Nel giro di una sola stagione la Northwest Division si è trasformata in una vera e propria powerhouse della Nba. Pensiamo per un istante al quadro proposto dalla Western Conference esattamente un anno fa, quando il tutto si sarebbe dovuto ridurre ad una competizione a due tra Warriors e Rockets inscenando una riedizione della finale di Conference della stagione precedente, lasciando un giro indietro tutto il gruppo restante della competizione.

Nel nuovo scenario, alterato dalla brutta partenza di Houston che ha tolto al team di D’Antoni la possibilità di qualificarsi ai playoff con una delle prime due posizioni della relativa griglia, si sono inserite Denver e Portland, peraltro accese protagoniste di un duello diretto che ha scaldato per bene il secondo turno di postseason con sette gare caratterizzate dalle prodezze dei singoli e dal clamoroso epilogo di gara 4, terminata solo al quarto overtime, una serie che Denver ha comandato prima di cedere le ultime due decisive partite agli avversari. I Blazers sono così diventati la vittima sacrificale dei fortissimi Warriors ma hanno raggiunto un traguardo impensabile, arrivando a quattro vittorie dalla finale Nba, un gran salto in avanti per una franchigia che pareva aver toccato le massime vette di risultato con l’attuale combinazione di superstar.

Nel mezzo i Jazz crescono esponenzialmente e tentano di incunearsi dopo aver svolto un veloce ed eccellente lavoro di ricostruzione dopo il vile abbandono di Gordon Hayward per quel di Boston, sempre che di ricostruzione si possa discutere, perché quanto ottenuto da Utah negli ultimi due anni, nonostante la doppia eliminazione patita contro i Rockets negli ultimi due tornei, è davvero ragguardevole se rapportato all’evidente differenza nel dosaggio tra i talenti I giovani Jazz crescono assieme al loro leader, Donovan Mitchell, cui manca solo quella continuità nei playoff per entrare definitivamente nel circolo elitario dell’attuale panorama cestistico, e sono nel contempo diventati un ambito approdo per chi è in cerca di aggiungere un titolo alla propria collezione.

E’ una situazione molto più equilibrata, all’interno della quale le tre compagini sinora citate godranno dell’occasione più unica che rara di affrontare la regular season senza il timore che Golden State ammazzi da subito il campionato, e strada facendo si potrà senz’altro valutare meglio l’impatto del trasferimento di Russell Westbrook, che toglie una superstar proprio a questo raggruppamento, andando a indebolire dei Thunder nel pieno di una ripartenza totale.

Discorso nettamente differente per i Timberwolves, i cui recenti trascorsi indicano che la bufera è passata da un pezzo portandosi appresso sia le bizze di Jimmy Butler che i nervi sfasciati di Tim Thibodeaux, ricominciando dal 17-25 ottenuto sotto le direttive del confermato Ryan Saunders e trovandosi a dover rispondere a troppe domande scomode in relazione ai due indiscussi talenti che il roster vanta.

Per completezza del roster i Nuggets appaiono oggi i maggiori accreditati per raggiungere la vetta divisionale, ma non senza ingaggiare un entusiasmante corpo a corpo con i Blazers, ricordando il dente avvelenato dall’ancor fresca delusione di quella gara 7. I Jazz, grazie ad innesti che migliorano tanto lo starting five quanto la rotazione, si inseriranno senza dubbio nella corsa ed avranno voce in capitolo quando sopraggiungerà il mese più caldo del torneo, tagliando fuori presumibilmente una Minnesota che ha guadagnato in chimica di spogliatoio ma che ha perso enormi quantità di talento, ed una Oklahoma City che ha puntato tutto su giovani e scelte future, rimandando la nuova ricerca delle vette toccate ai tempi d’oro.

DENVER NUGGETS

Starting five: Jamal Murray, Gary Harris, Torrey Craig, Paul Millsap, Nikola Jokic.

Rotazioni: Monte Morris, Malik Beasley, Michael Porter Jr., Will Barton, Jerami Grant, Mason Plumlee.

Coach: Michael Malone

Novità: Jerami Grant (Thunder); Tyler Zeller (FA); Bol Bol (draft day trade); Vlatko Cancar (FA); P.J. Dozier (FA).

Partenze: Trey Lyles (Spurs); Brandon Goodwin (FA).

Nikola Jokic sarà in piena corsa per il titolo di Mvp stagionale.

unti di forza: L’applicazione del mantra if it ain’t broke, then don’t fix it sta alla base della scalata al successo della franchigia del Colorado, la quale sta godendo dei frutti di una costruzione del roster solida e soprattutto ancora molto giovane, il che fornisce una prospettiva a lungo termine nella competizione ad alti livelli. Denver è stata tra le compagini meno attive nel mercato e d’altro canto non necessitava certo di chissà quali modifiche di assetto potendo contare su un quintetto assai competitivo, capeggiato da quel Nikola Jokic assestatosi su livelli prestazionali degni dello status di Mvp ed essenziale per il corretto funzionamento dei principi offensivi, se non altro perché le azioni passano tutte attraverso le sue mani capaci permettendogli di essere primatista di squadra nelle tre categorie fondamentali, punti, rimbalzi ed assist.

