Gli Stati Uniti d’America sono un paese particolare, anche strano per certi versi. Un italiano ha scoperto quelle terre emerse nel lontano 1492 ed un altro ha dato loro il nome. Il primo era un genovese, il secondo un fiorentino. I nomi li sapete.

Piccolo orgoglio italiano sottovalutato e anzi con squallida ipocrisia falsamente ed ingiustamente dimenticato come il principio fondativo che segue.

L’America istituisce la propria nazione su un viaggio di fondamentalisti ed integralisti (due concetti diversi ma spesso congiunti) inglesi che scappavano dalla persecuzioni nella madrepatria nella speranza di fondare un ordine nuovo. Un ordine basato sulla fede assoluta in Dio. Noi lo ricordiamo come puritanesimo, ovvero come un sistema di valori rigido e ostile ad ogni forma di compromesso.

Per noi oggi alle soglie degli anni ’20 del Duemila il termine “puritano” è quasi una parolaccia ma ci dimentichiamo troppo spesso che il racconto patriottico degli americani parte da quel viaggio della Mayflower, nel lontano ma non troppo 1620.

Quel viaggio portava con sé la granitica convinzione che fondamento di ogni aspetto della vita dell’uomo fosse la parola di Dio, senza nessuna mediazione di strutture umane (vedi la Chiesa di Roma etichettata come malefica) e che tali aspetti della vita umana, nessuno escluso, dovessero conformarsi a ciò che il Signore insegna.

Al fondamento della parola che tutto muove, sintesi estrema. La politica, la famiglia, lo svago, l’economia, tutto deve risalire alla fonte senza nessun tipo di aggiunta né di limitazione.

Bene, abbiamo capito quindi da dove ha origine l’idea di America, prima ancora che potesse esistere uno stato americano. Non dobbiamo quindi stupirci se negli americani di oggi sopravvive, almeno nelle forme, quel tratto puritano delle origini.

L’America come l’abbiamo sempre conosciuta e amata è il paese delle libertà per ognuno ma è anche il paese più conformista e ipocrita che esista al mondo.

Sono libertini e licenziosi più di tutti ma la forma va rispettata, appena ne esci fuori di una virgola ti mettono alla gogna. O meglio, tutto si può fare e tutto si fa ma non se ne deve dare pubblico risalto.

L’Italia della tradizionale morale cattolica impallidisce in confronto alla logica, appunto puritana, che regola la vita sociale americana.

Succede in qualsiasi campo, mi viene in mente Harvey Weinstein. E’ stato un maiale per anni con attrici e attricette alle quali andava bene tutto pur di far carriera, poi un bel giorno il tappo è saltato e allora lui è un mostro disgustoso che non lavorerà mai più e le allegre pollastrelle delle povere vittime con l’aureola in testa da difendere e da rincuorare.

Ne è nato uno “scandalo”, ecco, questa è la parola magica. Lo scandalo è realmente enorme in questo paese dove le diversità etniche si tengono insieme solo con un patriottismo un po’ forzato che nella forma di una facciata del vivere seconda la buona regola morale si esprime al meglio come collante.

In questo siamo diversi da loro. Da noi lo scandalo può essere anche più rilevante ma tendiamo in parte a dimenticare o a perdonare, del resto sapevamo benissimo che un nostro capo di governo facesse festini allegri con donnine succinte e anzi, da noi può esserne addirittura vanto.

In America invece si punisce chi si macchia di uno scandalo e anche severamente, questa è la grande differenza. La forma va salvata come esempio di rilievo sociale, non si sfugge, anche al livello più alto, vedi il Presidente Clinton colto in fallo salvato solo in extremis dall’impeachment.

Lo sport, e la NBA qui in particolare ovviamente non sfugge a questo discorso. Nella sua storia ne abbiamo viste di tutti i colori e questi sono gli scandali più grandi, rimandando ad un secondo momento i fatti di carattere sessuale, quelli che sono oggetto forse più di tutti di una rivalsa d’etica ferita più vigorosa.

SPREWELL STRANGOLA CARLESIMO

Latrell Sprewell è ricordato per i suoi anni ai Knicks, con i quali raggiunse delle insperate NBA Finals nel 1999 ma ancor di più per un incidente ai Warriors due anni prima. Durante un allenamento arrivò a strangolare coach Carlesimo e per poco non lo uccise sul colpo.

