Questa sera al Barker Hangar di Los Angeles si terrà l’ormai consueta serata dedicata agli NBA Awards, appuntamento nel quale da qualche anno vengono rivelati in pompa magna i premi ai migliori giocatori della stagione appena conclusa. Le nomination sono state rese note già diverse settimane fa, la nostra redazione prova ad anticipare Silver e soci nel decretare i migliori interpreti nelle rispettive categorie.

 

Rookie of the year

Candidati: DeAndre Ayton – Luka Doncic – Trae Young

Giorgio Barbareschi: Luka Doncic

Su questo premio confesso subito la mia clamorosa faziosità da tifoso (sfegatato) dei Dallas Mavericks: Doncic per me è il nuovo Messia, l’eletto successore di Dirk Nowitzki che è destinato a ricondurre i Mavs a quella terra promessa chiamata Larry O’Brian Trophy. Abbastanza superfluo quindi motivare la mia scelta con statistiche avanzate o approfondite disamine tecniche, ma se proprio devo dare una giustificazione dico che Doncic deve vincere perché Ayton in difesa è stato utile come una crema solare in un bunker e Trae Young è così brutto che non si merita di ritirare un premio, nemmeno fosse quello per il paio di orecchie più grandi del pianeta.

Max Giordan: Luka Doncic

Impossibile non votare per lo sloveno, che sebbene impegnato in una squadra (ahimè) di basso livello che lo ha consegnato presto al limbo del tanking, ha mostrato qualità clutch e visione di gioco da giocatore di alto livello. Lo stesso per ora non si può dire di Ayton, abbastanza spaesato nel gulag di Phoenix, e nemmeno di Young, che ha mostrato una bella resilienza dopo un inizio molto difficile ma il cui futuro come giocatore da primi quintetti NBA risulta ancora un po’ incerto.

Andrea Cassini: Luka Doncic

Trovo abbastanza bizzarro il “dibattito” che si è generato intorno a Doncic quest’anno. Ha esordito così bene che ha cominciato ad attirarsi un nugolo di hater, come se fosse colpa sua se a 14 anni era già un professionista mentre i pari età americani giocavano coi bambini. Di conseguenza, gli avanguardisti della critica NBA hanno cominciato a sostenere che Trae Young e persino DeAndre Ayton fossero giocatori migliori. Al netto che tutti e tre giocano in franchigie modeste e che tutti e tre hanno disputato davvero una bella annata, io magari rimanderei il giudizio: forse un domani Young e Ayton saranno davvero giocatori migliori di Doncic, ma il premio di rookie dell’anno allo sloveno è un no-brainer.

Lucio Di Loreto: Luka Doncic

Non c’è corsa qui. Doncic è entrato nella NBA come un elefante in un negozio di cristalli mostrando, oltre ad una classe eccelsa e da futuro da Hall of Famer, una solidità mentale vista a pochi giocatori ai primi anni nella Lega. Sono orgoglioso di aver seguito in più di 30 anni l’ascesa dei migliori europei nel mondo a spicchi statunitense e mi sbilancio nel dire che Luka entrerà nell’olimpo insieme a Drazen e Dirk come uno dei tre giocatori europei più forti di tutti i tempi.

 

 

Sixth Man Award

Candidati: Montrezl Harrell – Domantas Sabonis – Lou Williams

Giorgio Barbareschi: Montrezl Harrell

Sabonis mi ha praticamente fatto vincere il fantabasket e Lou Williams forse lo meriterebbe più del suo compagno di squadra ma di questi premi ne ha già vinti due, quindi mi piacerebbe che venissero premiate l’energia e la determinazione che Harrell sprigiona in ogni minuto che passa sul parquet. La second unit è stata, assieme alla grande stagione del Gallo, il segreto di Pulcinella della grande stagione dei Clippers, con i due sono sotto contratto per la prossima stagione ad una spesa complessiva di 14 milioni. Letteralmente un furto!

Max Giordan: Lou Williams

Se Harrell è sicuramente il nome nuovo uscito dall’ultima stagione, Lou Williams rappresenta l’usato sicuro, quel giocatorino che vorresti sempre avere dalla panchina per portare punti rapidi, esperienza e tonnellate di clutchness nei minuti finali del quarto periodo. Difficile dire in percentuale quanto possa essere stato importante per i Clippers quest’anno, per me più di Harrell e più anche di Gallinari. Mostruoso!

