La Central Division si preannuncia come il regno incontrastato di Giannis Antetokounmpo e dei suoi Bucks, ma alle spalle della franchigia di Milwaukee e della sua caccia al titolo NBA, ci sono tanti motivi di curiosità, tra squadre in crescita, realtà affermate e progetti di ricostruzione.

Chicago Bulls di Markkanen, Porter e LaVine stanno varando un nuovo ciclo, con tanti giocatori giovani ed elettrizzanti, i Cleveland Cavs sono una squadra che sta ricostruendo all’insegna dell’inedito duo Claxton-Garland, e se Detroit sembra l’ovvia candidata ad una stagione insipida, gli Indiana Pacers saranno una delle squadre più divertenti da veder giocare, in attesa del ritorno di Oladipo. Insomma, cinque franchigie che per motivi diversi vivranno ciascuna 82 partite colme di motivi d’interesse.

MILWAUKEE BUCKS

Quintetto: Eric Bledsoe (G), Wes Matthews (G), Khris Middleton (FG), Giannis Antetokounmpo (F), Brook Lopez (C)

Panchina: George Hill (G); Donte Di Vincenzo (G), Ersan Ilyasova (F), Robin Lopez (C), Sterling Brown (G), Kyle Korver (FG), Thanasis Antetokounmpo (F)

Allenatore: Mike Budenholzer (assistenti: Chad Forcier, Josh Longstaff, Darvin Ham, Vin Baker, Charles Lee, Ben Sullivan, Patrick St. Andrews)

 

Punti di forza: Le 60 vittorie della passata Regular Season hanno lasciato un sapore dolceamaro, che mescola la soddisfazione per un’annata da incorniciare (e non così frequente in Wisconsin) con la cocente delusione di una cocente sconfitta contro i Toronto Raptors maturata quando ormai il pubblico del Fiserv Forum (in vantaggio 2-0 nella serie) pregustava l’opportunità di sfidare i bi-campioni uscenti di Golden State.

Una volta svuotati gli armadietti dopo le exit interviews di rito, coach Mike Budenholzer e il GM Jon Horst hanno lavorato sottotraccia, completando alcune operazioni dolorose (privarsi di Malcolm Brogdon per rifirmare Brook Lopez e Khris Middleton) puntellando il roster con i classici veterani portatori di quell’esperienza ad alto livello che è sembrata effettivamente mancare ai Bucks del 2018-19.

La formula rimarrà la stessa, con Giannis Antetokounmpo a creare tiri ad alta percentuale per sé, e triple piedi per terra per i compagni, ai quali si aggiungono Kyle Korver, Wes Matthews e Dragan Bender, tutti nomi che non fanno girare la testa ma che sono funzionali ad un sistema “sabermetrico”, pensato per generare conclusioni ad alta percentuale al ferro (o tiri liberi) abbinati a tanto tiro da tre. Robin Lopez invece è un’aggiunta intelligente per affrontare sotto canestro la combo Embiid-Horford.

Un altro elemento cruciale per il successo della stagione sarà la crescita di Khris Middleton, reduce da una stagione da 20 punti, 5 rimbalzi e 4 assist di media, ma che può e deve fare meglio con gli spazi aperti da Giannis, anche perché senza Brogdon avrà più spazio per comandare il pallone.

Se l’aggiunta di Thanasis Antetokounmpo è tutta da decifrare, sarà vitale la permanenza a Milwaukee di George Hill, che dovrà dare respiro a Eric Bledsoe. A quanto è dato sapere, Giannis dovrebbe aver lavorato molto sul tiro da tre e, stando a coach Bud, sulla leadership; a 24 anni d’età, il greco ha ancora margini di crescita soprattutto in termini di lettura del gioco, e di gestione dei momenti delle partite, elementi che, uniti a qualcosa di meglio dell’attuale 25% nel tiro pesante, farebbero di lui il padrone incontrastato della NBA.

In un solo anno al timone della franchigia, Mike Budenholzer ha rivoltato i Bucks come un calzino, trasformandoli in una compagine razionalmente votata a sfruttare le regole dell’NBA moderna e la presenza condizionante di un atleta esagerato come The Greek Freak, MVP in carica e alla ricerca dell’assoluta consacrazione.

