Capita a volte di osservare con maggior attenzione l’operato di una determinata squadra, a maggior ragione quando incontra una determinata serie di logiche nella propria modalità costruttiva.

Nel mezzo di capricci di una superstar e l’altra con l’ottica di approdare alla miglior scorciatoia possibile per il titolo, gli Atlanta Hawks si sono rivelati essere tra le franchigie più abili nell’operare una ricostruzione che oggigiorno non si può più permettere di essere troppo lunga, se non perché il fabbisogno di vittorie diviene sempre più pressante e troppe proprietà cadono nella trappola del non non accettare di agire in modo sensato e programmatico, pagando le conseguenze delle loro decisioni nel lungo periodo.

Riavvolgendo il nastro all’estate del 2018, quando vennero gettate le fondamenta degli attuali Hawks, si possono stanare le orme di un allestimento gestito sul modello vincente dell’epoca.

Chiunque si fosse difatti cimentato nello stilare i classici giudizi che rimpolpano le pagine web dopo ciascuna sessione di selezioni collegiali aveva reperito in Atlanta un’entità decisa ad operare in modo chiaro e preciso, traslocando in Georgia tratti di quei Warriors dai quali avevano mutuato i punti essenziali per una rifondazione che avrebbe dovuto riaprire con celerità una finestra che in precedenza aveva portato a dieci stagioni consecutive di qualificazioni ai playoff con l’apice della finale di Conference raggiunta nella tarda primavera del 2015.

In quella nottata destinata ad essere per sempre ricordata per lo scambio Doncic-Young gli Hawks avevano trovato proprio nel realizzatore uscito da Oklahoma l’idea del loro personale Steph Curry nella stessa ottica andata poi ad assegnare a Kevin Huerter il ruolo specifico di tiratore dal perimetro e ad Omari Spellman quello di presunto difensore energico avvezzo al tiro da tre, due profili inequivocabilmente abbinabili – ovvio, con le dovute proporzioni – ai quei Thompson e Green determinanti per i successi ottenuti nei dintorni del Golden Gate.

Premesso che poi Spellman ha girato altre due squadre prima di scendere alla G-League, come sempre giocare con le premesse è un po’ troppo facile e la distensione delle prospettive in avanti nel tempo non tiene conto di troppi fattori, su tutti il fatto che poi tutti gli elementi innestati devono adattarsi ad un livello di gioco superiore e creare chimica in campo e fuori, il che non è certo sintomo di quella presunta automatica garanzia del fatto che poi la squadra progredisca come da scaletta stilata dagli addetti ai lavori.

Per quanto il general manager Travis Schlenk abbia lavorato in maniera promettente anche in seguito, rendendo lo scenario ancora più intrigante attraverso le successive selezioni di Cam Reddish e De’Andre Hunter, quest’ultimo ottenuto dai Pelicans vincendo sinora a mani basse lo scambio per Jaxson Hayes, l’attuale bilancio perdente degli Hawks risulta ampiamente insoddisfacente se correlato alla correttezza nell’assemblaggio del roster, plasmato sulla crescita della notevole quantità di talento collegiale raccolto nel giro di un solo anno solare e puntellato con operazioni di mercato mirate ad arricchire a completare le esigenze non coperte, con la possibilità di mettere in campo una possibile contender per la frequentazione dei piani alti della Eastern Conference trascorrendo il minor tempo possibile nel novero delle compagini da lotteria.

L’attuale campionato offre una squadra di certificate potenzialità, ma ancora immatura e per certi versi incompleta per potersi permettere di realizzarle. Lloyd Pierce, allenatore il cui arrivo è sostanzialmente coinciso con l’inizio di questa nuova epoca georgiana, conosce perfettamente i limiti che stanno impedendo agli Hawks di scalare le gerarchie secondo i pronostici, ed al terzo anno di esperienza sulla principale sedia posta a lato del parquet è inevitabile che possano nascere dei dubbi sulla gestione che il medesimo sta attuando soprattutto a livello psicologico, dato che molto del lavoro tattico atto a colmare le vecchie lacune sembra essere stato eseguito con dovizia.

