A partire da sabato notte, con la prima partita di play-in nella storia della Lega, partiranno ufficialmente i playoff della NBA 2019/20. Saranno playoff diversi da tutti quelli che li hanno preceduti (e speriamo anche seguiti) ma non per questo meno interessanti. Tra tutte, ho provato a selezionare dieci storie a cui prestare particolare attenzione.

 

Aggiungi un posto a tavola

Grazie (per modo di dire) al Covid-19, quest’anno avremo l’occasione di assistere alla prima partita di play-in nella storia della NBA. Ne saranno protagoniste due delle quattro squadre che hanno animato una emozionante corsa conclusasi all’ultimo respiro nella notte tra giovedì e venerdì. Da una parte i Portland Trail Blazers di un indemoniato Damian Lillard che, forse stimolato dalla querelle con Paul George e Patrick Beverly nelle ultime tre partite ha piazzato nell’ordine 51, 61 e 42 punti (38 punti di media nelle 8 gare di Orlando). Dall’altra i Memphis Grizzlies di Ja Morant che, complici gli infortuni di Justise Winslow e soprattutto di Jaren Jackson Junior, hanno dilapidato quasi tutto il tesoretto accumulato nella regular season pre-Covid ma sono riusciti a salvarsi con una vittoria contro i Bucks all’ultima gara stagionale.

Spiace che alla festa abbiano dovuto rinunciare Spurs e Suns, i primi rimasti a bocca asciutta dopo ben 22 anni (!) di partecipazioni consecutive alla post season e i secondi autori di una incredibile striscia di otto-vittorie-su-otto nelle gare disputate in Florida. A entrambe va sicuramente l’onore delle armi, mentre sulle tristi comparsate nella bolla di Wizards, Pelicans e Kings è meglio stendere un pietosissimo velo.

 

Il Ritorno del Re

Dopo un anno di assenza per lui e ben sette per la franchigia di cui è al virtuale (ma nemmeno tanto) timone di comando, LeBron James e i Los Angeles Lakers tornano ad assaporare il dolce profumo dei playoff NBA e lo fanno addirittura da numeri uno della Western Conference. Per sua stessa ammissione però, nelle ultime settimane nè lui nè gli altri compagni in gialloviola si sono dimostrati vicini a un livello di gioco in linea con gli obiettivi suoi e della franchigia (3-5 il record delle partite giocate nella bolla di Orlando).

Disorganizzati, confusi, imprecisi al tiro e perfino svogliati. Con l’esclusione di Anthony Davis, lui sì apparso in forma smagliante, sia LBJ che i suoi compagni hanno messo in campo una versione particolarmente annacquata di quella squadra che aveva fatto scintille nella porzione pre-Covid di regular season. Nella stessa intervista di cui sopra, James ha però dichiarato di non essere particolarmente preoccupato della cosa: negli anni passati ha sempre dimostrato di saper schiacciare quell’interruttore da attivare nel momento più importante della stagione e (Kyle Kuzma permettendo) a partire dalla prossima settimana andrà alla caccia della sua decima finale NBA.

Sulla sua strada il primo ostacolo sarà una tra Portland e Memphis (con i Lakers che molto probabilmente preferirebbero evitare il caldissimo Damian Lillard), ma sarà forse il derby contro i Clippers in un’ipotetica finale dell’Ovest il vero banco di prova di LBJ e compagni sulla strada verso il diciassettesimo banner da appendere al soffitto dello Staples Center.

 

Dall’Europa con furore

Non lo scrivo perchè sono un tifoso di Dallas (ok, forse un po’ sì…), ma una delle cose che più attendo da questi playoff è assistere a una serie su sette partite tra l’attacco dei Dallas Mavericks e la difesa dei Los Angeles Clippers. Gli angelini sono già oggi una delle principali favorite al titolo mentre ai Mavericks mancano ancora una-due mosse giuste di mercato per diventare una credibile contender, ma il duo Doncic-Porzingis assomiglia molto a una coppia che potrebbe segnare, quantomeno offensivamente, il prossimo decennio NBA.

