Dopo la settimana di pausa per l’All Star Game e per Andrea, volato a Los Angeles per ricevere il nostro meritato Oscar come Miglior Rubrica di Scempiaggini sul Basket e che vi ha riproposto una collezione delle migliori notizie raccontate fino ad oggi, devo rimboccarmi per bene le maniche perché di cose in questa settimana NBA ne sono successe a vagonate, a partire dall’implosione di Lakers e Celtics fino al grande ritorno della Kardashian Curse. Quindi sbrighiamoci a cominciare perché ho la pentola sul fuoco tra un po’ mi scuoce la pasta.

LUNEDI 25 FEBBRAIO – DOC PAYS TRIBUTE

Per dovere di cronaca cominciamo la settimana riportandovi la fine della striscia di partite consecutive da 30+ punti per James Harden. Il Barba si è fermato ad un deprimente 28 (che sembra il voto dato da un professore universitario un po’ bastardo) e la sua streak si ferma quindi a quota 32, numero comunque buono per sedersi tête-à-tête al tavolo di Zio Wilt a disquisire su come si vincano le partite giocando 1 vs 5.

Siccome di LeBron e della telenovela “Anche i Lakers piangono” avremo tempo di parlare più avanti, la giornata di oggi la dedichiamo al gesto che Doc Rivers ha dedicato ad uno dei più grandi giocatori della nostra epoca. Nella partita dei suoi Los Angeles Clippers contro i Dallas Mavericks, sul punteggio di 121 a 112 a circa 9 secondi dalla fine coach Rivers ha chiamato un timeout che ricorderemo per lungo tempo.

Subito dopo il fischio dell’arbitro che interrompeva la partita Doc si è avvicinato al bancone dei segnapunti, ha preso il microfono e ha invitato il pubblico dello Staples Center a tributare una standing ovation a Dirk Nowitzki, da lui definito “One of the greatest of all time”. Dirk ha ringraziato Rivers e i tifosi e non è riuscito a nascondere la sua commozione per un gesto davvero bello da parte di uno degli allenatori più classy in circolazione.

Io comunque spero ancora che Dirk ci ripensi… :,-(

 

MARTEDI 26 FEBBRAIO – THE BIG ONE

Eccoci come promesso a parlare di quel fantastico carrozzone da circo che sono i Los Angeles Lakers. Che LeBron sarebbe stato un filo infastidito dai risultati negativi di quest’ultimo periodo non era nemmeno quotato, così come era chiaro che lo spogliatoio non si sarebbe esattamente rinsaldato dopo che alla trade deadline tutti i giocatori avevano realizzato di essere soltanto corpi caldi da sacrificare sull’altare del nuovo messia Anthony Davis.

Tutto vero, ma quando Sua Maestà ha dichiarato di essere entrato anticipatamente in Playoff Mode più o meno tutti abbiamo pensato che il suo solo sforzo sarebbe stato sufficiente a trascinare i Lakers alla postseason, che LeBron in pratica gioca ininterrottamente da quando ha cominciato a mettere i primi dentini da latte. Ma vuoi il fatto che LBJ non veste più la confortevole pantofola della Eastern Conference, vuoi che i compagni magari stavolta si sono scazzati davvero o vuoi perché forse finalmente lo stesso James sta diventando meno dominante di un tempo, l’annunciato cambio di passo dei Lakers non è avvenuto.

Anzi, tolta una quality win contro i Rockets i Lakers sono incappati in due sanguinose sconfitte contro Pelicans e Grizzlies, squadre già ampiamente fuori dalla lotta per i playoff e che avrebbero dovuto svolgere il ruolo di vittime sacrificali. Inoltre, nella partita contro Memphis James ha messo in scena una tragicomica pantomima di difesa che definire imbarazzante è dir poco. Un vero e proprio sciopero bianco, forse dimostrativo o forse punitivo (ma per chi? Boh), che getta luci molto oscure sul futuro prossimo della franchigia gialloviola e, parere personale, anche sulle doti di leadership del suddetto James all’interno di questo gruppo.

