Non è ancora ufficiale ma gli Spurs andranno quasi certamente ai playoff per la ventiduesima annata consecutiva!! Detta così potrebbe non sembrare una notizia interessante o sorprendente ma invece la possiamo definire un’impresa seconda solo agli anelli che hanno portato a casa in questi anni.

Se retrocediamo di qualche mese e resettiamo la memoria attuale, ricordiamo infatti come un giusto scetticismo aleggiava nell’aria dalle parti di Alamo, dovuto alla fine dell’epoca Big Three, all’addio di Leonard, alle polemiche verso Gm e dirigenza per una gestione spropositata dei contratti di veterani a roster (Mills e Gasol su tutti) e di nuovi arrivi di livello non eccelso, all’infortunio di Dejounte Murray (il giovane da cui ripartire) fino alla possibile conclusione della storia d’amore tra uno dei più grandi allenatori di sempre e la sua creatura più bella.

Invece ci troviamo ancora una volta a celebrare la franchigia migliore della storia nel sapersi “arrangiare” a ogni tipo di sventura e cambiamento, riuscendo a modificare all’occorrenza persino il suo vestito più famoso per indossarne un altro: la storica “linea Maginot” difensiva, veloce ad attaccare e proteggere ogni lato del parquet non c’è infatti più, è stata sostituita da un team moderno al passo coi tempi, che non disdegna assolutamente nemmeno le soluzioni da tre, cioè quelle che secondo Popovich hanno distrutto il gioco più bello del mondo.

I tre tenori Aldridge, Gay e DeRozan sono arrivati oggi, dopo la gavetta iniziale, a convivere perfettamente a livello offensivo, col primo a gravitare dal solito post, il secondo a crearsi isolamenti e il terzo a generare situazioni dal nulla.

A dar loro manforte sono arrivati Forbes, due sorprendenti tiratori da fuori come Belinelli (ormai “elemento da Spurs”) e Bertans – vere e proprie rivelazioni che permettono fra l’altro alla second unit di essere tra le più prolifiche e decisive per forza, freschezza ed energia – ed il vecchio Mills, che oltre a spingere forte in transizione, si trova insieme ai nomi già citati e lo stesso Rudy (42% da tre) a performare al tiro con delle percentuali altissime.

Quel che sorprende maggiormente e che probabilmente ha fatto la differenza è stato il seguito al difficile e ovvio start di stagione. La rivoluzione estiva, sia a livello di uomini che sullo stile di gioco, è stata traumatica specie nel settore difensivo; passare da Leonard – una sorta di trade union tra i vecchi schemi dei Big 3 e i nuovi canoni NBA – e Green a un solista spettacolare ma troppo anarchico come DeRozan ha richiesto molto tempo, qualche sconfitta di troppo e una posizione tra le ultime per efficienza difensiva (114 pts per game).

Sono però stati i mesi di Dicembre e Gennaio quelli decisivi per aver portato Pop e soci ad acquisire nuovi punti di riferimento rispetto al passato: un break di 19-12 e soprattutto un gioco più fluido nella fase offensiva, più isolamenti e uno contro uno, una rotazione fatta di ottimi tiratori da fuori da alternare alle classiche transizioni di Gay (lodevole la sua stagione sia da 3 e da 4 che come sesto uomo), agli step back di Aldridge e all’incontrastabile mid range shot di DeRozan (forse il migliore nell’intero panorama), accantonando umilmente i ferrei, schematici e storici diktat difensivi del passato, che forse non vedremo mai più!

Il risultato oggi è quello di avere un team con molte variazioni in attacco, ancora forte nel pressing difensivo magari non più per 48 minuti ma almeno nei momenti decisivi (chiedere a Denver, Blazers, Thunder, Warriors e Celtics domenica sera), con le statistiche a sorridere dalla pausa dell’ All Star Game in poi, dalla panchina lunga e prolifica, ostico da affrontare per chiunque e che dalle difficoltà e assenze stagionali si ritrova ad aver visto sbocciare una nuova point guard sulla quale programmare un futuro più roseo di quello previsto.

Derrick White, intelligente e abile nella mobilità, si è dimostrato un eccellente difensore contro ogni tipo di avversario e freddo a “scovare” qualunque soluzione offensiva, come un veterano: il prototipo di giocatore alla Pop!!

Inoltre in postseason la classica atmosfera casalinga fa sempre impressione e il fantasma di “quei tre” aleggia sempre nell’At & T Center magari sotto forma di pipistrello.

Certo il realismo di chi scrive (nato a pane e speroni) collima certamente con quello del vecchio saggio in panca e quindi non ci vuole molto ad ammettere l’enorme differenza che traspare con Houston e Golden State, franchigie inarrivabili al meglio delle cinque o sette gare, mentre con chiunque altro siamo sicuri la sfida sarebbe aperta.

Sfiorare le 50 vittorie (difficile ad oggi agguantarle) e superare anche un turno ad eliminazione diretta sarebbe la ciliegina sulla torta di questo anno, un altro traguardo da esibire con fierezza ed onore.

Beli e compagni hanno ora il compito di chiudere al meglio il calendario che vede tra le mura amiche quattro scontri sulla carta facili (Cavs, Kings, Hawks, Mavs) e fuori, a parte i lanciatissimi Nuggets, gli Hornets, Wizards e Cleveland stessa.

L’imperativo è monetizzare al massimo per guadagnare qualche step in classifica – tra Portland quarta e San Antonio ottava sono all’incirca solo tre i match di distanza – utile per guadagnare il vantaggio casalingo ed evitare un quarto di finale coi campioni in carica o con i loro più temibili avversari di Houston!

Il vecchio stregone sempre pronto a stupirci avrà sicuramente in serbo qualche altro scherzetto da riversare verso chi si farà di fronte a lui e ai suoi ragazzi. Una delle poche certezze della vita è che gli Spurs non muoiono mai!!

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