Jokic possiede un arsenale comprovato essendo efficace dal perimetro come pure sotto canestro attaccando spesso e volentieri in entrata sfruttando quella stazza che così tanto compensa la lentezza nei movimenti, ed è il centro con la miglior visione di gioco di tutta l’attuale Nba grazie alle fantastiche doti da passatore, un autentico visionario in grado di forzare l’esito del gioco anticipandone lo svolgimento. Jamal Murray è invece l’elemento a cui rivolgersi quando la palla scotta e serve caricarsi l’intera squadra sulle spalle, il giocatore cui affidare il tiro decisivo è senza dubbio lui, che non solo ha accettato la grande responsabilità ma l’ha concretizzata sul campo, trovandosi direttamente correlato al 31-15 che i Nuggets hanno compilato in gare vicine nel punteggio, un segnale di freddezza che il giocatore ha portato con sé anche in una postseason magari discontinua al tiro, ma affrontata con la giusta attitudine.

La completezza e la profondità dello schieramento è certamente tra gli elementi di spicco interpretando il possibile svolgimento del prossimo campionato dei Nuggets, che possono vantare l’estrema solidità di giocatori come Paul Millsap, Gary Harris e Torrey Craig, peraltro corresponsabili degli evidenti progressi difensivi mostrati rispetto a due stagioni or sono; Mason Plumlee è inoltre un centro di riserva più che affidabile e l’unica aggiunta significativa dell’estate, Jerami Grant, permette di fruire di un giocatore assai migliorato nel tiro da fuori, perfetto per dare minuti di cambio senza perdere pericolosità offensiva, oltre al sempre tangibile contributo difensivo reso possibile dalla facoltà di marcare con ugual efficacia entrambe le posizioni di ala. Monte Morris – grande scoperta della scorsa stagione – si è imposto come sesto uomo d’impatto guadagnandosi la permanenza in campo nei quarti periodi, e da non dimenticare c’è pur sempre l’inserimento di Michael Porter Jr., che aumenta ulteriormente il tasso di talento a disposizione.

Punti di debolezza: possedere un gruppo di giocatori forti la cui media anagrafica non supera i 25 anni è sicuramente un vantaggio dal punto di vista fisico e dei margini di miglioramento, ma non da quello dell’esperienza. La scorsa stagione è stata certamente soddisfacente ma resta quella sgradevole sensazione amara data dall’eliminazione in gara 7 contro Portland, rispetto alla quale Denver poteva vantare ranghi al completo ed in perfetta salute sommandovi pure il vantaggio del fattore campo, per cui la prima prova da superare sarà senza dubbio il dimostrare di poter valere una finale di Conference, o meglio ancora le Finals, in una Western dove il valore della concorrenza è sistematicamente maggiorato.

Il punto sta proprio qui, nel capire se i Nuggets possano riuscire a traslare le loro potenzialità cartacee sul campo quando ci saranno da fronteggiare le potenze nuovamente rimescolate del raggruppamento, il fatto che possano giocare un’altra regular season di qualità pare non essere argomento di dibattito, la necessità è invece quella di dimostrare di poter superare squadre come i Clippers o gli stessi Blazers in una serie di playoff, e qui nascono i pochi punti interrogativi rapportabili a questa altrimenti più che attrezzata squadra. Denver si è inoltre classificata al diciassettesimo posto in termini di percentuale di realizzazione da tre punti, ed il successo a lungo termine oggigiorno passa anche da lì.

Analisi: i Nuggets continuano la loro lungimirante avventura trovandosi a dover fare i conti con delle aspettative nettamente superiori rispetto a quelle di un anno fa, dove venivano da un campionato che li aveva privati dei playoff solamente di un soffio. Oggi si può lottare con i grandi ma non basta, la necessità è di provare di aver raggiunto quello stesso livello, un’ambizione non certo irraggiungibile se considerata l’ulteriore crescita in esperienza degli elementi chiave della formazione ed un’efficienza complessiva migliorata, che ha visto la squadra inserirsi nella top ten per rating sia offensivo che difensivo.

Nonostante il regnante sovraffollamento della Western Conference i Nuggets si possono riproporre quale compagine valevole le 50 vittorie stagionali con una certa tranquillità, il vero test arriva invece in seguito, quando ci sarà da lottare con una maggiore sostanza. Coach Malone può sfoggiare una squadra bellissima da vedere ma pure in possesso di qualche questione irrisolta, vedasi la drastica discesa nel rendimento difensivo in occasione della scorsa postseason complici i problemi di Jokic da quella parte del campo, nonché la discontinuità di un Murray appena arricchito dall’atteso prolungamento, chiamato a migliorare la selezione di tiro aumentando il numero di circostanze in cui si fa trovare pronto ad esplodere, risultando incontenibile con una maggiore costanza.