Non è uno scherzo, non è Homer che strangola suo figlio Bart in ogni episodio dei Simpson, il fatto fu grave e fu sospeso per il resto della stagione fino a 68 gare. Ebbe modo di rifarsi a New York come giocatore, era una guardia atletica e aggressiva con tanti punti nelle mani ma la sua reputazione risultò macchiata per sempre.

GILBERT ARENAS GIRA ARMATO

E’ uno dei nervi scoperti dell’etica in frantumi della nazione americana. Di tanto in tanto apprendiamo di una sparatoria di massa qua e là negli States, spesso nelle scuole e nei college e sempre ciclicamente riparte il solito dibattito mediatico.

Limitare l’uso delle armi ? Come ? E’ un principio sacrosanto sancito dalla Costituzione si ribatte, nemmeno un Presidente che si supponeva più riformista di altri, l’afro-americano Obama, è riuscito a cambiare la legislazione in maniera significativa.

Arenas è una delle shooting guards – oops, “shooting” è un’involontaria ironia – migliori della lega quando viene fermato con una pistola negli spogliatoi dei Wizards.

Una volta, intorno agli anni ’70, era comune veder girare i giocatori NBA armati ma ad Arenas non viene perdonato nulla, complice il compagno di squadra Crittenton col quale simula addirittura un Mexican Standoff nel pieno di un’arena NBA.

Non il rivale che vorresti avere di fronte arma in pugno a dirla tutta. Crittenton anni dopò sarà condannato a 23 anni di carcere perché la pistola l’userà realmente e per uccidere purtroppo una ragazza.

Da allora la carriera di Arenas va giù, oggi addirittura è quasi dimenticato, nonostante anni a cifre altissime, il picco a 29,3 punti di media nel 2006.

TIM HARDAWAY NON AMA I GAY

E’ stato uno dei più grandi nel suo ruolo e di certo tra i più spettacolari ma nel 2007 Tim Hardaway si lascia andare al più bieco rancore contro gli omosessuali. “Odio gli omosessuali, non mi piace che mi siano vicino”, ammette candido in uno show radiofonico.

Sport e omosessualità formano un connubio delicato, sicuramente mai emerso dal silenzio omertoso generalizzato. Nel 2013 Jason Collins uscì allo scoperto dichiarandosi apertamente gay, era ancora un giocatore ed i tempi erano in parte maturi per farlo.

Negli spogliatoi NBA si aggira qualcuno che guarda i compagni nudi maliziosamente sotto la doccia ? Forse non è più un problema, di sicuro è vergognoso parlarne male ma è ancor più sicuro che di gay ce ne siano di più di quanti non espressamente dichiarati. Chi sarà il prossimo a fare coming out ?

“THE PUNCH”

Il 9 Dicembre 1977 un’arena NBA diventa quasi il teatro di un omicidio, nel bel mezzo di una partita. Scoppia una rissa tra giocatori, per l’epoca circostanza non rara, volano i pugni.

Kermit Washington è 2,03 per 104 kg, sferra tutta la sua potenza devastante contro Rudy Tomjanovich e per poco non lo uccide sul colpo.

La povera vittima giace a terra, non reagisce, subirà fratture multiple anche al cranio, con perdita di sangue e di liquido cerebrale. I medici parleranno di un miracolo non per essere tornato a giocare ma per continuare a vivere.

Non si prenderà più completamente come giocatore ma parecchi anni dopo guiderà dalla panchina i Rockets al back to back con Hakeem “The Dream” come superstar.

“Never underestimate the heart of a champion” dirà dopo il titolo del 1995, vinto a sorpresa da testa di serie numero 6 contro ogni pronostico di ritorno trionfale sul tetto del mondo.

LIBERTA’ D’ESPRESSIONE CONTRO INTERESSI ECONOMICI IN CINA

E’ l’ultimo scandalo NBA. Daryl Morey, GM dei Rockets, posta un tweet a favore dei dimostranti di Hong Kong ponendosi quindi di fatto contro la posizione ufficiale del governo della Repubblica Popolare Cinese.

Il mio eroe dei tempi moderni, il professor Alessandro Barbero, dice spesso che “se abbiamo imparato una lezione dalla storia è quella di non invadere la Russia”, noi potremmo dire che se c’è qualcosa da non invadere al giorno d’oggi è lo spazio morale e soprattutto economico della Cina.