Andrea Cassini: Montrezl Harrell

Mi piacerebbe vedere il premio in mano a un nome nuovo, e in un certo senso credo che Harrell rappresenti la quintessenza della spettacolare cavalcata dei Clippers. Se sono arrivati a strappare due partite agli Warriors con una squadra scalcinata, è stato principalmente grazie a una grande cattiveria agonistica (si può dire o è troppo cliché?) ben esemplificata dal tignoso Beverley e dal ferocissimo Harrell, davvero uno che gioca senza coscienza ma molto molto migliorato nello “stare in campo”. Lou Williams ha certamente messo insieme cifre spettacolari, ma possiamo davvero considerarlo come un sesto uomo qualsiasi? In questi Clippers era il finalizzatore principale, protagonista di ogni quarto periodo. Sabonis bravissimo, ma gli altri due una spanna sopra.

Lucio Di Loreto: Domantas Sabonis

Scelgo Sabonis in una sfida stupenda, perché presenta in lizza tre profili che entrano e spaccano le partite in tre modi sostanzialmente diversi, sia tecnici che caratteriali. Tra la velocità e fluidità a penetrare di Lou Williams e la forza spaventosa nel pitturato di Montrezl Harris, mi sento però di preferire la maestosa classe del lituano, sia per rivalutare la stagione dei Pacers (a mio avviso seri contender a Est senza l’infortunio di Oladipo) sia per omaggiare suo padre, essendo io cresciuto a “pane e Arvydas”. Un cecchino dello short/mid range, Domantas ha da poco concluso il campionato della consacrazione migliorando ogni tipo di statistica e merita quindi ampiamente questo riconoscimento.

 

Defensive Player of the Year

Candidati: Giannis Antetokounmpo – Paul George – Rudy Gobert

Giorgio Barbareschi: Paul George

Curiosamente due dei tre candidati per il premio di miglior difensore sono anche in lizza per quello di MVP (ci starebbe bene anche un certo Kwahi), a testimonianza del valore che portano alle rispettive squadre in entrambe le metà campo. Gobert ha vinto questo premio l’anno scorso e anche in questa stagione si è confermato come ancora difensiva dei Jazz, ma vorrei premiare Paul George perché la sua stagione non merita di finire senza almeno un riconoscimento individuale. Di Giannis tranquilli che ne riparliamo più avanti.

Max Giordan: Paul George

Vorrei tanto far vincere ogni tanto un premio a Rudy Gobert -sicuramente si merita quello di giocatore più ignorato da media e addetti ai lavori- ma Paul George ha giocatore quest’anno alcuni mesi da autentico dominatore delle 2 fasi di gioco, come probabilmente neanche Kawhi Leonard. Gli acciacchi lo hanno ridimensionato nel finale di stagione, ma non si può non premiarlo proprio nella sua miglior stagione in carriera dopo tutto quello che ha passato.

Andrea Cassini: Paul George

Credo che l’esito di questo premio dipenda molto dalle sorti dell’MVP. Se dovesse andare nuovamente a James Harden, sul fronte difensivo potrebbe spuntarla il greco come meritato premio a una stagione epocale. Rimanendo su un piano più neutrale però, vado su Paul George. È un peccato che la sua annata si sia conclusa in calando e che i Thunder abbiano fatto un altro fiasco ai playoff, perché rischia di farci dimenticare come Paul George sia stato in grado di primeggiare in molte statistiche difensive (palle rubate, passaggi deviati, ma non solo), guidando una delle migliori difese della lega mentre contemporaneamente si faceva carico dell’attacco. Bello anche che sia riuscito a tirar fuori un tale gioiello in un periodo in cui la sua carriera ormai sembrava statica.