L’idea è che solo con questi progressi effettivamente certificati Denver possa effettivamente pensare di essere grande tra i grandi, fronteggiando rivali rispetto alle quali hanno scelto una strada nettamente differente per il successo. Non resta che attendere maggio e capire se la decisione di occupare il salary cap per tenere assieme tutto questo talento potrà superare lo svelto assemblaggio di squadre piene di superstar.

Record 2018/2019: 54-28

Previsione record 2019/2020: 52-30

MINNESOTA TIMBERWOLVES

Starting five: Jeff Teague, Andrew Wiggins, Jarrett Culver, Robert Covington, Karl-Anthony Towns.

Rotazioni: Shabazz Napier, Josh Okogie, Jake Layman, Jordan Bell, Gorgui Dieng.

Coach: Ryan Saunders

Novità: Jarrett Culver (draft day trade); Jake Layman (Blazers); Noah Vonleh (Knicks); Treveon Graham (Nets); Shabazz Napier (Nets); Jordan Bell (FA); Jaylen Nowell (pick n. 43).

Partenze: Derrick Rose (FA); Luol Deng (FA); Jarryd Bayless (FA).

Karl-Anthony Towns sarà nuovamente la punta di diamante dei T-Wolves.

Punti di forza: quando ci si può permettere di costruire un’intera formazione attorno ad uno dei giocatori più unici che la Nba possa proporre, sia ha indubbiamente una fortuna di cui è necessario fare tesoro. Karl-Anthony Towns entra nella prima stagione del suo nuovo contratto da superstar più che qualificata, il giocatore attorno al quale passano tutte le attuali e future decisioni riguardanti la franchigia.

La rarità del suo vasto bagaglio tecnico è presto spiegata da numeri che lo hanno visto comandare la squadra non solo nei settori più ovvi per un giocatore del suo ruolo e del suo status – punti e rimbalzi – ma pure nella percentuale di realizzazione da tre punti, un 40% su 4.6 tentativi a serata a cui nessun altro compagno è riuscito ad avvicinarsi. Il suo è un contributo che rischia addirittura di crescere considerate le partenze di alcuni veterani e la conseguente ridistribuzione delle responsabilità offensive, che gli lasceranno ancor più spazio viste la poca esperienza di una buona fetta del roster e l’attitudine spiccatamente difensiva di alcuni suoi compagni. Il cielo è il limite.

La rinnovata stabilità della franchigia passa anche dalla sua struttura organizzativa. Finalmente lontani dai tumulti provocati da Jimmy Butler i T’Wolves hanno un nuovo general manager in Gersson Rosas, professionista di approccio analitico, ed hanno deciso di confermare il giovanissimo Ryan Saunders alla guida della squadra puntando su un nuovo sistema di gioco, più dinamico, e degli adattamenti difensivi più vicini a quanto praticato dalle squadre più forti della Conference. Ci sono molti giovani di talento che avranno a disposizione il tempo necessario di sviluppare le proprie capacità, vedasi Josh Okogie, autore di un buon anno da matricola, e Jarrett Culver, rookie che potrà dare una mano ad una difesa rivedibile cercando nel contempo un adeguato sviluppo offensivo.

L’attacco è fluido e non avrà ostacoli nel mantenere la tredicesima posizione in rating di lega, mentre il rientro in salute di Robert Covington, che non ha sostanzialmente giocato dopo essere arrivato dai Sixers a metà stagione scorsa, contribuirà positivamente al miglioramento di performance difensive insoddisfacenti. La profondità a roster è stata adeguatamente rimpiazzata dai movimenti eseguiti in offseason, con nuovi arrivi come Bell, Vonleh e Napier pronti a fornire un solido contributo dalla panchina.

Punti di debolezza: la mancanza di una seconda vera superstar sembra essere l’elemento in grado di azzoppare le ambizioni di Minnesota, e molta responsabilità ricade su Andrew Wiggins, titolare di un super-contratto al quale non ha mai fatto corrispondere la necessaria concretezza in campo. Per l’ennesimo anno consecutivo ci si ritrova a parlare di lui e delle sue potenzialità inespresse, ma oggigiorno il tempo stringe sempre troppo per fermarsi ad aspettare invano che qualcosa accada in un giocatore che fornisce tratti delle sue indubbie potenzialità solo in quantità limitate, occupando una percentuale del cap totale assolutamente smisurata se correlata alla sua produzione complessiva.