Lo spazio morale cosa ci dice ? E’ giusto esprimere le proprie opinioni ? Ovvio, anzi è sacrosanto per un paese che si reputa libero come gli USA, come giustamente ribadito da Adam Silver.

Il problema è che il governo cinese è estremamente rigido dinanzi alla critica se non espressamente al dissenso, quindi cosa fare ? La Cina è il mercato più grande per il mondo NBA, anche di più di quello americano e la nostra amata NBA, non ce lo dimentichiamo mai, è un’enorme associazione di privati che mira a vendere un prodotto per il proprio profitto.

Le opinioni quindi sono sacrosante ma non quando intaccano gli interessi economici ? Quando in Cina hanno iniziato a cancellare i contratti degli sponsor e le gare trasmesse in TV più di qualche anima pia ha sudato freddo.

Per colpa di un tweet e per di più d’un sol uomo che si dubita sia realmente interessato ai diritti dei ragazzi di Hong Kong siamo disposti a perdere milioni e milioni di dollari ?

No, la risposta è stata ovviamente semplice. Le scuse ufficiali della NBA sono seguite immediatamente, anche LeBron ha gettato acqua sul fuoco e ciò lo ha reso un meme con le sembianze e i panni di Mao.

No dunque, la Cina oggi è troppo importante, questa è stata la sentenza. Tutti sperano che i soldi ritornino a girare come prima, per i diritti umani c’è tempo ed un GM NBA può solo evitare di mettere in crisi certi enormi interessi nelle forme moderne, vedi l’utilizzo che ne fa Trump, di un tweet che è scritto forse distrattamente ma che è oggi l’arma più potente che esista.

LA BUSTA CONGELATA DI EWING

Il Draft non è una scienza esatta. Nell’anno di grazia 1985 però si è forse andati oltre. David Stern annuncia al mondo la prima scelta dei Knicks, il centro da Georgetown Patrick Ewing.

Si è detto che estrasse una busta che fu precedentemente messa in frigo e quindi raffreddata per essere facilmente riconosciuta al tatto. Nulla emerse di certo ma a tutt’oggi è un sospetto enorme.

Il motivo era semplice, dare alla città più importante d’America il giocatore migliore del draft (non si poteva sospettare allora ma c’era anche Karl Malone) per risollevare il mercato numero uno della nazione, non casualmente anche la città natale del Commisioner.

Tutto ormai è in archivio. Ewing ha fatto rinascere i Knicks ma il titolo non è mai arrivato, due Finals sono state perse (1994 e 1999) e la città aspetta ancora il ritorno alla felicità dall’ormai lontano 1973.

JASON KIDD HA UNA SCHIAVA COME MOGLIE

Jason Kidd passa alla storia come una delle più grandi point guard di sempre. Nel 2001 si trasferisce ai Nets dai Suns sull’onda lunga di retroscena molto pesanti sulla sua vita domestica.

Si scopre che tradisce ripetutamente la sua bella Joumana, come probabilmente la maggior parte dei giocatori NBA ma che al contrario degli altri “semplici” fedifraghi le reca violenza in maniera brutale e costante.

Nella causa per il divorzio emergono sevizie psicologiche e fisiche, come lancio di oggetti, pugni e calci che le causano danni ad una costola e addirittura perdita dell’udito per essere stata sbattuta violentamene su una macchina.

Kidd trattava la moglie come schiava, stando alle carte, la tradiva regolarmente e pretendeva da lei solo silenzio e ubbidienza. Una volta le diede un calcio allo stomaco che le causò fuoriuscita di sangue dall’urina e apparentemente le rispose glaciale “Te lo meriti, non mi interessa”.

MAGIC E’ SIEROPOSITIVO

Più che uno scandalo fu uno shock. L’annuncio del 7 Novembre 1991 soverchiò però un mondo di vita lussuriosa che disgustò molti.

Magic era uno dei più grandi giocatori della storia NBA, scalzato da poco dal trono condiviso con Larry Bird da Micheal Jordan, appena laureatosi per la prima volta campione proprio contro i Lakers.

L’impatto fu enorme, data la grandezza della sua stella e il tema era assolutamente dominante in quei tempi, ancor di più con lui al centro di un dibattito a tratti sprezzante.

All’epoca si riteneva a priori che il virus colpisse solo i gay e che quindi anche Magic fosse di tale sponda sessuale, fu allora quindi che per mascolino orgoglio raccontò a tutti i suoi eccessi. Con le donne.