Lucio Di Loreto: Giannis Antetokounmpo

Mi sento pure qui, come per la preferenza sul rookie, di non avere dubbi. Rispetto massimo per Gobert -ormai una certezza nel panorama NBA a livello difensivo– e Paul George, nella miglior
annata della sua straordinaria carriera, ma Giannis non ha rivali. Migliorato nella gestione della foga agonistica, oltre ad essere praticamente insormontabile in penetrazione, ha saputo venire a patti con i suoi pregi stando attento a non eccedere (falli), riuscendo con velocità supersonica a contrastare transizioni, ad uscire a marcare sul perimetro e a rientrare a proteggere il ferro (10.3 rimbalzi difensivi). E’ oggi l’unico giocatore del mondo che può marcare qualunque avversario, quindi anche tra due ottimi contender scelgo Giannis tutta la vita.

 

Most Improved Player

Candidati: DeAaron Fox – D’Angelo Russell – Pascal Siakam

Giorgio Barbareschi: Pascal Siakam

Premio che se era facile da attribuire ad Aprile, figuriamoci dopo questi playoff. Fox ha fatto un ulteriore salto di qualità e ha probabilmente altri margini di crescita, D’Angelo Russel è passato da essere uno scarto dei Lakers ad All Star nello spazio di 24 mesi e in estate chiamerà un probabile max contract, ma quanto fatto da Siakam è ancora meglio. Parliamo di un giocatore che un anno fa faticava a stare in campo e si palleggiava sui piedi, mentre oggi ha chiuso da seconda punta la stagione dei Toronto Raptors campioni NBA 2019. Serve altro?

Max Giordan: DeAaron Fox

I progressi tecnici di Siakam e quelli tattici di Russell sono assolutamente rimarchevoli, ma quel che ha fatto DeAaron Fox in questa stagione è davvero impressionante: non giocasse nel gulag più gulag di tutta la NBA parleremmo di lui alla stregua del nuovo Lillard. Se i King sono rimasti per mesi nel discorso playoffs il merito in gran parte va a lui.

Andrea Cassini: Pascal Siakam

Tutte le candidature sono intriganti, e ci sarebbero altri nomi che sono rimasti fuori dalla lista, in una stagione che ha felicemento scompigliato un po’ di carte. DLo è in contract year e la sua annata col pepe al portapiume è un po’ sospetta. Per Fox forse è ancora presto e il contesto dei Kings non aiuta a valutare. Siakam invece per me ha già il premio in mano. Miglioramenti tecnici impressionanti, non solo al tiro: un anno fa era già un successo se non si palleggiava sui piedi (sì, lo so, l’ha già scritto Giorgio), ora fa i crossover in isolamento contro Embiid e Green, che ha più volte ridicolizzato nelle Finals. C’è anche tanto carattere, per fare il secondo violino di Leonard permettendo a Lowry di scendere a un ruolo per lui più comodo. Chapeau!

Lucio Di Loreto: Pascal Siakam

Tre grandi elementi, istrionici e di una classe quasi “alcolica”: sono queste le caratteristiche che mi vengono in mente per Siakam, Fox e Russell! Con loro il prezzo del biglietto vale ogni dollaro, in qualunque partita siano presenti. Ovviamente il camerunense rispetto agli altri ha un anello al dito, segno di grande continuità e di sangue freddo in partite che scottano, oltre a giocare in un team nettamente più forte di Sacramento e Brooklyn. Pascal è forse stato il principale aiuto per Kawhi Leonard, una valvola di sfogo ai numerosi raddoppi a cui è andato incontro in regular season ma soprattutto ai playoff, rispondendo sempre presente e fornendo spesso delle prestazioni eccezionali che hanno spostato inerzia e asticella per il proprio team. I punti di media a partita, le conclusioni dal campo e dalla lunetta sono tutti più che raddoppiati rispetto alla passata stagione, segno di crescita non solo tecnica ma anche a livello di personalità.

 

Coach of the Year

Candidati: Mike Budenholzer – Michael Malone – Doc Rivers

Giorgio Barbareschi: Mike Budenholzer

Curiosamente in questa classifica non figura l’allenatore della squadra vincitrice del campionato, quindi vado con chi ha vinto la regular season. Rivers e Malone hanno forse raggiunto risultati più sorprendenti rispetto alle previsioni di inizio stagione, ma il sistema messo in piedi a Milwakee da coach Bud è sembrato quasi perfetto (ok, diciamo per il 99% della stagione). Per l’esame di laurea occorrerà attendere giugno 2020, quando Giannis Antetokounmpo avrà ormai raggiunto lo stato di Super Sayan God e l’ex assistente di Popovich potrà vedere la sua creatura, free agency permettendo, raggiungere il massimo dell’efficacia.