La decisione di riconfermare quanto più possibile per dare una sensazione di stabilità della quale in loco si necessitava come l’aria fresca in una giornata torrida, l’altra faccia della medaglia è rappresentata dall’inesperienza stessa del comunque benvoluto Ryan Saunders e la necessità di integrare il personale a disposizione con una filosofia offensiva che intende alzare i ritmi di gioco, ed difesa improntata sulla versatilità ed i cambi al volo in marcatura. L’attacco potrebbe inoltre risentire dell’assenza di preziose risorse offensive come Derrick Rose, letteralmente rinato nella sua esperienza a Minneapolis.

Il roster non propone grosse alternative a Towns per quanto riguarda l’efficienza nel gioco in post, lacuna non indifferente per tutti quei momenti in cui l’All-Star andrà fatto opportunamente riposare, manca inoltre una guardia tiratrice minacciosa dal perimetro e mancano soluzioni costantemente affidabili per il tiro da tre, con l’eccezione di quanto già sopra esposto.

Analisi: nonostante la ristrutturazione di regime recentemente apportata, i Timberwolves continuano a soffrire per la mancanza di risultati positivi nel lungo termine, e le loro prospettive non sono certo mutate in un qualcosa di più roseo di quanto sinora sopportato. Jimmy Butler ha portato la prima qualificazione ai playoff delle ultime quindici stagioni ma è costato un mal di testa che ha lentamente smontato l’organizzazione portandola all’attuale ripartenza da zero, l’ennesima per un ciclo che sembra non partire mai.

Difficile pensare che una squadra incompleta e priva di un talento alternativo vicino a quello di Towns possa permettersi di fronteggiare le corazzate che si troverà davanti quasi ogni sera, con la prospettiva di poter lottare solamente per un eventuale ottavo posto in un Ovest nettamente superiore a quanto oggi proposto da Minnesota. Per ora non suonano campanelli d’allarme, il team è ricco di giovani che possono crescere positivamente ricreando il futuro che i Wolves si sono visti soffiare proprio sotto il naso, ma non è chiaro il quanto possa durare la pazienza di Towns visti i tempi che corrono, ove è diventato più facile forzare uno scambio verso una contender prendendo il coltello dalla parte del manico.

Sarà tutt’altro che facile tirar fuori una compagine competitiva sotto le direttive di un head coach acerbo, e le mosse che il management potrà operare sono assai limitate da un cap pesantemente ingolfato dal contratto di Wiggins, assai poco desiderabile da terze parti e per questo difficilmente scambiabile con qualcuno che possa veramente aggiungersi alla carovana e fare la differenza che servirebbe, per cui non resta che scommettere sul progresso interno di quanto è oggi presente a roster. Giocare un campionato dignitoso e convincere Towns di essere direzionati nella maniera corretta costituirebbe già una grande vittoria.

Record 2018/2019: 36-46

Previsione record 2019/2020: 37-45

OKLAHOMA CITY THUNDER

Starting five: Chris Paul, Shai Gilgeous-Alexander, Terrance Ferguson, Danilo Gallinari Steven Adams.

Rotazioni: Dennis Schroder, Hamidou Diallo, Andre Roberson, Mike Muscala, Nerlens Noel.

Coach: Billy Donovan

Novità: Chris Paul (Rockets); Darius Bazley (draft day trade); Shai Gilgeous-Alexander (L.A. Clippers); Danilo Gallinari (L.A. Clippers); Mike Muscala (FA); Justin Patton (FA).

Partenze: Russell Westbrook (Rockets); Paul George (L.A. Clippers); Jerami Grant (Nuggets); Patrick Patterson (cut).

Steven Adams è l’ultimo rimasto dei vecchi Thunder in perenne lotta per il titolo.

Punti di forza: attualmente pochi, perché il roster si è completamente svuotato delle superstar che un tempo possedeva. La controparte positiva è rappresentata dal fatto che la sottrazione di Westbrook e George libererà interessanti minutaggi a disposizione dei più giovani, ed i Thunder potranno comprendere con maggior efficacia che cosa si trovano per le mani allo stato attuale.

Le circostanze si fanno quantomeno intriganti per Shai Gilgeous-Alexander, il quale potrà fruire di un tutor da Hall Of Fame come Chris Paul per imparare qualche utile trucchetto del mestiere da una delle migliori point guard della storia, e la squadra potrà scatenare in libertà il vivace tasso atletico di Ferguson, Diallo e Bazley, per i quali si possono già immaginare spettacolari conclusioni in schiacciata dopo essersi divorati il campo in qualche secondo.

La situazione sembra ideale anche per Danilo Gallinari, giunto in Oklahoma nel quadro dell’affare-George, in quanto l’italiano proviene da quella che può essere considerata la sua miglior stagione statunitense. Il Gallo potrebbe facilmente diventare il principale terminale offensivo migliorando istantaneamente le percentuali da tre punti di squadra, oltre a fornire alla formazione una versatilità grazie alla quale può vedersi schierare in più posizioni ed offrire pericolosità sia nelle vicinanze dell’area pitturata che dal perimetro grazie alla combinazione tra stazza e mobilità, permettendo di pronosticargli una stagione da una ventina abbondante di punti per serata.

