Il momento è finalmente arrivato: una stagione NBA lunga quasi un anno vivrà il suo atto finale nella bolla di Disneyworld a partire dalla notte tra mercoledì 30 settembre e giovedì 1 ottobre. Un evento che, in seguito all’esplosione della pandemia Covid e la conseguente sospensione del 12 marzo, a un certo punto della stagione sembrava essere quasi irraggiungibile.

Ad affrontarsi ci saranno i Los Angeles Lakers, campioni della Western Conference e al loro ritorno alle Finals dopo dieci anni (vittoria per 4-3 sui Boston Celtics nel 2010) e i Miami Heat, vincitori della Eastern Conference e di nuovo in finale dopo l’ultima apparizione datata 2014 (sconfitta per 4-1 contro i San Antonio Spurs)

Ma se i Lakers, primi classificati a Ovest, erano senz’altro tra i favoriti per l’anello sin dallo scorso ottobre, ben diverso è il discorso per gli Heat, arrivati a giocare l’ultima serie della postseason nonostante il quinto posto nella loro Conference e soprattutto dopo aver sconfitto rivali a Est molto più quotati.

Il cammino dei Los Angeles Lakers

La formazione losangelina ha affrontato al primo turno i Portland Trail Blazers, che avevano acciuffato l’ultimo posto playoff utile ad Ovest nello spareggio contro i Memphis Grizzlies soprattutto grazie a un Damian Lillard in versione “uomo in missione”. Nonostante la sorprendente vittoria dei Blazers in gara 1, il resto della serie ha visto prevalere i Lakers abbastanza comodamente per 4 a 1.

Con lo stesso risultato si è concluso anche un secondo turno che sulla carta si preannunciava più ostico per i colori gialloviola, disputato contro gli Houston Rockets di Harden e Westbrook in cerca dell’affermazione definitiva. Malgrado anche in questo caso la serie si sia aperta con una sconfitta, LeBron e soci hanno poi inanellato quattro vittorie consecutive ed eliminato i Rockets, dichiarando ufficialmente concluso il loro ciclo sotto la guida tecnica di Mike D’Antoni.

In finale di Conference i gialloviola hanno affrontato la resilienza fatta squadra, quei Denver Nuggets, capaci di eliminare sia gli Utah Jazz che i Los Angeles Clippers risorgendo dal baratro dell’1-3 in entrambe le serie. Nonostante i Nuggets ce l’abbiano messa tutta, complici un canestro sulla sirena di Anthony Davis in gara 2 e un James in versione vintage nel finale di gara 5, i Lakers hanno chiuso anche questa serie sul 4-1 conquistando l’accesso alla decima finale in carriera del Re.

Il cammino dei Miami Heat

Il percorso postseason dei Miami Heat, come già accennato, è stato di diverso tenore rispetto a quello dei rivali. La formazione della Florida ha ricoperto il ruolo di outsider per gran parte del suo cammino, ciononostante anche per gli Heat le sconfitte totali nelle gare playoff sono state solo tre.

Dopo lo sweep ai danni degli Indiana Pacers al primo turno, la formazione allenata da Erik Spoelstra ha affrontato quella che per moltissimi era la favorita numero uno ad Est: i Milwaukee Bucks di Giannis Antetokoumpo. Nonostante il primo posto in regular season degli avversari, il 4-1 finale per gli Heat è esplicativo di una serie in cui Miami è stata padrona del campo per la stragrande maggioranza delle partite, con l’unica sconfitta arrivata al supplementare in gara 4, per quanto abbiano sicuramente inciso sull’andamento della serie i ripetuti infortuni alla caviglia dello stesso Antetokounmpo.

La sfida più impegnativa del cammino di Miami è arrivata in finale di Conference, contro dei Boston Celtics in ottima forma che proponevano un roster giovane e profondo con un sistema di squadra rodato ed efficace. L’epilogo però ha sorriso ancora agli Heat, vincitori per 4-2 e ancora una volta in grado di imporre la loro pallacanestro agli avversari, dimostrando sul campo di aver meritato la possibilità di portare a Miami il quarto titolo NBA nella storia della franchigia.

Backcourt: gli esterni a confronto

Il pacchetto esterni rappresenta uno dei punti di forza dei Miami Heat, il cui attacco vive molto degli spazi creati per i tiratori dall’arco. L’esperto Goran Dragic ha le chiavi della regia di un backcourt in cui si sono imposti soprattutto Duncan Robinson e, nelle ultime gare, un Tyler Herro in grandissima crescita. L’appena ventenne Herro in particolare ha rivestito i panni del protagonista nella serie contro i Boston Celtics con i suoi 37 punti con 14/21 dal campo in gara 4.

Il sistema costruito da Erik Spoelstra ha finora funzionato come un orologio svizzero, non solo con la circolazione di palla ma anche grazie a una difesa che prevede cambi sistematici e velocissimi.

La prova del nove sarà però dover affrontare la batteria di esterni dei Lakers, che alle incursioni al ferro di LeBron James e alla precisione di un Danny Green ormai veterano dei playoff ha aggiunto nelle ultime gare l’imprevedibilità di Rajon Rondo.

Proprio l’ex playmaker dei Celtics può rappresentare l’uomo in più per coach Vogel. Nelle ultime gare Rondo ha trovato sempre più fiducia e minutaggio, togliendo peraltro pressione a un Kentavious Caldwell-Pope che spesso sembra sentire il peso di dover affiancare un mostro sacro come LeBron. D’altra parte, una forte discriminante per il rendimento di un giocatore caratterialmente particolare come Rondo è sempre stata la motivazione, che in questi playoff sembra non mancargli affatto.