Punti di debolezza: la perdita di Malcolm Brogdon potrebbe pesare davvero molto, sia in attacco, dove la sua poliedricità dava una dimensione aggiuntiva a Milwaukee, sia in difesa. I compiti di playmaking che svolgeva egregiamente ricadranno su un Bledsoe che non ha entusiasmato ai Playoffs, ma che resta un difensore di livello e un attaccante capace di portare la palla al ferro in modo aggressivo, mentre Matthews sarebbe il candidato ideale per sostituire Brogdon nello spot di guardia tiratrice, ma che autonomia ha il suo fisico trentaquattrenne?

Un altro punto di domanda riguarda i miglioramenti nel tiro da tre di Antetokounmpo; tanto meglio se sarà pericolo sugli scarichi, ma quel che conta è che diventi pericoloso “alla Harden”. Il Barba a ben vedere tira con un ottimo (ma non fantascientifico) 36,8%, ma può minacciare la conclusione in modo estremamente credibile, usando questa dote per lucrare falli e penetrazioni da cui nascono piazzati ad alta percentuale per i suoi compagni (o conclusioni al ferro per Clint Capela).

Nulla di male se Giannis si limiterà a migliorare la meccanica del proprio catch-and-shoot, ma questa squadra ha bisogno di lui come fonte di gioco palla in mano, anziché come improbabile ricevitore degli ancor più improbabili scarichi di qualche compagno (quanti di loro sono effettivamente in grado di fare un penetra e scarica di alto livello?). Imparare a tirare triple dal palleggio però non è affatto facile, e questa fragilità rischia d’essere il Tallone d’Achille dei Bucks, specialmente ai Playoffs.

Previsione: Milwaukee è attesa al ruolo di padrona della Eastern Conference, coi Sixiers nei panni degli sfidanti; con Giannis in scadenza contrattuale e nessuna intenzione di parlarne (del resto, Horst si è già dovuto separare da 50.000 dollari per aver ribadito l’ovvio, e cioè che i Bucks, bontà loro, vorrebbero rifirmare il loro numero 34) Milwaukee deve puntare a vincere il titolo NBA, complice un campionato che si preannuncia decisamente più aperto del solito; la favorita in un’ipotetica finale resterà con ogni probabilità la vincente della Western Conference, ma quel che importa è arrivare a giocarsi il titolo, perché se la corsa dei Bucks dovesse fermarsi nuovamente alle Conference Finals, potrebbe non bastare la presenza di Thanasis per convincere Giannis a restare sulle sponde del lago Michigan.

Ci aspettiamo una RS con magari qualche vittoria in meno rispetto alla passata stagione, ma che dia la sensazione di un gruppo maturo, rodato, capace di vincere partite brutte, e con un Giannis ancora più consapevole delle sue incredibili doti cestistiche (offensive, ma anche difensive); Middleton e il preziosissimo Brook Lopez conoscono meglio il loro ruolo in questo sistema, Ilyasova farà come sempre il suo, e siamo curiosi di vedere i progressi di Sterling Brown e DJ Wilson; se tutti dovessero trovare una collocazione tattica convincente nello scacchiere di Bud (e della sua pletora di assistenti), potrebbero aprirsi le porte per uno storico titolo NBA, che manca dai tempi di Lew Alcindor e the The Big O.  Pronostico: 58-24

INDIANA PACERS

 Quintetto: Malcolm Brogdon (G), Jeremy Lamb (G), TJ Warren (F), Domantas Sabonis (F), Myles Turner (C)

Panchina: TJ McConnell (G), TJ Leaf (F), Victor Oladipo (G), Doug McDermott (F), (G), Aaron Holiday (G), Goga Bitadze (C), Alize Johnson (F), Justin Holiday (G), Brian Bowen (G)

Allenatore: Nate McMillan (Assistenti: Bill Bayno, Popeye Jones, Dan Burke)

 

Punti di forza: I Pacers sono un gruppo con un’identità, ed è un fatto non scontato in una NBA piena di franchigie dalle porte sempre più girevoli; si è rivelato un enorme vantaggio quando, perso Victor Oladipo per un infortunio che lo terrà fuori per qualche tempo ancora, la squadra non si è scomposta, continuando a macinare risultati fino a ripetere le 48 vittorie conquistate un anno prima.

