Nello sport professionistico a stelle e strisce, per arrivare ad assumere i galloni di franchigia vincente, non è la conquista del titolo di per sé la componente principale, ma essere bensì capaci di entrare nell’elite della propria disciplina, divenire contender, saper attendere, vendere ma allo stesso tempo continuare a galleggiare a ridosso dei migliori, ricostruire nel breve tempo dopo un fisiologico calo ed infine ripartire di nuovo ad alti livelli.

Beh, se esiste un team che negli ultimi 10 anni si può ergere a campione di questa particolare categoria, è quello dei Clippers di Steve Ballmer, personaggio fuori dalle righe, ma che evidentemente nella gestione delle risorse, del personale e delle stanze di comando è un vero e proprio maestro.

Il suo scatenarsi davanti ai giornalisti durante la conferenza stampa di presentazione dei due nuovi uomini franchigia, racchiude probabilmente una soddisfazione indescrivibile di chi è arrivato al picco più alto della carriera da proprietario, allorquando in quella famosa estate 2014, rilevò la “seconda squadra” di Los Angeles con cifre record, a seguito della storiaccia razzista che coinvolse Donald Sterling!

Da lì in poi problemi di budget non ce ne saranno più, vista l’attitudine del nuovo boss a non tirarsi indietro di fronte a spese anche importanti, mantenendo però arguta la lucidità nel compiere mosse ortodosse e rivoluzionarie, atte a salvaguardare il presente ma anche il futuro, come andremo a vedere.

Aggiungere Kawhi Leonard, Mvp delle ultime Finals e Paul George, candidato a miglior giocatore e difensore del 2019, ad un’ossatura solida giunta facilmente in postseason, dando filo da torcere agli ancora sani Warriors, pone i Clippers come squadra da battere.

Nell’epoca small ball, immaginarsi a fianco delle due fenomenali new entry, uno specialista in marcatura del calibro di Beverley (rinnovato a 40 milioni), un tiratore come Shamet, un giovane centro con ampi margini di miglioramento specie in difesa come Zubac ed una panchina stratosferica in atletismo (Harrell e Harkless) e capacità di colpire in transizione, col miglior sesto uomo dell’ultima tornata e tra i più forti di sempre, ci pone davanti a un capolavoro dirigenziale.

Montrezl sarà free agent nell’estate 2020 – assieme a Kyle Lowry, Draymond Green e Paul Millsap tra i più forti – e vedremo se anche lì si riuscirà a gestire per il meglio la faccenda.

I meriti odierni vanno divisi con Lawrence Frank e soprattutto Jerry West, forse il volpone numero uno delle stanze dei bottoni. Le lodi che ha tessuto a Ballmer, dichiarando come la sua sia la miglior franchigia dove abbia mai lavorato, rendono l’idea del perché abbiamo approcciato il nostro pezzo sul fatto che i Clippers rappresentino oggi un modello a cui ispirarsi.

Otto anelli da GM (due a Golden State), il premio Executive of the Year a Los Angeles e Memphis, “arrivando” a Shaq, Kobe e ricostruendo tabula rasa il Tennessee fino a giungere a 50 vittorie stagionali, sono un curriculum inarrivabile per l’ex guardia dei Lakers, interpretata da Jason Clarke nell’attesissima serie tv HBO Showtime, che ripercorrerà le gesta, sportive e non, dei gialloviola del passato.

Il consulente è stata la mente principale dietro alle “macchinose” manovre della scorsa mid season, che hanno portato oggi a dominare la free agency. In piena corsa playoffs, la trade che ha tolto dal roster di Rivers il suo miglior realizzatore (Tobias Harris), ha creato uno scossone in tutta la California, con annesse critiche, ma alla fine ciò che è rimasto è stato uno spazio salariale aumentato di una cinquantina di milioni, due primi round e due secondi da scegliere entro il 2023, una contropartita rivelatasi interessante e funzionale come Shamet, un giocatore ricco di talento – Danilo Gallinari – “libero” di agire offensivamente, giungere lo stesso in postseason ed andare in questa bollente e pazza estate NBA “all in” su Leonard e George!!