Max Giordan: Doc Rivers

A coach Bud vanno giustamente i riflettori, e Malone ha fatto i miracoli col roster a sua disposizione in quel di Denver, ma il lavoro più sorprendente è stato sicuramente quello di Doc Rivers, che ha bissato la “sporca dozzina” di Orlando in quel di L.A. proponendo un gioco moderno e aggressivo al tempo stesso, arrivando ai playoffs nonostante la cessione di Harris ai Sixers. L’importante è che nessuno gli faccia più fare il GM, per il resto è tutta discesa.

Andrea Cassini: Mike Budenholzer

I playoff 2019 ci hanno restituito un responso interessante: i “sistemi” non funzionano come nelle aspettative. Rockets e Bucks sono arrivate corte (per Houston è il secondo anno), mentre gli adattabilissimi Raptors sono arrivati fino in fondo. Coach Bud è in effetti un coach “da sistema”, bravissimo a ricamare un piano intorno ai suoi talenti, massimizzando le seconde linee (Pat Connaughton a tratti sembrava Scottie Pippen) ed esaltando la stella del gruppo (nella definitiva esplosione di Antetokounmpo ci sono tanti meriti del coach). Ci aveva già provato con gli Hawks, ma quest’anno ha fatto ancora meglio e ha guidato i Bucks addirittura al miglior record della Lega. Su cosa occorra fare per vincere anche ai playoff ci ragioneremo (e se il premio considerasse la post-season dovremmo già averlo inviato a Nick Nurse col drone più veloce di Amazon), ma per quanto visto fino ad aprile la cavalcata dei Bucks merita ampiamente il riconoscimento.

Lucio Di Loreto: Mike Budenholzer

Tre super candidati che hanno portato a termine un lavoro eccelso. Io punto su Budenholzer, che è stato capace di trasformare ed elevare al massimo il livello e le peculiarità di ogni suo giocatore. La sua squadra ad inizio anno si presentava senza un play tradizionale, con un diamante grezzo come Giannis devastante sì ma ancora incompleto (long range e regia) ed un tiro da tre tra i meno utilizzati della Lega. Coach Bud ha invertito completamente la rotta puntando su un gioco fatto di velocità asfissiante sia in attacco che in difesa, togliendo al Greek Freak le vecchie incombenze e trasformandolo in un all around MVP nonostante i difetti pocanzi accennati (che sono comunque migliorati e migliorabili) e ribaltando completamente le statistiche al tiro da fuori della squadra. Dimenticavo: Milwaukee, oltre a vincere la stagione regolare, è arrivata a tanto così dalle Finals dove magari, con dei Warriors flagellati da infortuni e sfortuna, avrebbero rischiato di vincere un clamoroso anello!

 

Executive of the Year

Candidati: non annunciati

Giorgio Barbareschi: Masai Ujiri

Siccome per questa categoria la NBA non ha (ancora) reso disponibili le nominations, ognuno di noi dovrebbe proporre il candidato prescelto sulla base delle proprie personali valutazioni. Ma sinceramente, esiste qualcuno sul pianeta terra che non darebbe questo premio a Masai Ujiri? La trade DeRozan/Leonard, il recupero psicologico di Lowry, le scelte al draft Siakam/Anunoby/VanVleet, l’addizione di Gasol a febbraio, il cambio in panchina Casey/Nurse… Sinceramente, di cos’altro avete bisogno?

Max Giordan: Masai Ujiri

Ci vuole un coraggio da leone per cedere la stella giovane della franchigia in cambio di un giocatore fermo da un anno, musone e con parenti ingombranti, convincerlo a dare una chanche alla squadra, permettergli di riposarsi per un quarto del campionato e alla fine vincere tutte le scommesse su tutta la linea. Dopo aver vinto questo all-in, ha davanti una brillante carriera da pokerista professionista.