Coach McMillian ha avuto certamente un ruolo importante nel compattare il gruppo e in più quest’anno Kevin Pritchard e Chad Buchanan hanno puntellato il roster con giocatori non di grido, ma indubbiamente funzionali e sottovalutati: Brogdon, Warren e Lamb sono tutti capaci di minacciare il tiro, il passaggio e la penetrazione; cambieranno la qualità e la velocità con cui si sposta il pallone in attacco e per giunta sono tutti tiratori  che manterranno “oneste” le difese (Warren e Brogdon vantano un eccellente 42% da tre, Lamb converte con un onesto 34%). Se non basta, c’è anche Justin Holiday, che come assicurazione non è affatto male.

Complice un calendario teoricamente abbordabile, i Pacers potrebbero partire subito forte e poi costruire sull’entusiasmo una stagione entusiasmante; il momento più delicato coinciderà con il rientro di Oladipo, che dovrà essere bravissimo a non turbare gli equilibri che si saranno nel frattempo formati. Indiana è un club votato alla pallacanestro di movimento, con una rotazione solida e profonda tra gli esterni (troverà posto il più giovane degli Holiday, Aaron, che inizia la sua seconda stagione NBA?) e decisamente scarna nel reparto lunghi, che, se Bitadze non si rivelerà subito pronto, può fare affidamento solo su Sabonis e Turner, e che quindi invita allo small-ball.

La concorrenza della Central Division e dell’intera Eastern Conference non è irresistibile, e i Playoffs sono l’obiettivo minimo per una franchigia che sta facendo tutto molto bene, senza rincorrere grandi nomi che difficilmente scelgono l’Indiana o “progetti” fumosi, prediligendo invece (da veri Hoosiers) giocatori di basket fatti e finiti che diventeranno l’ideale complemento offensivo di Victor Oladipo, creando spazio, mettendo tiri e, nel caso di Brogdon, levandogli un po’ di peso dalle spalle.

Punti di debolezza: se Goga Bitadze non dovesse mettere a referto una stagione da rookie di grande sostanza, Indiana è destinata a scontare l’assenza di un vero rim-protector; l’unico rimbalzista di livello è Sabonis (che però non è veloce e non può recuperare coi centimetri; di conseguenza commette davvero troppi falli) e l’idea è chiaramente quella di lavorare (in difesa e a rimbalzo) di squadra, puntando su ritmi alti e su una pallacanestro moderna, ma resta il fatto che ogni tanto (quando il tiro non entra) serve poter gestire i tabelloni e negare la penetrazione, soprattutto nei Playoffs, e di certo l’addio di Bogdanovic e Thaddeus Young non aiuterà nemmeno la difesa perimetrale ideata dal bravissimo assistente Dan Burke.

Inoltre i Pacers sono destinati a migliorare il ventunesimo piazzamento per punti segnati della scorsa stagione, ma non hanno un vero e proprio realizzatore affidabile (ovviamente fino al ritorno di Oladipo). Sabonis, Warren, Lamb e Brogdon sono tutti giocatori dotati di tecnica e intelligenti, ma nessuno di loro può mettere 20-30 punti a comando quando serve, mentre Turner è un giocatore offensivamente inaffidabile, sebbene l’ultima stagione lo abbia visto progredire in difesa (è stato settimo in tutta la Lega per WS difensive). Diventasse più concreto al ferro (anche solo per finire sul pick-and-roll) potrebbe davvero fare la differenza.

Previsione: Indiana può concretamente ambire al ruolo di terza potenza ad Est, ma ci aspettiamo che si comporti da “dark horse” e salga di livello col passare dei mesi, arrivando ai Playoffs con tanto vento in poppa e nulla da perdere, una combinazione che potrebbe riservare grattacapi anche a squadre certamente più attrezzate come 76ers e Bucks. Indiana ha un gruppo pieno di ragazzi intelligenti, ottimi giocatori disposti al lavoro di squadra, guidati da un allenatore esperto e conscio dei propri limiti quanto basta per evitare intemerate che sono costate la panchina a coach forse più geniali ma meno concreti; se non basta, c’è sempre il talento e la personalità di Kehinde Babatunde Victor Oladipo, l’hoosier adottivo più amato dai tempi di Reggie Miller. Pronostico: 53-29 

DETROIT PISTONS 

Quintetto: Reggie Jackson (G), Luke Kennard (G), Tony Snell (F), Blake Griffin (F), Andre Drummond (C)

Panchina: Derrick Rose (G), Tim Frazier (G), Langston Galloway (G), Markieff Morris (F), Khyri Thomas (F), Sekou Doumbouya (F), Thon Maker (C), Michael Beasley (F)

Allenatore: Dwane Casey (Assistenti: Tim Grgurich, Sidney Lowe, Sean Sweeney, Michah Nori, David Hopla)

Punti di forza: Coach Casey ha ridato vita ad una delle franchigie meno entusiasmanti di tutto il panorama NBA, puntando sulla posta piena Griffin-Drummond, due stelle imperfette contornate da un gruppo di buoni mestieranti (Kennard, Snell, Morris) qualche promessa (Doumbouya, forse Bruce Brown) e vecchie glorie in cerca di salute (Rose e Jackson).