Coach Donovan potrà inoltre modificare a piacimento la rotazione delle guardie contando sulle doti di realizzatore portate da Dennis Schroder, le cui statistiche offensive sono inevitabilmente calate in presenza di Westbrook, inserendo il tedesco al fianco di Paul o – preferibilmente – facendolo partire ancora dalla panchina, un ruolo a lui adatto per la capacità di scaldare la mano senza esitazioni.

Steven Adams rimane in ogni caso uno dei centri più efficienti e fisicamente solidi di tutta la lega, un grande esempio di continuità e lavoro sporco eseguito per il bene di tutta la squadra. Il pittoresco neozelandese si ritrova ad essere l’ultima immagine iconica della vecchia OKC e dovrà abbracciare una nuova figura di mentore per la tanta gioventù qui presente grazie all’esperienza accumulata in anni di lunghe battaglie, anche per lui è intuibile un aumento delle responsabilità offensive se non altro per la logica ridistribuzione della nuova disponibilità di possessi, ferme restando la sua sempre affidabile difesa, la certificata pericolosità a rimbalzo offensivo, e l’indubbia concretezza nel portare blocchi in fase di screen.

Punti di debolezza: il roster non possiede l’esperienza necessaria per competere a traguardi ambiziosi, ed è particolarmente sbilanciato tra le varie posizioni in attesa di capire gli sviluppi dei giocatori che andranno a costituire il futuro della franchigia. La difesa non era eccezionale già prima – il rating dei Thunder era difatti a metà classifica in occasione dello scorso torneo – e la situazione non è certo destinata a progredire togliendo George da un’equazione che lo vedeva marcare costantemente il miglior attaccante avversario di serata, a maggior ragione se l’arma difensiva più efficace – Andre Roberson – dovrà dimostrare di non aver perso la preziosa mobilità perimetrale a seguito del lunghissimo recupero dalla rottura del tendine patellare sinistro, una faccenda assai complessa se relazionata alla quantità del periodo d’inattività.

Oklahoma City non sarà una squadra pericolosa da oltre l’arco, con la sola esclusione del già menzionato Gallinari non ci sono difatti tiratori affidabili che possano allargare una difesa a dovere, oltre a ciò la tenuta fisica dei giocatori più navigati porta a dei punti interrogativi di non poco conto, legati anche alla posizione contabile di alcuni dei nuovi veterani giunti in città.

Né il Gallo medesimo e né Paul sono giocatori in grado di scendere in campo per 82 partite e la cronologia infortunistica di carriera ne offre ampie dimostrazioni, Donovan dovrà di conseguenza preparare dei piani di emergenza per quando i maggiori elementi di esperienza potranno potenzialmente assentarsi contemporaneamente dal quintetto base lasciando tutto in mano all’acerbità delle nuove leve, una situazione che proiettata per un’ipotetica cifra compresa tra le dieci e le venti partite può portare senz’altro la squadra a perdere fortemente in competitività.

Le due star appena citate potrebbero inoltre costituire solo una transizione provvisoria, non è difatti un mistero che il pesantissimo contratto di Paul sia destinato altrove entro la prossima trade deadline, così come il buon Danilo possa far comodo ad una contender che possa indirizzare ai Thunder altre risorse interessanti con le quali ricostruire.

Analisi: Sam Presti ha capito che la squadra non sarebbe stata in grado di lottare per il titolo nemmeno con la conformazione dello scorso campionato, e dopo aver assecondato le forzature di Paul George ha deciso di salutare anche la più grande icona che i Thunder post-trasloco abbiano mai avuto, Russell Westbrook. Sarà una stagione di passaggio, di certo il team sarà divertente da vedere ma fioccheranno le sconfitte per via della grande differenza di spessore rispetto alle corazzate occidentali, se non altro ci sarà l’opportunità di massimizzare la crescita dei nuovi adepti con maggiori opportunità di vedere Shai Gilgeous-Alexander trasformarsi in una potenziale superstar grazie al maggior spazio di cui l’ex-Clippers godrà rispetto alla sua destinazione da matricola, cercando di plasmare prodotti grezzi come Diallo, Ferguson, il fisicamente intrigante Bazley ed il perennemente infortunato Patton in un nucleo capace di tornare alla ribalta nel minor tempo possibile.