Atlanta ha offerto un profilo di sé preoccupante, corrispondente ad un gruppo anzitutto incapace di mantenere la presa sui vantaggi acquisiti nel quarto periodo a causa di problematiche legate tanto alla fase offensiva quanto a quella difensiva, dove buonissimi tiri mancati e distrazioni eccessive portano gli avversari di turno a catturare l’inerzia della gara con troppa puntualità.

Una creatura così abilmente eretta soffre ancora di evidenti problemi di andatura, accumulando sconfitte a causa del differenziale negativo di due punti di media nel confronto tra punti segnati e subiti nel quarto periodo delle partite sinora disputate, con ben nove insuccessi giunti con gli Hawks in vantaggio in un qualsiasi momento del quarto decisivo, momento nel quale sono migliori solamente dei derelitti Wizards per media di punti concessi (28.8).

Il trend pare essere nettamente inverso rispetto a quello tracciato in coincidenza della più recente offseason, dove la franchigia pareva aver apportato significative migliorie alla profondità di ciascun ruolo, fattore che sembra invece rappresentare una delle problematiche più grosse da risolvere.

Data per scontata la sospensione nei giudizi su Bogdanovic, elemento che doveva ampliare le possibilità offensive ma oggi privo di una tempistica ben definita per il rientro dall’infortunio al ginocchio destro, ci sono chiare mancanze nei ruoli di point guard e centro, con dirette conseguenze sul rendimento calante man mano che la gara si avvicina alla sua conclusione.

Trae Young ne è l’esemplificazione più eclatante, perché quando si accomoda in panchina gli Hawks mutano istantaneamente in una versione peggiorativa accentuando una problematica che perdura sin dalla sua annata da matricola: si stima difatti che in presenza delle seconde linee l’offensive rating arrivi a toccare quota 98.1, numero addirittura inferiore al 105.5 attualmente detenuto dagli ultimi della fila, i Cavaliers, e non è sinora stato individuato un degno sostituto in grado di iniziare l’azione con efficacia senza far mancare troppo la produzione offensiva, traguardo senz’altro non raggiungibile se le alternative si chiamano Rondo e Goodwin, detentori di alcune delle peggiori percentuali al tiro di tutta la formazione.

Oltre al non potersi permettere di far rifiatare Young troppo a lungo, parte della ragione per cui troppe volte gli Hawks mancano tiri apparentemente facili nel quarto periodo, si devono eseguire i dovuti conti con la conformazione con cui Atlanta predilige chiudere le partite, evidenziando ulteriore mancanza nella validità delle alternative.

Dal punto di vista offensivo le scelte di Pierce non fanno una piega, Gallinari finisce sempre la gara al posto di Capela caricando gli appostamenti da oltre l’arco in sostituzione di un giocatore che costituisce l’anima della squadra a rimbalzo ma che rischia di essere una debolezza troppo rischiosa dalla linea dei liberi, per quanto l’italiano appaia più lento del solito nel raggiungere la posizione di tiro incidendo negativamente sulla tempistica nella circolazione del possesso permettendo al marcatore di chiudergli troppo facilmente lo spazio.

Gli ultimi due ragionamenti tenderebbero ad evidenziare un operato dirigenziale non efficace come in precedenza, se non altro relazionando il biennale da 15 milioni fatto sottoscrivere ad un Rondo senza dubbio importante per l’esperienza che può portare in materia playoff ma che al momento costituisce solo una sovra-pagata alternativa a Vince Carter nella figura di chioccia dello spogliatoio, nonché i 61 del triennale elargito proprio al Gallo, la cui retribuzione non pare correttamente proporzionata rispetto alla sua attuale utilità alla causa. La trade effettuata dodici mesi fa per ottenere Capela ha finalmente posto fine alle larghe deficienze a rimbalzo, ma si tratta pur sempre dell’unico centro affidabile che gli Hawks possono mettere in campo dal momento che la sesta scelta assoluta dell’ultimo draft, Onyeka Okongwu, ci metterà ancora parecchio tempo nell’adattarsi alle dinamiche tecnico-atletiche dettate dal professionismo e Bruno Fernando non è certo in grado di garantire minuti di qualità come cambio.