Non è la ricetta per il successo, ma nessuno chiede ai Pistons di entusiasmare; quel che serve è un po’ di continuità e una tregua dagli infortuni che consenta al gruppo di essere valutato, in attesa di capire se Andre Drummond uscirà dal suo contratto nell’estate del 2020. Gli innesti appena firmati sono valide aggiunte per un club spento e demotivato; Derrick Rose è sempre una mina vagante, ma nella stagione a Minneapolis sembra aver ritrovato la serenità che gli serviva per tornare ad essere un giocatore di basket. Reggie Jackson è una buona combo-guard che sfortunatamente ha sempre avuto un’opinione di sé superiore al proprio talento, e sarà compito di Casey fargli capire quale può essere il suo ruolo a questo punto di una carriera in chiaroscuro.

Se Doumbouya è un talento tutto da scoprire, c’è la convinzione che Luke Kennard sia prossimo alla consacrazione come tiratore d’alto livello, consegnandolo ad un ruolo di (ben retribuito) specialista (anche se per fare la carriera di Redick o Korver non basta la tecnica, serve la testa). Tony Snell è un difensore naturale che Tom Gores e Arn Tellem sperano possa contagiare il resto di un gruppo non propriamente coeso, che presumiamo destinato però a fare i Playoffs, sia pure quelli “facili” della Eastern Conference. Rose porta un po’ di profondità e punti in guardia, mentre Thon Maker può dare riposo ai lunghi, mentre Beasley, se avrà il giusto atteggiamento, può comandare una second-unit capace di mettere in difficoltà le panchine avversarie.

Punti di debolezza: se quelli erano i punti di forza, potete immaginare il resto! I contratti imprigionano Detroit in un limbo di mediocrità dal quale è difficile uscire senza una proverbiale botta di fortuna che potrebbe manifestarsi solo con uno scambio miracoloso, o con la decisione di Andre Drummond e di Jackson di scegliersi una nuova destinazione, il che offre la misura della situazione: sperare che il proprio giocatore franchigia designato (che poi lo fosse veramente è un’altra storia) se ne vada, significa aver sbagliato tutto, ritrovandosi con star che non convincono fino in fondo e che non sono futuribili, e con un supporting cast che non è dei migliori.

La segreta speranza è che molti giocatori/contratti si levino di torno al più presto, provando a ripartire dal (poco) di buono che è a disposizione di Dwane Casey: per certi versi, un’altra stagione interlocutoria sarebbe il peggio possibile per una franchigia che sconta la natura poco attrattiva della città di Detroit e che quindi non avrà mai l’opportunità di risolvere i problemi che l’affliggono firmando il Kevin Durant o il LeBron James di turno (non a caso, accasati a New York e Los Angeles); insomma, la traversata del deserto è appena iniziata. Una banda di missfits come questa può talvolta trovare la quadra e trasformarsi in una squadra in missione capace di centrare i Playoffs e dar fastidio a formazioni più blasonate, ma è altrettanto possibile che i vari Beasley, Jackson e Drummond comincino ad andare ciascuno per conto proprio, facendo deragliare la stagione dei Pistoni. Di certo uno spogliatoio con così tante personalità particolari (mettiamola così) rischia di essere una polveriera.

Previsione: con le premesse poste poco sopra, sarebbe folle immaginare uno scenario nel quale tutte le tessere del mosaico trovassero magicamente il proprio posto; è lecito immaginarsi una stagione difficile, nella quale, speriamo, i nodi verranno al pettine e diventerà più chiaro chi può restare alla corte di Casey e chi invece deve fare le valigie; viceversa, i Detroit Pistons prolungheranno l’agonia di un gruppo che non funziona e che non si può aggiustare, ma che ha troppo talento per fare un disastro tale da costringere tutti, dalla proprietà in giù, a confrontarsi con la realtà. Pronostico: 40-42

CHICAGO BULLS

Quintetto: Tomas Satoransky (G), Zach LaVine (G), Otto Porter (F), Lauri Markkanen (F), Wendell Carter Jr. (C)