Saranno dei Thunder nettamente differenti, offensivamente più fluidi senza tutte le situazioni in isolamento precedentemente dedicate a Westbrook, una squadra di atleti poco tiratori priva di un difensore di primaria qualità, rendendo plausibile l’idea che per quest’anno ci si debba accontentare di essere una franchigia da lotteria e nulla più. Oklahoma City non è la squadra del presente ma il futuro è tutto lì, pronto per essere abilmente costruito partendo da un invidiabile pacchetto che ha portato in loco una miniera di prime scelte future, oltre a possedere merce di scambio di sicuro interesse in ottica della volta conclusiva per i playoff con la possibilità di arricchire ulteriormente un arsenale già assai copioso per un domani molto promettente.

Record 2018/2019: 49-33

Previsione record 2019/2020: 32-50

PORTLAND TRAILBLAZERS

Starting five: Damian Lillard, C.J. McCollum, Rodney Hood, Zach Collins, Hassan Whiteside.

Rotazioni: Anfernee Simmons, Kent Bazemore, Mario Hezonja, Anthony Tolliver, Pau Gasol.

Coach: Terry Stotts

Novità: Hassan Whiteside (Heat); Kent Bazemore (Hawks); Mario Hezonja (FA); Anthony Tolliver (FA); Pau Gasol (FA).

Partenze: Evan Turner (Hawks); Mo Harkless (Clippers, via Heat); Meyers Leonard (Heat).

Dame e C.J. costituiranno nuovamente l’ossatura portante dei Blazers.

Punti di forza: i Blazers posseggono uno dei migliori backcourt della Lega, ulteriormente cresciuto in coincidenza della scorsa edizione dei playoff. Damian Lillard ha scritto il suo nome nella leggenda con il noto buzzer beater contro le braccia protese di Paul George, confermandosi quale imprescindibile terminale offensivo in grado di sorreggere un attacco privo di altre superstar del suo calibro.

C.J. McCollum è ormai il partner perfetto per complementare un attacco classificatosi terzo per offensive rating in regular season, garantendo una produzione combinata che ha fatto registrare 47 punti a gara di media, per poi migliorare ancora con l’avvento in una postseason dove sono risultati equamente letali nell’uno contro uno.

Grazie alla più che collaudata combo in Oregon si è fatta più strada di quanto di pensasse, gli eroismi dei due sono stati determinanti per avere ragione dei Nuggets in quella che è probabilmente stata la serie più interessante dello scorso torneo nonostante un destino avverso abbia tolto di mezzo Jusuf Nurkic nel momento più importante, un test di sopravvivenza che la squadra ha dimostrato – perlomeno contro Denver – di poter superare con agilità.

L’assetto di squadra, in attesa del rientro del centro dall’infausto evento, non sarà modificato grazie alla trade che ha portato Hassan Whiteside, il quale rivestirà compiti del tutto simili a quelli che coach Stotts aveva pensato per Nurkic permettendogli di stazionare nel pitturato ed offrire protezione sotto canestro, continuando a tenere alta la reputazione in termini di rimbalzi offensivi, specialità nella quale Portland è risultata la seconda miglior squadra Nba.

Il quintetto è versatile, e potrà ben adattarsi a seconda dell’avversario affrontato muovendo le proprie pedine in vari modi, facendo ad esempio giocare assieme Whiteside e Collins qualora Zach medesimo si dimostrasse effettivamente migliorato nel difendere il perimetro, oppure abbassando la stazza utilizzando a piacimento Rodney Hood ed il neo-arrivato Kent Bazemore, il quale potrà offrire un contributo offensivo senz’altro migliore rispetto a quanto proposto da Aminu, partito con destinazione Orlando.

Punti di debolezza: la offseason ha portato diversi cambiamenti e la chimica di squadra – con particolare riferimento a chi entrerà dalla panchina – è da ricostruire. Portland non è stata sempre efficiente a livello difensivo e si prevedono difficoltà conseguenti dalla prolungata assenza di Nurkic, nonché dall’efficienza fornita da Harkless ed Aminu, i quali saranno sostituiti da un Bazemore poco versatile per taglia fisica, costringendo Stotts ad utilizzarlo quasi esclusivamente da guardia per evitare mismatch troppo sfavorevoli.

Parte della rotazione deve provare di appartenere ad una compagine che punta a migliorare il già notevole traguardo delle finali di Conference ottenuto l’anno scorso contro il favore dei pronostici, ma molti dei suoi futuri protagonisti, come Anfernee Simons e Gary Trent Jr., non sono praticamente mai stati utilizzati. In ogni caso il cast a supporto di una delle coppie più solide della lega non possiede lo stesso tasso di talento esibito da altre contender, un fattore che potrebbe incidere nel posizionamento finale della regular season e nel futuro cammino chela squadra farà ai playoff, con aspettative psicologicamente più pesanti di prima.