Dopo la sconfitta contro i Grizzlies ha dichiarato: “If you’re still allowing distractions to affect the way you play, this is the wrong franchise to be a part of”. Ottimo, questo contribuirà di certo a rasserenare gli animi di tutti… Ad aggiungere, semmai ce ne fosse stato bisogno, ulteriore pepe alla vicenda ci ha pensato anche un sibillino Kyle Kuzma, che ha retwittato un video contenente un paio di triple vincenti di Kobe Bryant nelle Finals del 2010 accompagnandolo con un sintetico “Though”. Messaggio subliminale al Re? Semplice coincidenza? Chissà, con i Lakers tutto è possibile.

Ecco, diciamo che si sono viste difese migliori perfino in CSI Over 50

 

MERCOLEDI 27 FEBBRAIO – WADE CALLED GAME (AGAIN)

Nel diluvio di partite disputate nella notte (11) ci sono stati tre tiri, tutti dall’arco, meritevoli di una particolare attenzione.

Con il primo tiro James Harden ha interrotto una serie di 22 (!) errori consecutivi dalla linea dei sette metri e venticinque. Il Barba probabilmente sta tirando un po’ il fiato dopo la mostruosa serie di partite oltre quota 30 con cui ha mantenuto in linea di galleggiamento i suoi Rockets nonostante la contemporanea assenza di Chris Paul e Clint Capela.

Con il secondo tiro (scagliato in fade away su una gamba sola) LeBron James ha sigillato la preziosa vittoria dei Lakers contro dei combattivi New Orleans Pelicans, che stavano per ripetere lo scherzetto combinato a Re e compagni soltanto qualche giorno fa. Questa doppiavu non risolve certo i sopracitati problemi degli angelini, ma almeno consente di mantenere aperte le possibilità di agguantare il treno playoff (anche se leggendo più sotto…).

Con il terzo e ultimo tiro Dwyane Wade, ribattezzato con una geniale crasi “Wayne” da un autorevole (vabbè) giornale sportivo italiano, ha invece vinto sul suono della sirena la partita dei suoi Miami Heat contro i Golden State Warriors. Il tassametro di Wade segna 37 anni, ha moltissimi chilometri all’attivo ma sta disputando un’ottima ultima stagione e il tiro di stanotte finirà senza alcun dubbio a completare la bacheca delle memorie di uno dei più forti giocatori degli ultimi due decenni.

The bank is ooooooopen!

 

GIOVEDI 28 FEBBRAIO – THE OTHER ONE

Ok, evidentemente James Harden non era poi così stanco… Nella notte tra mercoledì la barba più pericolosa del West ha infatti piazzato il suo sesto cinquantello stagionale, poco meno di quelli complessivamente realizzati da tutti gli altri giocatori della Lega messi assieme (per la precisione otto: Walker, James, Rose, Griffin, Thompson, Durant, Curry e Aldridge). Sono stati 58, accompagnati da 10 assist e 7 rimbalzi, i punti messi a segno dalla guardia dei Rockets, vittoriosi per 121 a 118 sul parquet dei Miami Heat e all’inseguimento della terza posizione ad Ovest attualmente co-presieduta da Thunder e Blazers.

Ma siccome delle disumani prestazioni di Harden abbiamo già parlato alla nausea, ci spostiamo immediatamente a parlare dei dolori di un’altra blasonata squadra in difficoltà. Un vecchio detto recita: “Se Atene piange, Sparta non ride”, che è più o meno la situazione vissuta al momento dalle due squadre più storiche della NBA. Se dei dolori dei Lakers vi ho scritto infatti poco più sopra, anche a Boston le cose non è che stiano andando proprio alla grande.

I Celtics sono ben più avanti dei cugini nella griglia della loro Conference e sono saldamente già in possesso di un biglietto virtuale per la postseason, ma il loro momento non è assolutamente dei migliori. Con il 97 a 92 con cui i Blazers hanno sbancato ieri notte il Boston Garden Irving e soci sono arrivati alla quarta sconfitte consecutiva, sei referti gialli nelle ultime otto partite disputate e una ricca compilation di malumori interni, a turno pubblicamente esplicitati da vari membri dello spogliatoio, tutti fattori che contribuiscono a gettare una pesante ombra sulle speranze di raggiungere gli obiettivi di grandezza a cui quasi tutti li credevano destinati.