Un peso di notevole rilevanza va anche assegnato alla forzata assenza di De’Andre Hunter, fermato dall’operazione al menisco proprio nel fiore dei suoi progressi tra il primo ed il secondo anno di attività, che l’aveva visto aumentare la precisione nel tiro – deteneva il 60% abbondante da due punti – diventando contemporaneamente più aggressivo a canestro (+1,8 di media nei liberi tentati).

Proprio gli evidenti miglioramenti offerti da Hunter, evidentemente più efficace in difesa grazie al lavoro atletico svolto in offseason tanto da riguadagnarsi quello spot di ala piccola che lo vedeva soffrire troppo contro la maggior velocità degli attaccanti, hanno involontariamente messo in luce le difficoltà di Reddish, elemento che il quintetto vede come indispensabile dal punto di vista difensivo ma sulle cui lacune offensive è necessario eseguire le dovute valutazioni. Difficile, nella Nba di oggi, pensare di poter elargire un minutaggio consistente ad un giocatore che difende molto bene ma che non costituisce un’opzione credibile da tre punti – caratteristica peraltro determinante per giocare accanto a Trae Young – problema che va ad aggiungersi all’insicurezza mostrata in fase di manipolazione del pallone e alla discesa di tutte le percentuali realizzative rispetto all’esperienza da rookie, fatto che non può far esimere Pierce, ad esempio, dal preferirgli un tiratore puro come Huerter.

Ci si chiede se parte della soluzione dell’enigma-Hawks possa pervenire dalla trade deadline, innescando inevitabili pensieri coinvolgenti John Collins ed il suo rifiuto di un’estensione contrattuale che gli avrebbe fruttato 90 milioni di dollari rendendolo destinato ad una restricted free agency piena di punti interrogativi per Schlenk, il quale dovrà eseguire le opportune considerazioni partendo dal fatto che il giocatore ha chiaramente espresso l’opinione di valere un max deal che a questo punto potrebbe trovare altrove, ragionando inoltre sulla difficoltà di scambiarlo prima di marzo per via del suo attuale stipendio, 4.1 milioni di dollari per 18 punti e 7.6 rimbalzi medi, una produzione che non si trova in nessun altro luogo per quell’esborso economico.

La soluzione potrebbe essere quella di unire a Collins uno tra Snell e Rondo per incamerare un salario più alto, vedendo nella prima soluzione quella più percorribile potendosi giocare una scadenza da 12 milioni, ben più allettante dell’accollo dei 7.5 milioni che Rajon incasserà tra questa e tutta la prossima stagione, sarebbe tuttavia pericoloso escludere una risorsa del genere da un’eventuale corsa agli ultimi posti al sole per la post-stagione.

L’unica cosa certa è che se gli Atlanta Hawks avessero seguito con dovizia il normale percorso di sviluppo progettato per la franchigia, oggi ci si aspetterebbe di vederli competere per un posto sicuro nei playoff. I fatti raccontano una storia drasticamente differente, e come sempre nella Nba il tempo corre con tirannia rendendo impaziente chi stacca gli assegni ogni mese.

Lloyd Pierce ed il suo staff devono variare con solerzia la direzione negativa intrapresa da questa squadra di potenzialità intriganti, un obiettivo certamente non perseguibile se non si comincerà in fretta ad entrare più profondamente nella mentalità dei giocatori, facendo loro capire che non basta essere un gruppo di talento se poi le partite non le si gioca fino in fondo. Finire l’anno con un’altra scelta alta porterebbe con sé uno scomodo gusto di fallimento.

One thought on “Atlanta Hawks: il talento che non decolla

  1. i 60 milioni di Gallinari sono il suo fondo pensione

    se lo tagliassero economicamente ci perderebbero ma sportivamente per i risultati sarebbe un boost

    Rondo fuori da una contender non ha semplicemente voglia (altro peso morto, dunque)

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