 Panchina: Thaddeus Young (F), Denzel Valentine (F), Daniel Gafford (C); Chandler Hutchison (FG), Coby White (G), Kris Dunn (G), Luke Kornet (C) Shaquille Harrison (G)

Allenatore: Jim Boylen (Assistenti: Chris Fleming, Roy Rogers Jr., Karen Stack, Dean Cooper, Shawn Respert, Paul Miller, Nate Loenser)

Punti di forza: Nonostante Chicago sia reduce da una Regular Season da 22 vittorie e 60 sconfitte, c’è ottimismo sulle sponde meridionali del lago Michigan. Il tasso di talento a disposizione di coach Boylen è notevole, ma andranno tenuti d’occhio gli infortuni e la giovane età di molti giocatori, a partire dalla coppia di lunghi, modernissima, composta da Wendel Carter e Lauri Markkanen. La situazione nel ruolo di guardia è notevolmente migliorata, sia perché Zach LaVine ha messo a referto un ottimo 2018-19, sia perché l’arrivo di Satoransky dalla free agency ha portato esperienza e solidità, mentre il rookie Coby White consente di guardare al futuro con più serenità.

Otto Porter è una certezza in termini di serietà e rendimento, Kris Dunn può essere utilissimo in uscita dalla panchina, e tenete d’occhio Daniel Gafford, che inizialmente si accontenterà di una manciata di minuti alle spalle di Luke Kornet, lo stretch-five reduce da una buona annata a Manhattan. Chicago non è una squadra particolarmente pericolosa da tre punti, ma vanta una pletora di giocatori intelligenti (Satoransky, Carter, Porter). Non essendoci tiratori di altissimo livello e tantomeno il classico creatore di gioco dal palleggio, coach Boylen proverà ad affidarsi a Markkanen (sempre che gli infortuni gli diano tregua) come motore offensivo di un team che dovrà inventarsi un basket diverso da quello dominante nell’attuale panorama NBA.

Punti di debolezza: le lacune difensive di Markkanen, che possono essere mascherate solo fino ad un certo punto dall’acume tattico di Carter, sono certamente un limite. Nel complesso, i Bulls vengono da una stagione nella quale hanno raccimolato un defensive rating di 113,2 che deve migliorare, sia per la naturale maturazione dei giocatori più verdi, sia grazie alla presenza di elementi preziosi come Young e Satoransky. Inoltre giocatori come Hutchinson e Valentine si sono rivelati fin qui inaffidabili a livello NBA, e non sono certo i rincalzi che un allenatore sogna di avere in panchina, che si tratti di gestire un vantaggio o invertire un trend perdente.

Riusciranno a smentirci, trasformandosi in pedine preziose in uscita dal pino? In compenso Thaddeus Young porterà quel genere di leadership del quale ogni squadra giovane ha bisogno: Young non è un giocatore bollito e svogliato, al quale i compagni più imberbi si rivolgono solo per consigli sui ristoranti o sui fondi d’investimento. L’ex Pacer è un atleta che ha diverse cartucce da spendere, un leader vocale che si farà sentire costantemente e farà capire a tutti cosa serve per avere successo in questa Lega, ossia difesa e contropiede (per ovviare alle lacune dietro l’arco).

Previsione: se riusciranno a difendere e correre, i Bulls hanno atleti e talenti per dire la loro: LaVine, White, Young e Porter sono giocatori ideali per spingere il contropiede e concludere, mentre l’attacco a metà campo dipenderà in modo preponderante dall’impatto di Markkanen e dalla capacità d’eseguire quello che coach Boylen disegnerà sulla propria lavagnetta. Tutto però, partirà dalla capacità di difendere in modo efficacie e coeso, senza perdersi le rotazioni e facendo tagliafuori. Cose semplici, che a volte sono le più difficili da insegnare a questo livello. Pronostico: 30-52 

CLEVELAND CAVALIERS

Quintetto: Brandon Knight (G), Collin Sexton (G), Cedi Osman (F), Kevin Love (F), Tristan Thompson (C)

 Panchina:  Jordan Clarkson (G), Matthew Della Vedova (G), Dylan Windler (F), Darius Garland (G), Kevin Porter (G), Sindarius Thornwell (GF), Jarell Martin (F), Timothe Luwawu-Cabarrot (F), Larry Nance Jr. (F), John Henson (C)