Fu merito suo più di chiunque altro apprendere definitivamente che l’AIDS poteva contagiare anche gli eterosessuali, il suo contributo fu decisivo nell’abbattimento di stereotipi e di paure indiscriminate.

Fece opera di divulgazione per una malattia ancora annebbiata dalla cattiveria e dall’ignoranza generalizzata.

Karl Malone espresse dubbi, in realtà legittimi, sull’opportunità di giocare con lui perché un’eventuale ferita avrebbe comportato un serio rischio di contaminazione ma Magic spazzò via ogni timore col suo sorriso, quello stesso che lo impose come migliore con Bird dell’epoca d’oro degli anni ’80.

Tornò all’All Star Game del 1992 facendo poi parte del Dream Team di Barcellona e nonostante la sua carriera fosse di fatto terminata con quell’annuncio la sua legacy perdurò e in maniera più decisiva oltre il campo.

LA COCAINA UCCIDE LEN BIAS

Len Bias fu scelto come seconda scelta assoluta dai Boston Celtics al Draft 1986. Due giorni dopo fu ritrovato morto in una stanza del dormitorio per studenti della sua università, Maryland.

Era la nuova grande stella in uscita dal college, qualcosa in più di un giovane buon prospetto ma non sapremo mai quale sarebbe stato il suo potenziale nella NBA e il suo impatto immediato nella squadra di Larry Bird.

Si capì subito che morì per overdose di cocaina. Le polemiche furono feroci. L’abuso di droga ha dilaniato intere generazioni di ragazzi americani almeno fin dagli anni ’60, con picchi vertiginosi, anche nella NBA, negli anni ’70 e ancora per tutti gli anni ’80 fino a metà ’90.

In tante realtà urbane d’America il consumo di droga è ancora oggi un enorme problema e se è vero che per colpa di cocaina, crack e quant’altro se ne sono andate tante vite anonime quando muore un ragazzo di talento destinato a fare grandi cose il peccato è ancor più tristemente sentito.

JAYSON WILLIAMS GIOCA CON LA PISTOLA

Stiamo parlando di Jayson, non di Jason, il “White Chocolate” che ci fece emozionare col suo handling e i suoi assist in maglia Sacramento Kings.

Jayson fu un buon giocatore, nulla di più, nel 1998 andò all’All Star Game giocando per i Nets, era un ottimo rimbalzista di cui molti si dimenticarono fino al 14 Febbraio del 2002.

Quel giorno, già ritiratosi dalla NBA, stava dando un tour della sua casa in Pennsylvania quando giocherellando con una pistola fece accidentalmente partire un colpo che uccise un autista.

Fu condannato a 5 anni, quindi molto poco per un omicidio seppur non intenzionale perché da subito si dichiarò colpevole.

Non fu un caso eclatante come quello del tight end dei Patriots Aaron Hernandez che invece uccise volontariamente un uomo e fu sospettato di altri due omicidi. Ebbe l’ergastolo e si suicidò in carcere, fu molto triste perché fu grande in campo, formò una coppia inarrestabile di tight end con Rob Gronkowski e finì nella maniera più drammatica possibile, impiccatosi con le lenzuola in una cella.

Williams se la cavò ma la sua vicenda fu esemplare non solo, come purtroppo molto comune in America, per la diffusione delle armi ma anche per la leggerezza con la quale vengono esposte in pubblico.

Un uomo è morto per un gioco, di più, è morto perché passa per normalità non solo possedere ma anche vanitosamente vantarsi delle armi tra le proprie mani.

IL MISTERO DIETRO AL PRIMO RITIRO DI MJ

Il più grande della storia del gioco si ritira all’improvviso, nel pieno dei suoi anni migliori dopo tre titoli vinti di fila, a soli 30 anni d’età.

Era il 6 Ottobre del 1993 e Michael Jordan annunciava la sua intenzione di lasciare, citando di non provare più lo stesso piacere nel giocare.

In estate suo padre a cui era molto legato fu orribilmente assassinato in North Carolina e molti ricollegarono la sua scioccante decisione allo stress subito da questa perdita.

C’era dell’altro, anche se tuttora avvolto nel mistero. Poche ore prima di una gara di playoff contro i Knicks fu beccato in un casinò di Atlantic City, si scoprì che aveva il vizio delle scommesse e che frequentava il sottobosco criminale del gioco d’azzardo, avendo anche accumulato come inevitabile grossi debiti.