Di Doncic si è già parlato in lungo e in largo, accostandolo sia alla corsa per il trofeo di MVP (è ancora prestino, ma la strada è quella) che a quello di giocatore più migliorato (forse non sarebbe il linea con lo “spirito” del premio, ma diciamo che ci potrebbe stare), ma dalla ripartenza nella bolla è probabilmente Porzingis ad aver mostrato i miglioramenti più rilevanti. Al rientro dopo oltre un anno e mezzo di stop e con molti interrogativi sulle sue condizioni fisiche, la prima parte della stagione del lettone era stata sì positiva ma non forse come speravano i dirigenti della franchigia texana. Ma dall’arrivo a Orlando, Porzi in sei gare ha piazzato oltre trenta punti di media con quasi dieci rimbalzi e percentuali al tiro in netta crescita (48-38-89%) rispetto alle medie stagionali, dimostrandosi particolarmente in sintonia con il collega del vecchio continente.

Se lui e Doncic cominciassero anche a difendere, le cose per i Mavs si farebbero di colpo molto interessanti. Più probabile che, playoff o meno, questo non succeda e che Dallas venga abbattuta da dei Los Angeles Clippers sicuramente più profondi e completi, ma di certo ci sarà da divertirsi.

 

Tutti contro Giannino

Restando in tema di giocatori europei, la stagione 2019-2020 con ogni probabilità passerà agli archivi con l’assegnazione del secondo titolo di MVP a quello scherzo della natura che risponde al nome di Giannis Antetokounmpo. Come per i Lakers però, anche le prestazioni dei Milwakee Bucks nella bolla di Orlando non sono state particolamente scintillanti. Il greco ha semi-dominato come di consueto (28-12-4 di media in poco meno di 26 minuti sul parquet con un irreale 62.6% dal campo) ma la sua squadra ha perso ben cinque delle otto partite disputate ed è sembrata molto meno fluida in attacco rispetto al periodo pre-Covid.

Intendiamoci, i Bucks restano la grande favorita a Est ma di certo tutte le squadre avversarie proveranno a esplorare a fondo i limiti emersi dal sistema di gioco dei biancoverdi, inarrestabili quando il greco può condurre la transizione e finire al ferro o armare la mano dei tiratori sul perimetro, molto meno quando devono attaccare a difesa schierata. In particolare, Antetokounmpo verrà sfidato a tirare da fuori (solo il 27.3% dall’arco nelle partite di Orlando) e atteso in massa nelle penetrazioni a centro area, dove dovrà migliorare nelle letture per evitare di ritrovarsi accerchiato.

Non sarà certo il primo turno con i Magic a fornire un test attendibile, ma già dal secondo turno contro una tra Miami (soprattutto) o Indiana, Giannis dovrà ridurre gli episodi di nervosismo e crescere ulteriormente come leader, pena un’altra stagione a leccarsi le ferite guardando gli altri disputare le finali NBA.

 

L’orgoglio dei Campioni

Alzi la mano chi a inizio anno avrebbe scommesso che dei Toronto Raptors orfani di Kawhi Leonard avrebbero chiuso la stagione oltre il 73% di vittorie, con il secondo seed nella Eastern Conference e mostrando complessivamente un gioco perfino migliore rispetto alla passata e vittoriosa campagna 2018/19. Ok, come immaginavo… E invece, Lowry e compagni hanno dimostrato di avere ancora parecchie cartucce da sparare e hanno fatto stracciare le previsioni di quegli gli analisti della NBA che li accreditavano al massimo di una onesta stagione ai confini della mediocrità cestistica.

Merito della leadership dei veterani Lowry, Gasol e Ibaka, della crescita (o meglio esplosione) della coppia Siakam-Van Vleet e del decisivo contributo di Anunoby, Powell e Boucher. Ma soprattutto, a mio modesto parere, della straordinaria guida tecnica di Nick Nurse, che l’anno scorso qualcuno additava come un miracolato e che oggi invece è da considerare uno degli astri nascenti nel panorama degli allenatori NBA.

Dove (e se) si fermerà la corsa dei campioni in carica lo scopriremo nelle prossime settimane, anche se dubito fortemente sarà contro i superstiti dei Brooklyn Nets. Di certo ora come ora eviterei di scommettere contro i canadesi, dimostratisi dei veri campioni proprio quando nessuno se lo aspettava.