Si è giunti a queste situazione grazie agli accadimenti di fine decennio precedente, quando con gli avventi dal Draft di DeAndre Jordan e Blake Griffin, il club riuscì a costruire su di loro i propri successi, dopo anni di magra e pazientemente passati in attesa di una scintilla, fino a divenire seria contendente dell’ovest dal 2011 in poi, con Vinny Del Negro in panchina, sacrificando future pick e scambiando i profili più in voga per acquisire uomini tecnicamente al top e altri dalla personalità spiccata fuori dalla norma, come Mo Williams, Caron Butler, Chris Paul e Chauncey Billups.

Non si è vinto, come sappiamo, ma le vette NBA sono divenute prassi ricorrente per la “Lob City”, che ha conquistato appeal un po’ dappertutto, grazie pure alle frustranti prestazioni dei cugini Lakers post Kobe e all’avvento da allenatore di Doc Rivers, head coach crossover ed executive capace di adattarsi in carriera ad ogni situazione e giocatore.

Si è rivelato infatti abile sia a gestire gruppi di prime donne, caratterialmente marcati e sicuri di sé per portarli a competere e vincere, ma anche efficiente nel lavorare su roster di buona qualità innalzandone pregi al punto massimo, migliorandone tecnica e autostima, come abbiamo visto con Gilgeus-Alexander e Landry Shamet tra i giovani, e con Patrick Beverley – oggi un top defender – e Gallinari tra i veterani.

Danilo con Rivers è divenuto un all around player, che ogni volta crea occasioni offensive dal nulla. Peculiarità che beffardamente in un mondo tanto professionale quanto crudele hanno condotto il nostro migliore giocatore ad emigrare altrove, per l’ennesima volta in carriera, nel momento dove forse avrebbe potuto raccogliere i frutti di tutta una vita. Così funziona la NBA, ma divenire un pezzo pregiato nelle trade deve farci riflettere sui miglioramenti che Gallinari è arrivato ad acquisire al 13° anno negli States.

La sua cessione ai Thunder, quella dell’ex rookie e una serie di scelte al primo giro (ben 7, qualcuna ottenuta come detto in precedenti scambi), è servita per arrivare a Paul George, che assieme al free agent ex Spurs e Raptors forma il miglior dynamic duo per distanza del prossimo panorama mondiale. Due campioni in entrambe le fasi del gioco che fanno dei Clippers un team difensivamente parlando incontrastabile (11 apparizioni nell’All-Defensive se aggiungiamo quelle di Beverley) ma sulla carta anche ineguagliabile in situazioni clutch, con ben tre tenori (il terzo è Lou Williams) ai quali affidare la palla che scotta.

Il roster potrebbe essere completato con Patrick Patterson, fresco di buyout ad Oklahoma, e Jeremy Lin, che sarebbe perfetto per allungare il comparto guardie, forse l’unico un po’ risicato.

Tornare a Los Angeles evidentemente era la priorità per Leonard, come da molti (noi in primis) pronosticato dopo la lunga telenovela che lo allontanò da San Antonio per giungere in Canada, nell’unica e trionfale stagione; è anche vero che le dichiarazioni dell’algido fuoriclasse californiano lasciavano trasparire antipatia per i giallo viola, confermata anche nelle prime conferenze stampa sulla prossima e nuova avventura (“hanno solo più copertura mediatica”).

Interviste e comportamenti senza dubbio più sobri quelli dei nuovi Big2 di Doc Rivers rispetto a LeBron e AD, molto più impegnati in scatti social, numeri di maglia da spartirsi (rimandati poi dalla Nike) e proclami di vittoria.

Sta forse pure qui la differenza di immagine tra i giocatori delle due rivali, che non sono più a distanza siderale come in passato, ma rappresentano anzi due opposti fenomeni ante litteram per eccellenza, coi Lakers ad impersonare dentro e fuori dal parquet il vecchio e leggendario “showtime” di Magic & soci, e i Clippers a mostrarsi seri, misurati e concentrati negli obiettivi, arrivati dopo anni di dure frustrazioni e complessi di inferiorità.

Rinviamo sine die giudizi o pronostici su chi tra le due avrà maggior successo e soddisfazioni, anche se anagraficamente parlando la combo crack in mano a Rivers potrebbe creare una nuova dinastia nel selvaggio west per almeno 5 anni, a differenza di James, prescelto sì ma non infinito! L’unica cosa certa è che Ballmer, West e i loro ragazzi sono diventati un modello da seguire per tutto il proscenio sportivo americano.

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