Nonostante la sorpresa di ritrovarsi i Blazers tra le quattro squadre sopravvissute al secondo turno di playoff resta il fatto che, nel confronto con le altre potenze della Western, Portland sembra possedere delle potenzialità limitate, e per quanto Lillard sia culturalmente importante per lo spogliatoio nel dimostrare di poter vincere anche senza assemblare squadroni d’élite, potrebbe volerci una trade per aggiungere quel pezzo che sembra mancare per permettere di poter seriamente ambire al titolo.

Analisi: colpevoli noi per primi, ma non siamo certo soli ad aver sostenuto che i Blazers dello scorso campionato sarebbero potuti giungere solamente fino ad un certo punto del loro cammino playoff. Tuttavia, questa è una squadra difficilissima da escludere dai discorsi perché sa spesso sorprendere, è combattiva quando viene stretta all’angolo, e la sola presenza di Lillard può permettere il lusso di misurarsi adeguatamente contro chiunque, resta da capire se questa adeguatezza si possa estendere in una serie di playoff con alte poste in palio o possa valere solamente per qualche gara.

Si può certamente approfittare della finestra lasciata temporaneamente aperta dalle disgrazie dei Warriors, avversari altrimenti insormontabili, resta tuttavia aperta la questione con le nuove edizioni di Clippers e Rockets proiettando i Blazers in un contesto simile a quello dello scorso anno, lasciando la possibile risposta agli eroismi firmati da Dame e C.J., gli unici veri barometri delle possibilità di questa squadra. Abituati a stupire, di certo valgono le cinquanta vittorie stagionali anche in un contesto così affollato e possono vantare un flusso offensivo di prim’ordine, e nonostante le lacune già espresse Lillard si è sempre dimostrato essere un leader capace e seguito, in grado di far tirar fuori il carattere a tutti i compagni, smontando i pronostici. Magari non arriveranno fino in fondo, ma saranno gli ultimi a mollare.

Record 2018/2019: 53-29

Previsione record 2019/2020: 51-31

UTAH JAZZ

Starting five: Mike Conley, Donovan Mitchell, Bojan Bogdanovic, Joe Ingles, Rudy Gobert.

Rotazioni: Emmanuel Mudiay, Dante Exum, Royce O’Neale, Jeff Green, Ed Davis.

Coach: Quinn Snyder

Novità: Mike Conley (Grizzlies); Bojan Bogdanovic (FA); Emmanuel Mudiay (FA); Jeff Green (FA); Ed Davis (FA); Jarrett Brantley (pick n. 50); Justin Wright-Foreman (pick n. 53); Miye Oni (pick n. 58).

Partenze: Ricky Rubio (FA); Ekpe Udoh (FA); Raul Neto (cut); Grayson Allen (Grizzlies); Jae Crowder (Grizzlies); Kyle Korver (Grizzlies).

Spida ed il francese, una delle coppie meglio assortite di tutta la Nba.

Punti di forza: mentre le superstar della Nba andavano a rimescolare la mappa delle due Conference con i relativi trasferimenti, nello Utah ci si muoveva come si è sempre creduto fosse corretto, effettuando le mosse corrette al momento giusto, senza troppa fanfara e badando solo alla sostanza. I Jazz ce l’hanno fatta ancora una volta, e se riavvolgessimo il tempo impostando la Delorean a quando Gordon Hayward se ne andò spezzando cuori sembra persino strano che la franchigia sia già tornata competitiva in così poco tempo, nonostante l’aver dovuto sottostare alla legge che relaziona superstar e grandi mercati.

La freccia schizza inevitabilmente verso l’alto, perché un nucleo forte e futuribile grazie ai suoi giocatori più rappresentativi, Donovan Mitchell e Rudy Gobert, è oggi molto più completo di quanto non lo fosse a maggio grazie a mosse esplicitamente direzionate verso la copertura di tutte le lacune emerse negli ultimi due anni, dove il cammino nei playoff è stato accorciato dai limiti di squadra.

Utah ha aggiunto esperienza e talento in egual misura trovando in Mike Conley un istantaneo miglioramento rispetto a quanto offerto da Ricky Rubio, in quanto l’ex-Grizzlies ha una lunga esperienza di postseason e può affiancarsi a Mitchell nella leadership della compagnia, oltre a portare presso il lago salato un’oculata gestione dei giochi, un jumper affidabile ed una media assist – 6.4 – superiore rispetto a chiunque abbia vestito questi colori durante lo scorso anno. Le temporanee amnesie offensive che tanto hanno inciso – particolarmente nei playoff – potranno essere un ricordo grazie all’inserimento in quintetto di Bojan Bogdanovic, il quale si porta appresso un apporto qualitativo superiore nelle conclusioni da tre punti, e la panchina è allungata dalle acquisizioni di Emmanuel Mudiay, che sta ancora cercando la sua definitiva dimensione Nba, di Ed Davis, energico backup perfetto per sostituire Gobert, e Jeff Green, veterano di comprovata solidità.

