturato si è dimostrato ottimo il tandem Zubac (9 punti e 7.3 rimbalzi) e Ibaka (11 punti, 6.7 rimbalzi e 1.1 stoppate). Quasi totalmente inadeguato è stato invece il reparto delle guardie, dove Beverley, Jackson e Kennard non sono riusciti a dare, soprattutto in difesa, ciò di cui la squadra aveva bisogno, così come tra le ali ha fatto un irriconoscibile Marcus Morris. Nota positiva sono invece i contributi del redivivo Batum (unidicesimo nella lega in offensive rating con 128 punti ogni 100 possessi), e il giovanissimo Terance Mann, che sta ricevendo sempre più fiducia e che porta sul parquet un insieme di abilità in entrambe le metà campo, che si moltiplicano per l’apporto di energia che il prodotto di Florida State ci mette. Però, mi sento di dire, il loro successo nella postseason dipenderà da Rondo. Se riuscissero ad avere l’85% del Rondo degli scorsi playoff allora si potrebbe avverare il sogno di tutti: il derby di Los Angeles in finale di Conference. Ma la strada è lunga…

HONORABLE MENTIONS: Nuggets, Blazers. Sono entrambe sicuramente col fiato sul collo dei Lakers. Si potrebbe aggiungere tra i pericoli Denver, ma bisogna aspettare di vedere come va l’inserimento di Aaron Gordon nel sistema delle Pepite. Se riuscisse ad innalzare il livello difensivo, allora Denver entrerebbe di diritto nelle contender vere e proprie.

Per quanto riguarda i Blazers, non hanno personale con cui poter difendere AD e LBJ e Drummond… il massimo a cui posso ambire è salire più che possono in regular season ed evitarli nel primo turno. Prima o poi, però, i nodi verranno al pettine.

 

 

One thought on “NBA: lo sprint finale delle Contenders

  1. Che fine ha fatto quel pregiato pezzo sui Celtics che volevo screenshottare a futura memoria sulla competenza di uno dei commentatori?

    Era proprio attaccato a quello sul simpatico no-vax col numero 23 dei Lakers 😁

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