E’ stato il più grande scandalo che non sia mai esistito. David Stern ha compiuto il suo capolavoro nel mantenere tutto in segreto e probabilmente, le voci non sono mai state confermate ma il sospetto è alto, ha indotto MJ al ritiro per preservare il nome suo e di tutta la lega.

Si diede al baseball con risultati non all’altezza della sua grandezza e tornò, Deo gratias, con lo storico “I’m back” del 18 Marzo 1995. Seguirono, non subito, altri tre titoli di fila, un altro ritiro e un altro rientro.

Nonostante tutto, e forse anche grazie alle manovre di Stern che seppe tenere tutto sotto coperta, Michael rimane immacolato come il più grande che abbia messo piede su un campo di basket.

DENNIS RODMAN AMBASCIATORE USA IN COREA DEL NORD

Tutta la sua vita è stata più o meno uno scandalo. E’ stato il primo personaggio “strano” del mondo NBA ad imporsi al grande pubblico, il più folle di tutti ancora fino ad oggi.

Nel 1993 arrivò quasi a suicidarsi nel parcheggio del Palace a Detroit, da lì divenne definitivamente il “bad boy” per eccellenza, varcando le soglie del basket, legandosi a Madonna e a Carmen Electra tra le 2000 che afferma di aver sentenziato a letto.

E dire che sul campo fu semplicemente la più grande ala forte a rimbalzo della storia, forse davvero il più grande di sempre in questo fondamentale ed un maestro difensivo nel complesso.

Dal 1992 al 1998 per 7 anni consecutivi è stato il primo rimbalzista NBA, con una punta di 18,7 di media a partita nel 1992, ha vinto 5 titoli come colonna difensiva prima dei Bad Boys Pistons e poi dei Bulls del secondo three-peat.

Peccato, perché basterebbe solo questo per consegnarlo alla storia. I capelli colorati, lo sposalizio con sé stesso e le dichiarazioni di essersi rotto per tre volte il pene durante un rapporto sessuale anticipano però il suo capolavoro mediatico.

Diventa uno dei pochissimi americani ad essere ammesso regolarmente alla corte di Kim Jong-un in Corea del Nord, complice l’amore del dittatore per il basket NBA.

Ad un certo punto l’amicizia si fa così intensa che i media parlano di Rodman come il di fatto ambasciatore americano in quel paese lontano e cattivo e tale immagine diventa quasi un ruolo ufficiale con l’ascesa al potere di Trump, suo improbabile amico.

Rodman dona al dittatore copia del libro “The art of the deal”, testo che il Presidente yankee considera parola sacra tipo il Libretto Rosso di Mao, e c’è un momento, in particolare con l’arresto dell’americano Otto Warmbier, in cui sembra che davvero giochi un ruolo decisivo nella diplomazia tra i due paesi.

Il ragazzotto accusato di aver rubato un poster con l’effige del Caro Leader viene scarcerato proprio quando “The Worm” rimette piede in Corea del Nord, peccato che fosse però già malato in stato avanzato. Morirà poco dopo il ritorno a casa a Cincinnati, a 22 anni.

Rodman ambasciatore è stato una macchietta, anche se alcuni ci hanno creduto davvero. Se per anni l’unico link tra l’America e Kim Jong-un è stato lui non facciamo che rimpiangere personaggi cinicamente spietati ma culturalmente preparati come Kissinger, quelli della diplomazia seria d’una volta.

TIM DONAGHY FISCHIA PER LE PROPRIE TASCHE

Lo scandalo peggiore dal punto di visto del tifoso è quando si ci accorge che il gioco è truccato, in qualche modo. E’ lì che viene meno la fiducia e ci si trasforma da fan in truffati, anzi, ci si sente presi in giro. Può capitare in tanti modi ma sostanzialmente o è “truccato” il giocatore o lo è l’arbitro.

Il primo caso, ovvero quando il giocatore si dopa al fine del miglioramento della prestazioni, ha quasi devastato il mondo MLB, coinvolgendo nomi leggendari come Barry Bonds e Alex Rodriguez ma non ha mai preso in pieno l’NBA, limitandosi a nomi di secondo piano (Rashard Lewis, Darius Miles, OJ Mayo e Hedo Turkoglu al massimo, senza contare l’erba fumata da JR Smith o Tyreke Evans).