La forza della squadra è la difesa, strettamente dipendente dalla presenza intimidatoria di Gobert al centro delle operazioni. I Jazz sono costantemente nelle prime tre posizioni di lega per rating difensivo guardando all’ultimo triennio, traguardo per il quale è stato determinante il contributo del due volte Mvp difensivo. La controparte offensiva non è ancora vicina al tipo di rendimento richiesto, ma schierare un giocatore come Mitchell, esploso fragorosamente già nell’annata da rookie, poi ulteriormente migliorato ed ancora soggetto ad ampi margini di progresso, è un lusso che non tutti si possono permettere. Nonostante non sia ancora il giocatore completo che può dominare in ogni gara Mitchell è l’indiscussa carica emotiva della squadra, l’esempio da seguire, la persona capace di caricarsi di responsabilità nonostante la giovane età, e viene da una seconda stagione giocata in crescendo dopo le difficoltà iniziali, altro segnale che qui nessuno vuol tirarsi indietro.

Punti di debolezza: l’attacco ha spesso sofferto per le percentuali di realizzazione dal perimetro, che tra gli altri è l’aspetto dove lo stesso Mitchell è chiamato a salire in fretta di livello. Un supporting cast qualitativamente migliore e delle responsabilità difensive probabilmente ridotte gli potranno fornire un importante ausilio, ma il gioiello dei Jazz non potrà permettersi di fallire se nuovamente sfidato a battere l’avversario con le soluzioni in sospensione, per le quali le sue percentuali – in particolare contro i Rockets nei playoff – sono risultate del tutto insufficienti. Un playmaker di maggiore efficacia come Conley ed un tiratore pericoloso come Bogdanovic potranno creare spazi migliori e contribuire a sollevare Utah dalla quindicesima posizione di offensive rating.

L’integrità fisica del medesimo Conley potrebbe costituire una solida fonte di preoccupazione in quanto la guardia arriva da una delicata operazione al tallone che ne ha visto terminare anzitempo l’ultimo campionato a Memphis, ed in caso di nuove emergenze non si dispone di un giocatore che possa avvicinarne le peculiarità. L’attacco è destinato a patire qualche sofferenza in occasione dell’ingresso delle seconde linee, particolare che potrebbe fare la differenza quando Utah fronteggerà l’enorme competizione vigente ad Ovest, dovendo evitare di spremere troppo i titolari in regular season.

Analisi: i Jazz si presentano ai nastri di partenza con un roster decisamente migliorato, sulla carta pronto a dare seriamente filo da torcere a Nuggets e Blazers per la supremazia divisionale. La maggior completezza dell’organico permette di sognare in grande, Conley è un playmaker idoneo a condurre lontano una potenziale contender e solleverà Mitchell dal dover iniziare tutti i possessi, Bogdanovic è un’addizione essenziale per aumentare il tasso di pericolosità esterna costringendo le difese a non concentrarsi più solo ed esclusivamente su un solo giocatore, ed oltre ai numerosi nuovi arrivi tornano in azione anche i protagonisti delle qualificazioni playoff dell’ultimo biennio, elementi duttili come Joe Ingles e lavoratori sotterranei come Royce O’Neale, tutte parti indispensabili di un gruppo che non avrà grossi patemi nel sostituire Jae Crowder e Derrick Favors.

Al di là delle nostre previsioni nel record finale, il posizionamento finale di Utah può arrivare seriamente ad essere determinato da episodi, in quanto nulla c’è da invidiare o recuperare nei confronti di Portland e Denver, sulla carta favorite se non altro per il maggior percorso eseguito da entrambe in postseason. Nulla vieta ai Jazz di potersi aggiudicare il primato divisionale, acquisire il fattore campo per il primo turno dei playoff, di arrivare nelle prime cinque posizioni assolute della Western, in quanto i valori in gioco sono davvero molto vicini.

Pensare in grande si può, certo, Donovan Mitchell sta prendendo sempre più le fattezze della superstar che serviva per il dopo-Heyward e nessuno può mettere in campo un performer difensivo totale come lo è Rudy Gobert, due elementi che già da sé alzavano con naturalezza le quotazioni della franchigia.

Ora, giudicando l’operato effettuato in offseason, c’è la possibilità di porsi allo stesso livello delle grandi e capire che ne viene fuori: la carta dice che i presupposti per una lunga cavalcata esistono, anche se bisogna calcolare con precisione i tempi di apertura della famosa finestra. Nel dubbio, meglio fare alla svelta, prima che età e possibili acciacchi possano influire negativamente sul destino dei nuovi veterani della formazione: a Spida il compito di caricarsi ancora una volta il fardello sulla schiena, accelerando i già notevoli progressi mostrati in una carriera che pochi si attendevano giungesse così presto in una tale posizione.

Record 2018/2019: 50-32

Previsione record 2019/2020: 49-33

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