Allenatore:  John Beilein (Assistenti: J.B. Bickerstaff, Lindsay Gottlieb, Antonio Lang, J.J. Outlaw, Dan Geriot, Mike Gerrity, James Posey, Andrew Olson, Jay Shunnar)

Punti di forza: confermando in gran parte un nucleo reduce da appena 19 vittorie, con un rating difensivo da brividi (117,6) Cleveland è il presumibile fanalino di coda della Central Division se non dell’intera NBA. Eppure il talento e l’esperienza non mancano certo, ma la franchigia dell’Ohio sconta ancora una struttura concepita per funzionare sulla scorta della presenza del devastante LeBron James del suo quadriennio in maglia color vinaccia.

Di Kevin Love conosciamo a memoria pregi e difetti, così come di Tristan Thompson, Jordan Clarkson, Larry Nance e Matthew Della Vedova, mentre sono tutti da scoprire i rookie: Dylan Windler, Kevin Porter e soprattutto Darius Garland, che vanno ad affiancare quel Colin Sexton che ha vissuto una stagione d’esordio piena di alti e bassi, com’è normale per un giocatore giovanissimo, che deve ancora completare la propria maturazione tecnica e capire come usare il proprio eccezionale “motore” e spirito competitivo (che non può manifestarsi solo in attacco!).

A ben vedere, Cleveland è puntellata da alcuni giocatori tipicamente “di complemento” che aiuteranno ad evitare clamorose sbandate (pensiamo soprattutto a Della Vedova, a Thompson e a Osman), ma nessuno di loro può diventare protagonista in campo. Coach Beilein dovrà occuparsi di un bel rompicapo: Koby Altman gli ha consegnato un roster ricco di comprimari maturi, che hanno vinto e conoscono la NBA, chiamati a giocare negli spazi creati da una masnada di talenti immaturi (su tutti Claxton e Garland). Non sarà facile costruire una chimica di squadra, a meno che tra veterani e giovani si crei una forte empatia fuori dal campo, che si trasformi in sinergia di gioco sul parquet. Ah, e che gli infortuni diano tregua, perché anche Garland viene da una stagione NCAA in cui è riuscito a scendere in campo appena cinque volte!

Punti di debolezza: i Cavaliers rischiano di trovarsi con due fazioni in spogliatoio, quella dei giovani che vogliono correre e divertirsi, e quella dei veterani che vorrebbero più serietà e ragionamento. Se quest’evenienza dovesse concretizzarsi, la panchina di coach Beilein diventerebbe automaticamente la più traballante della Lega, e se non bastasse, la scelta di Garland (virtuale doppione di Sexton, selezionato al draft appena 12 mesi prima) mette pressione sullo sviluppo parallelo e complementare di due talenti che non sono necessariamente fatti per giocare uno accanto all’altro.

Aggiungiamoci alcune personalità che sembrano propense a vivacchiare come Clarkson, Nance, Henson, ed ecco perché un gruppo comunque talentuoso si ritrova ad essere in fondo a questa pagina di pronostici. Certo, i Cavs tirano abbastanza bene da tre (prediletto da coach Beilein, che sa bene come l’efficienza sia una bella cosa, ma debba esserci anche tanto volume: brutto dirlo ma è così, se contasse solo l’EffRtg, andrebbero bene anche i long two) mentre tutto il resto (rotazioni difensive, la panchina, i ruoli) sono da costruire, e non è facile farlo quando gli studenti (i rookie) sanno o pensano d’esser meglio dei professori (i veterani). Aggiungiamoci che Love viene da una stagione da 22 partite giocate, e sembra molto concentrato sui suoi interessi extra-parquet.

Previsione: Se Dan Gilbert lascerà fare il GM Koby Altman, pensiamo che Cleveland abbia una buona base per costruire, una situazione contrattuale vantaggiosa e un allenatore con idee, che merita di avere una chance “vera”, senza la spada di Damocle sulla testa del licenziamento a metà stagione. Chiaramente ci vorrà tanto tempo; questa sarà una stagione di transizione nella quale i tifosi dei Cavs dovranno accontentarsi di tener d’occhio i progressi dei giovani, le fantastiche schiacciate di Nance, e soprattutto i tweet dell’ineffabile Woj, che potrebbero riguardare i tanti veterani presentatisi al Media Day dei Cavs per le foto di rito con un’immaginaria targhetta “in vendita” ben in vista sulla divisa. Pronostico: 25-57

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