Andrea Cassini: Masai Ujiri

Feel good story dell’anno, vista anche la provenienza e il passato di Ujiri, vicenda da copertina che la NBA certo non si farà scappare. Da un certo punto di vista Ujiri aveva un compito facile. Toronto sembrava alla fine di un ciclo, quindi tanto valeva fare all-in su Leonard sapendo che, con una buona situazione contrattuale, sarebbero comunque atterrati in piedi. Quella scommessa l’ha vinta, ma in mezzo ci sono state anche altre mosse meno eclatanti e ugualmente importanti: la promozione di Nick Nurse, ad esempio, e il furto con scasso per portare in Canada Marc Gasol.

Lucio Di Loreto: Masai Ujiri

Il ruolo di executive in NBA penso sia il lavoro più difficile di tutto lo sport professionistico: puoi essere un re come un bidone e passare dalla gloria alla depressione in una sola stagione. Ad inizio
anno un uomo in particolare si è giocato il famoso terno al lotto con un lancio della monetina: Masaj Ujiri, lasciando partire DeRozan e convincendo in pratica a tempo (un anno) Kawhi Leonard a sbarcare in Ontario per limare i difetti di personalità di un team sempre abile ad arrivare in postseason ma altrettanto a squagliarsi sul più bello, si è preso il fardello dei tanti dubbi di un intero popolo sulla reale consistenza fisica di un campione fermo da un anno, sulla sua effettiva voglia di rimettersi in gioco e sul fatto di essere venuto qui di passaggio solo per “scappare” dai cattivi speroni in attesa della free agency 2019. Sappiamo tutti come è andata a finire e la mia preferenza va quindi a lui, un gambler che ha centrato davvero tutte le scommesse.

 

 

Most Valuable Player

Candidati: Giannis Antetokounmpo – Paul George – James Harden

Giorgio Barbareschi: Giannis Antetokounmpo

Meno di due anni fa Kobe lanciava una sfida ad Antetokounmpo: vinci l’MVP. Nonostante la dolorosa eliminazione nelle finali di Conference direi che ci siamo, perché la stagione di Giannino è stata sensazionale sotto ogni punto di vista. Tralasciando i freddi numeri, comunque impressionanti, è la sensazione di dominio assoluto sulle partite che certifica la maturazione del greco, ancora lungi dall’aver raggiunto il limite delle proprie possibilità (prossimo passo un jumper realmente affidabile, dopodichè tutto buio) ma già meritevole di ricevere il premio individuale più ambito della stagione. Con buona pace di Harden, autore di un’altra grande regular season ma già premiato lo scorso anno, e dell’ottimo Paul George.

Max Giordan: Giannis Antetokounmpo

Premio meritatissimo per un ragazzo che ne ha passate tante, troppe, prima di emergere al massimo livello possibile per un giocare di basket. L’unica cosa di umano in lui è la personalità, il carattere, la gioia di vivere per giocare: per il resto fisico, atletismo, dedizione, voglia di migliorarsi sono evidentemente sovrumane.

Andrea Cassini: Giannis Antetokounmpo

Quest’anno le quotazioni vanno davvero vicine al 50/50. Le attuali tendenze NBA, e lo stile di gioco delle due squadre gonfiano i numeri, ma al netto di questo sia la stagione di Harden (una delle migliori prestazioni realizzative di sempre) che quella di Antetokounmpo hanno infranto dei record. Se da un lato è vero che confermarsi ad altissimi livelli è estremamente difficile, in questo caso premierei invece la novità del greco e dei suoi miglioramenti, considerando anche che i Bucks hanno dominato la regular season dal primo all’ultimo giorno mentre i Rockets hanno faticato più del dovuto.

Lucio Di Loreto: Giannis Antetokounmpo

Sfida stupenda e davvero vicina alla patta. Tre campionati pazzeschi per i tre candidati, forse i migliori di sempre sia per il greco, per il barba e soprattutto per PG-13. Io scelgo ancora una volta Giannis Antetokounpo, perché mi ha convinto di più per forza caratteriale nelle partite che contano (rispetto a​ George) e per il modo di difendere, approcciare coi compagni ed essere un leader di squadra (rispetto ad Harden). Le medie a partita di quasi 28 punti, oltre 12 rimbalzi, e circa 6 assist giustificano comunque la mia scelta, qualora ce ne fosse bisogno, anche dal punto di vista statistico.

 

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