 

La guerra dei Roses

Qualche giorno fa la NBA ha comunicato di aver previsto la consegna di nuovi premi, in abbinamento a quelli più “tradizionali” per il miglior giocatore e il miglior quintetto delle partite disputate nella bolla di orlando. Come MVP forse no, ma mi stupirei di non trovare nel lotto dei primi cinque il nome di T.J. Warren. Per chi avesse vissuto sulla Luna nelle ultime tre settimane, l’ala dei Pacers si è infatti reso protagonista di una clamorosa serie di performance realizzative oscurata solo dai recenti exploit di Lillard. Quattro escursioni oltre i trenta punti, di cui una chiusa addirittura a 53, in sette partite, con un progresso di oltre 11 punti di media rispetto alle medie pre-Covid.

Alla facciazza di Jimmy Butler, che dopo un alterco tra i due nel corso della gara del 9 Gennaio che portò all’espulsione dell’ex NC State, definì il povero TJ “spazzatura” chiosando: He’s not even in my fu**ing league. Ma Warren, che in quella funesta gara chiuse con soli 3 punti, ha dimostrato di essere un realizzatore di alto livello nel corso di tutta la stagione e, come detto, è letteralmente esploso dal suo arrivo ad Orlando. La cosa però non ha turbato particolarmente il buon Jimmy, che nella sfida di martedì scorso ha rimesso la museruola a Warren limitandolo a soli 12 punti con 5 su 14 dal campo, condendo poi il post partita con un tweet (Mood) sibillino ma non troppo.

Ecco, visto che le due squadre saranno accoppiate in un primo turno di playoff che si preannuncia decisamente scoppiettante, allacciatevi le cinture perchè avremo da un minimo di quattro ad un massimo di sette partite per assistere alle prossime puntate della telenovela.

 

Indovina chi viene a cena

La sorte a volte sa essere davvero bastarda… A poco più di dodici mesi dalla clamorosa trade con cui Chris Paul venne impacchettato e spedito senza troppi complimenti a Oklahoma City (assieme al suo ingombrantissimo contratto), CP3 torna sul luogo del delitto pronto a tentare di vendicarsi sportivamente della sua ex franchigia, che nel frattempo ha costruito una riedizione della Banda Bassotti in salsa texana guidata dalla coppia Harden-Westbrook.

Houston è alla terza semi-rivoluzione tecnica sviluppata da Morey e D’Antoni attorno alla controversa figura di James Harden, giocatore tanto capace di dominare sul parquet ammassando statistiche roboanti quanto di attirarsi le ire di chi lo accusa (internet è un mondo libero) di aver rovinato il gioco del basket. Di sicuro Westbrook e Harden sembrano andare molto più d’amore e d’accordo rispetto a quanto il Barba non facesse con CP3, soggettino a sua volta decisamente particolare e forse non sempre facile da sopportare. Ma leadership e carisma non mancano all’ex Clipper, che farà di tutto per far pagare alla dirigenza del Texas la decisione di liberarsi di lui.

Gli ingredienti per una sfida da seguire con particolare attenzione ci sono tutti. I Thunder sono una delle sorprese più liete della stagione, grazie anche al “nostro” Danilo Gallinari, e venderanno di certo cara la pelle, anche se Houston parte leggermente favorita in virtù di un maggiore star power e di una (opinione personale) migliore guida tecnica.

 

Così vicine e così lontane

Utah e Denver per certi versi si assomigliano molto. Entrambe sono squadre giovani, con un leader tecnico di alto livello contornato da diversi giocatori di prima fascia NBA, panchine profonde e guide tecniche di altissimo livello. Ma possono essere realisticamente considerate credibili contender al titolo NBA? Forse no, o meglio non ancora.

È difficile però capire cosa manchi a queste formazioni per poter salire quell’ultimo gradino, perchè le due franchigie negli ultimi anni si sono mossi quasi alla perfezione. Denver ha persino pescato il jolly Michael Porter Jr, scelto alla 14 al draft di due anni fa tra mille dubbi sulla tenuta della sua schiena e a Orlando autore di un’incredibile esplosione realizzativa (oltre 22 punti di media nelle gare della bolla con percentuali, seppur su un campione ridotto, ampiamente oltre la soglia del 50/40/90), mentre Utah ha saputo riprendersi dalla perdita per infortunio di Bojan Bogdanovic riuscendo persino a far sembrare Jordan Clarkson un giocatore di sistema (no dico, Jordan Clarkson!!!).