La formazione di Brad Stevens viene ancora additata da molti addetti ai lavori come la favorita tecnica per vincere l’Est, ma ci sono segnali sempre più preoccupanti di una possibile implosione. In particolare la batosta subita martedì notte dai Raptors non depone a favore dell’ottimismo dei tifosi biancoverdi, che iniziano a temere anche per pesanti stravolgimenti nella prossima estate. Kyrie Irving vive infatti una situazione complicata: è indiscutibilmente il miglior giocatore del roster, ma i suoi tentativi di prendere le redini emotive del gruppo sono al momento naufragati miseramente. Così, se fino a poco tempo fa le promesse d’amore eterno di Uncle Drew alla città sembravano scolpite nella roccia, oggi la possibilità di vederlo svuotare l’armadietto a fine stagione per dirigersi in direzione del Madison Square Garden (o comunque di un’altra destinazione) appare molto più concreta.

Tutto dipenderà da quanto avanti i Celtics riusciranno ad andare nei prossimi playoff. Se i giocatori riuscissero a ritrovare la necessaria armonia (in campo e fuori) per raggiungere quantomeno la finale di Conference allora è probabile che Irving possa rimanere in città e Ainge potrà preparare un pacchetto di giocatori e scelte in grado di convincere i Pelicans a recapitare Anthony Davis sul parquet incrociato del Boston Garden. Se viceversa dovesse arrivare una clamorosa uscita al primo o al secondo turno ecco che la partenza di Irving potrebbe generare un effetto domino in grado di stravolgere i piani futuri della dirigenza biancoverde.

Certo che queste statistiche non depongono particolarmente a favore di un protrarsi della convivenza

 

VENERDI 01 MARZO – OVERTIME POKER

“Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior” Così cantava l’immortale Fabrizio De Andrè in Via del Campo, IMHO la sua canzone più bella in assoluto. Trasportato nella NBA questo verso trova riscontro in quello che è successo nella partita tra gli Atlanta Hawks e i Chicago Bulls, una gara tra due delle peggiori squadre della Lega in termini di record che si è invece rivelata una delle più divertenti della stagione.

Ben quattro gli overtime che sono stati necessari ai tori per incornare le aquile, per un risultato finale di 168 a 161 che non cambia certo nulla in termini di posizioni di classifica per entrambe le formazioni ma che di certo ha saputo intrattenere gli spettatori della Philps Arena. Lo scontro nello scontro è stato quello tra Zach Lavine e Trae Young, capaci di sfoderare la miglior prestazione stagionale (47/9/9 per la guardia dei Bulls e 49/8/16 per il rookie degli Hawks) in un duello rusticano in cui entrambi hanno dato fondo a tutte le loro energie.

LaVine sta giocando senza dubbio la stagione migliore della sua giovane carriera. In un’edizione dei Bulls decisamente triste in termini di risultati (18 vinte e 46 perse,  terzultimo posto della Eastern Conference), l’ex UCLA viaggia a 23.6 punti di media conditi da 4.7 e 4.6 rimbalzi, cifre di assoluto rispetto che però Zach dovrà dimostrare di saper mantenere anche in contesti futuri (si spera) più competitivi per la sua franchigia.

Per quanto riguarda invece Trae Young, il play da Oklahoma ha decisamente cambiato marcia da Gennaio in avanti, elevando sia il suo rendimento in termini complessivi (siamo ad oltre 23 punti di media nel nuovo anno solare) che di percentuali (il tiro da tre è passato dal triste 19.8% di Novembre ad un clamoroso 43.7% a Febbraio). Anche qui il contesto non è particolarmente competitivo (gli Hawks con 22 vittorie e 42 sconfitte sono appena un gradino più sopra rispetto ai Bulls) ma l’esplosione di Young è tutta lì da vedere e ora suonano un po’ meno come “spacconerie” le dichiarazioni dello stesso Trae in diceva di ritenersi nel medio-lungo periodo “un giocatore più forte rispetto a Luka Doncic”. Vedremo, di certo il folletto degli Hawks sta ampiamente dimostrando di avere ciò che serve per giocare da protagonista anche in questa Lega.