Quando però è l’arbitro ad essere in malafede è peggio, vedi da noi Moggi e le macchinazioni della Juventus che hanno macchiato l’onore della Serie A.

Tim Donaghy è stato condannato a 15 mesi di carcere per aver aggiustato a proprio piacimento decisioni arbitrali per convogliare il risultato finale su scommesse milionarie.

Le finali ad Ovest tra Kings e Lakers del 2002, in particolare gara 6 e le Finals del 2006 tra Mavs e Heat sono gli episodi più eclatanti emersi dall’inchiesta che lo hanno visto coinvolto in maniera più o meno diretta.

In poche parole qualcuno ha voluto che vincessero i Lakers e gli Heat. Oggi nel rivedere gli highlights si resta allibiti, non meno dello scudetto del Napoli del 1988 venduto alla camorra. Non a caso pare ci fosse anche la mano del clan Gambino, una delle cinque famiglie storiche della mafia di New York.

E’ stato un brutto colpo per Stern, per fortuna si è andati avanti e anche questa volta il Commisioner ci ha messo una pezza, proprio nel momento in cui tutto sembrava stesse crollando.

MALICE AT THE PALACE

La violenza in un’arena NBA, per di più in diretta ESPN. Siamo al Palace, casa dei Pistons, è il 19 Novembre 2004 e i Pacers stanno vincendo di 15 a meno di 50 secondi dal termine quando Ron Artest commette un fallo sotto canestro su Ben Wallace.

Il fallo è duro ma è sostanzialmente dentro lo spirito del gioco, il centro di Detroit però reagisce male e spintona violentemente Artest a due mani all’altezza del collo. Quello che succede dopo non appartiene più allo sport ma rientra nella categoria dei reati penali.

Artest, un ragazzo di strada cresciuto nei projects di Queensbridge a NY come il rapper Nas, viene a stento trattenuto da molti dei suoi ma quando un fan getta su di lui un bicchiere di Coca Cola sale sugli spalti e prende a pugni chiunque gli si trovi davanti, tra l’altro tutti tranne il vero colpevole.

A quel punto la rissa scoppiata in campo si trasferisce nel mezzo del pubblico di Detroit, la città di Eminem dipinta in “8 Mile” per intenderci, non proprio la più buona d’America.

E’ il più grave episodio di violenza della storia, probabilmente di tutti gli sport. I tifosi non smetteranno di gettare qualsiasi cosa addosso ai giocatori dei Pacers, una scena rara per gli sport americani, qualcosa che vedremmo più spesso nel calcio europeo o sudamericano.

Wallace ha certamente sbagliato a spingere Artest ma fosse finita lì non ne parleremmo ancora oggi. Il solco è stato superato quando quest’ultimo ha fatto un salto per andare negli spalti a prendere a pugni i tifosi, lì ogni limite è stato superato.

Mai si dovrebbe infatti varcare quella soglia, in un’arena NBA invero sottile e ravvicinata, che divide il pubblico dai giocatori, né in un verso né nell’altro.

Successe una volta in Premier League, Eric Cantona varcò un’altra barriera invisibile e ravvicinata, quella che divide i tifosi dal campo negli stadi inglesi e calciò brutalmente uno spettatore.

Artest ebbe 86 gare di sospensione, 30 furono imposte a Stephen Jackson e solo 6 a Ben Wallace, che ha iniziato tutto ma non ha mai per l’appunto varcato quella soglia. Per molti tifosi dei Pistons ci furono azioni legali molto pesanti.

Un tiro decisivo in gara 7 delle Finals 2010 per i Lakers contro i Celtics riabiliterà pienamente il giocatore ma l’uomo Artest non verrà mai pienamente assolto.

DONALD STERLING E’ UN RAZZISTA MISOGINO

Ci sono dei record difficili da battere nello sport, non so se presto qualcuno scenderà sotto i 9”58 sui 100 e i 19”19 sui 200 come Usain Bolt o se un altro aggiungerà una medaglia in una singola Olimpiade agli 8 ori a Pechino 2008 di Michael Phelps, tanto per dirne due.

Donald Sterling è stato il peggior proprietario non solo della storia NBA ma di tutti gli sport americani e anche oltre. E’ un record difficile che possa essere presto superato.

Durante la sua tenuta i Clippers hanno vinto meno partite di tutte le squadre pro e per quello che è peggio sono diventati la barzelletta vivente del mondo sportivo.