Le luci dei riflettori, comunque, non possono che essere puntate su LeBron James. Il leader morale e materiale dei Lakers è alla ricerca del suo quarto titolo personale, da portare a L.A. nell’anno della tragica scomparsa di Kobe Bryant. Il nativo di Akron ancora una volta ha alzato il livello del suo gioco nel periodo più importante della stagione, con fiammate di pura onnipotenza anche alla tenera età di quasi 36 anni.

Ad occuparsi di lui in difesa ci sarà Jimmy Butler, ormai calato alla perfezione in un ruolo di uomo-squadra che non sempre in passato è stato accreditato di saper ricoprire. Questa è di fatto la sfida più importante della carriera dell’ex Timberwolves, al parquet di Orlando il compito di stabilire se sarà in grado di vincerla.

Frontcourt: i lunghi a confronto

I frontcourt delle due squadre vedono inevitabilmente svettare due giocatori. All’angolo dei Lakers, Anthony Davis; all’angolo degli Heat, Bam Adebayo.

Davis ha finalmente l’occasione di competere per il titolo dopo gli anni di gavetta ai New Orleans Pelicans, e fin qui la stagione ha dimostrato che The Brow non ha intenzione di mancare l’appuntamento con l’affermazione definitiva. L’arsenale a disposizione del numero 3 gialloviola è virtualmente infinito: può attaccare in palleggio e giocare sia fronte che spalle a canestro. Negli ultimi anni il suo fadeaway è diventato sempre più efficace e affidabile, mentre dal punto di vista difensivo si è distinto, oltre che per un atletismo debordante, anche per il tempismo con cui riesce a leggere i movimenti degli avversari. Il compito dei lunghi degli Heat sarà davvero durissimo, ma Bam Adebayo ha dimostrato nelle precedenti serie di playoff di non temere alcuna sfida.

Adebayo rappresenta un lungo perfetto per il basket del 2020: solo apparentemente sottodimensionato, Bam è atletico, dinamico e in grado di eseguire le rotazioni e gli aiuti difensivi con rapidità e precisione. Nonostante abbia soltanto 23 anni e questi siano i primi playoff della sua carriera, ha dimostrato doti di leadership non tirandosi indietro neanche dopo le prestazioni più sottotono, in particolare riuscendo a riscattare un’opaca gara 5 contro i Celtics con una eccezionale gara 6 che ha condotto al successo dei suoi nella partita e nella serie. Mentalmente Adebayo è pronto e la terribile sfida con Davis lo vedrà sicuramente dare il massimo.

Da non sottovalutare tuttavia l’apporto degli uomini d’esperienza da ambo le parti: per Miami Jae Crowder ha costruito negli anni un ottimo tiro da fuori per aprire il campo e la sua esperienza nelle gare di playoff sarà sicuramente una risorsa utile. In casa Lakers, oltre a un JaVale McGee sempre insidioso e combattivo, nelle ultime gare è emerso con prepotenza l’apporto di Dwight Howard, che dopo anni ad inseguire l’anello da protagonista delle sue squadre senza mai riuscire nell’intento, ci riprova quest’anno come parte del supporting cast di James e Davis. Come per Rondo, fondamentale sarà la sua motivazione e la sua esperienza di NBA Finals contro una squadra giovane come i Miami Heat.

La sfida delle panchine

I playoff 2020 sono stati un’importante vetrina soprattutto per Erik Spoelstra, allenatore dei Miami Heat da 12 anni, il cui ruolo è stato spesso sottovalutato col passare delle stagioni in Florida (non ha mai vinto il titolo di Coach of the Year) ma che ha costruito negli anni la squadra che oggi si gioca la finale puntando sullo sviluppo dei giocatori più giovani e sapendo integrare a meraviglia la personalità e il gioco di Jimmy Butler.

Il coach ha infatti indubbiamente dei meriti se Butler ha accettato di sacrificare in parte le sue caratteristiche di scorer puro per trasformarsi, dentro e fuori dal parquet, in un giocatore di riferimento per i suoi compagni, tutti (tranne la bandiera Udonis Haslem) alla loro prima finale NBA.

Dall’altra parte c’è Frank Vogel, che ricordiamo in passato per la positiva esperienza agli Indiana Pacers di Paul George e Roy Hibbert e per quella un po’ meno scintillante agli Orlando Magic. Vogel è al suo primo anno da coach dei Los Angeles Lakers ed è riuscito subito a riportarli all’atto finale. Sicuramente poter allenare un roster come quello dei Lakers di quest’anno ha aiutato, ma il suo contributo nel restituire voglia e motivazione a Rajon Rondo e Dwight Howard, tornati ad essere decisivi nelle partite playoff, è comunque indiscutibile.

Rispetto al collega Spoelstra ha messo per forza di cose la sua squadra maggiormente nelle mani delle sue star, ma ha anche dimostrato di essersi guadagnato il rispetto di James e Davis anche grazie ad un sistema difensivo dimostratosi particolarmente efficace già negli anni di Indiana.

Conclusioni

I Lakers partono con i favori del pronostico, supportati dai loro numerosissimi tifosi in tutto il mondo e con la ferma intenzione di riportare a Los Angeles il titolo NBA dopo dieci anni avari di successi. Gli Heat, però, non hanno certo voglia di stare a guardare e, come accaduto contro Bucks e Celtics, il ruolo di underdogs sembra calzar loro particolarmente a pennello.

Buone NBA Finals a tutti.

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