Il tabellone le metterà a confronto in un primo turno assolutamente da non perdere, perchè poche squadre giocano un basket tatticamente interessante come Jazz e Nuggets. Ma saprà la vincente farsi strada, se non fino al titolo NBA, quantomeno fino alla finale della Western Conference?

 

Alfa e Omega

Alfa e Omega sono la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco. Allo stesso modo, Boston Celtics e Philadelphia 76ers al momento sembrano due squadre agli antipodi. Da una parte Boston, dove tutti sembrano andare d’amore e d’accordo, l’allenatore (Brad Stevens) è appena stato rinnovato, Kemba Walker ha sostituito senza grossi traumi (anzi) Kyrie Irving in cabina di regia, Hayward sembra tornato (quasi) il giocatore dei giorni migliori e la coppia Tatum/Brown continua a crescere bella e rigogliosa. Certo, la situazione in mezzo all’area è quella che è e se a Theis venisse un raffreddore l’unico baluardo a difesa del canestro resterebbe Enes Kanter (sic), ma i biancoblu arrivano ai playoff carichi di entusiasmo e pronti ad approfittare di eventuali passi falsi di Toronto o Milwakee per andare fino in fondo.

Dall’altra parte, il caos. Brett Brown è sulla graticola, Ben Simmons si è infortunato e viene inserito in troppe voci di trade per non pensare che ci sia qualcosa di vero, Embiid si ferma un giorno sì e un giorno no per un problema diverso, Horford si è rivelato un pessimo fit tecnico e Tobias Harris (peraltro giocatore perennemente sottovalutato) è parso l’unico in grado di garantire un minimo di continuità nelle gare di Orlando. In più non sembra, per usare un eufemismo, che i giocatori vadano particolarmente d’accordo o che arrivino a questi playoff con il coltello tra i denti.

Messa giù così, lo scontro di primo turno tra le due franchigie sembrerebbe avere una favorita d’obbligo, ma attenzione perchè Phila ha comunque qualità da vendere e senza Simmons è possibile che, fisico permettendo, Joel Emibiid decida finalmente di smettere di gigioneggiare per cominciare a dominare sui due lati del campo (come potrebbe senz’altro fare contro la risicata frontline dei Celtics). Attenzione: le due squadre non si amano granchè e sono attesi scontri più o meno amichevoli…

 

A Whole New Game

Inutile girarci intorno: che questa sia una stagione che verrà segnata con il famoso asterisco tanto caro a Phil Jackson (che utilizzò questa espressione con riferimento al titolo post-lockout del 1999 conquistato dai San Antonio Spurs), è abbastanza palese. In questo caso, non è tanto il numero ridotto di partite a determinarne l’unicità quanto tutte le altre eccezionali circostanze che hanno caratterizzato questa irripetibile stagione. Pensare che si possa far finta di niente e considerare questo titolo uguale agli altri è utopico, ma ciò non significa che i playoff che stanno per cominciare debbano considerarsi un torneo tra scapoli e ammogliati.

Le partite nella bolla di Orlando, escludendo le ultime in cui molte squadre erano già sicure del posto e hanno fatto giocare le riserve, sono state molto interessanti. L’intensità è stata alta e si sono visti grandi attacchi, un po’ meno attente le difese ma è presumibile che con l’avvio dei play-off anche questo possa cambiare. Io stesso, dopo aver digerito l’impatto iniziale con il nuovo layout, devo dire che ho cominciato presto a divertirmi e (in parte) a dimenticare le particolari condizioni ambientali in cui si svolgono le partite. Tolto il, magari personale, fastidio per il pubblico virtuale, l’NBA come sempre ha fatto un lavoro eccezionale nel costruire un contorno che portasse l’attenzione dello spettatore esattamente dove deve essere: sul campo. I giocatori hanno fatto il resto e sono sicuro che tutti affronteranno questi play-off con lo stesso spirito delle altre stagioni, garantendoci uno spettacolo di altissimo livello.

La NBA ha creato un nuovo slogan, a whole new game, ma sul parquet il gioco a cui assisteremo sarà sempre lo stesso: il nostro caro, amato basket, interpretato dai più grandi attori che il panorama sportivo posso offrire. Quindi… Buon divertimento.

 

 

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