Sterling è un ebreo che ha fatto fortuna nel campo immobiliare, una sorta di parallelo West Coast a Donald Trump che a New York costruiva per il gusto narcisistico di vedere il suo nome splendere luccicante dall’alto dei suoi grattacieli.

Curiosamente è anche alla base della nascita dei grandi Lakers dello Showtime. Nel 1979 Jerry Buss poté acquistare i gialloviola grazie ai suoi soldi, perchè Sterling gli comprò appartamenti per un totale di 2 milioni e settecento mila dollari. Non fosse mai successo.

Buss gli racconta che essere proprietario di una squadra NBA è uno sballo, e ci credo, Magic porta i titoli e il divertimento al Forum, così anche il nostro palazzinaro se ne prende una, i San Diego Clippers.

Il problema è che sposta subito la franchigia a Los Angeles, ovvero nel quartier generale dei suoi interessi, infrangendo ogni virgola del regolamento NBA e soprattutto la sua stessa parola data alla città.

Nel 2014 scoppia la bomba. Emerge un audio di una conversazione tra lui e la sua amante, la messicana Stiviano. Le parole dell’owner sono del razzismo più puro e bieco.

Dice alla sua mantenuta : “Mi dà molto fastidio che vuoi trasmettere l’immagine di essere associata ai neri. Ci puoi andare a letto, ci puoi fare quello che vuoi ma ti chiedo solo di non portarli alle mie partite”, il tutto come commento alla foto che lei ha postato su Instagram con a fianco Magic Johnson.

La polemica è furiosa e porterà velocemente prima alla sospensione da ogni carica e in ultimo all’azione legale della NBA che di fatto lo costringe a fargli svendere la franchigia.

E’ la goccia che fa traboccare il vaso perchè Sterling non era nuovo a vessazioni psicologiche contro gli afro-americani, prima di tutto contro i suoi giocatori.

Ne emerge un uomo senza mezzi termini razzista e questo nella NBA a maggioranza di giocatori neri e nella società di inizio Terzo Millennio è semplicemente inaccettabile.

Sterling è anche un maschilista che usa le donne solo per il proprio piacere. In un processo in cui è coinvolto con un’altra amante ne esce un ritratto di un uomo ossessionato dal sesso.

La sua amante è “una donna col quale fare solo sesso per soldi, ovunque, in corridoio, in macchina, in ascensore, voglio solo che me lo succhi sempre, è buona solo per questo”.

Il peggior proprietario della storia è uscito di scena ma ha rinfocolato una questione ancora non risolta. La NBA è ancora una lega di proprietari bianchi e di giocatori neri in maggior parte che seppur ricchi da ambo le parti non hanno ancora messo la parola fine al razzismo.

La NBA ha conosciuto dunque lo spettro completo di ogni tipo di scandalo sui temi più caldi della società americana. C’è tutto, la droga, le armi, la violenza, il sesso, l’omofobia, il razzismo, il gioco d’azzardo, le scommesse, la truffa sportiva, persino il rapporto degli USA con qualche paese straniero.

Se allarghiamo l’ottica agli sport americani troveremmo le proteste dei giocatori NFL in ginocchio sull’inno contro Trump, di cui ne ha fatto le spese Colin Kaepernick, le scommesse di Pete Rose e lo scandalo antico dei Black Sox del 1919 sempre in tal senso.

Mi colpì molto il caso di Michael Vick. Fu mio eroe adolescenziale con i Falcons ma si è fatto 21 mesi di carcere per combattimento clandestino tra cani, una cosa molto stupida e molto triste.

Lance Armstrong si è dopato per tutta la carriera e ha vinto 7 Tour de France col trucco, poi giustamente revocati. Lo scandalo più grande resta però quello di OJ Simpson, in fuga dalle sue colpe sulle highway di Los Angeles.

Lo sport è uno degli specchi d’un paese. A giudicare dunque da certi comportamenti l’America che andrà a votare l’anno prossimo per confermare Trump o per cambiare bandiera non sempre ha dato di sé l’immagine migliore.

One thought on “I più grandi scandali della storia NBA

  1. Splendido articolo: oltre metà di questi scandali proprio non li conoscevo! Per me, però, il più grande scandalo in assoluto è stato l’arbitraggio in gara 6 delle finals 1998 tra Jazz e Bulls!!!

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