Pensate che il boss Max Giordan li ha entrambi a roster nel fantabasket. Che cool!

 

SABATO 02 MARZO – WHAT DO YOU MEAN WITH “7SOME”?

In barba alle partite che hanno allietato il sabato notte NBA (just for the records: i Lakers hanno perso ancora, stavolta da Phoenix Suns, e LeBron ormai è più nervoso di Jack Torrence in Shining) oggi è il giorno per tirare finalmente fuori dal cilindro quello che è senza dubbio l’argomento preferito da entrambi i redattori di questa rubrica: la Kardashian Curse. Per un riepilogo delle precedenti puntati potete andare a scartabellare in archivio, ma per i più pigri il succo è che alle sorelle Kardashian piacciono (parecchio) i giocatori di basket. La cosa di per sé non sarebbe un problema, il fatto è che qualunque cosa le sorellone tocchino si trasforma in breve tempo in materia fecale, per lo meno cestisticamente parlando.

Solo un rapido allontanamento dalla zona d’influenza di queste kryptogorgoni può porre rimedio agli influssi negativi e permettere una più o meno indolore ripresa della carriera (James Harden, Blake Griffin) ma l’esposizione prolungata è causa sicura di crolli verticali delle prestazioni sul parquet (Kris Humphries, Rashad McCants, Jordan Clarkson) o di veri e propri meltdown psico-fisici (Lamar Odom, Chandler Parsons).

Al momento il malefico influsso di queste portatrici di iattura è attivo su due giocatori: Tristan Thompson e Ben Simmons. L’ala/centro dei Cleveland Cavaliers, titolare di una lunga seppur turbolenta relazione con Kloè Kardashian, è ai box per i postumi di infortunio al piede che lo sta tenendo fuori dai campi di gioco da oltre due mesi. Al momento sembra improbabile un suo ritorno in questa stagione, ma lui non sembra particolarmente preoccupato. Recenti notizie lo danno partecipante attivo non agli allenamenti bensì ad un curioso “7some” con sei imprecisate modelle in una camera d’albergo di LA. Probabile che Kloè abbia gradito il giusto, ma nemmeno la dirigenza dei Cavs crediamo stia scoppiando particolarmente di gioia.

Ben Simmons è invece attualmente accoppiato con Kendall Jenner (sorellastra Kardashian), sicuramente la più avvenente del lotto ma che sta causando una preoccupante involuzione nello sviluppo tecnico dell’All Star dei Sixers. Simmons è fermo più o meno sulle medie dello scorso anno e la perdurante assenza di un credibile jumpshot sta cominciando a causare parecchi problemi di spacing all’attacco di Philadelphia, nonché (pare) qualche frizione con le altre star della sua squadra. Qualche settimana fa il suo nome è stato accostato ad una possibile proposta di trade per arrivare a Davis e per la prima volta sembra che Simmons possa non essere più uno dei punti fermi nel futuro della franchigia. Riuscirà Ben a liberarsi della terribile maledizione per proseguire la sua crescita professionale o finirà molti altri in una spirale autodistruttiva fino a diventare un novello Michael Carter Williams? Lo scopriremo nelle prossime puntate.

Voi pensate che i giocatori stiano lontani da Simmons perché non sa tirare, in realtà hanno paura di venire contagiati dalla Kardashian Curse

 

DOMENICA 03 MARZO – ALL TIME MVP

Chiudiamo la settimana con la nostra personale standing ovation per quanto fatto dalla leggenda di Bucks e Lakers Kareem Abdul Jabbar. L’ormai 71enne Hall of Famer si è reso infatti protagonista di un clamoroso gesto di generosità, decidendo di mettere all’asta ben 234 dei suoi cimeli sportivi tra i quali addirittura quattro anelli di campione NBA e tre titoli di MVP. Il ricavato, circa 3 milioni di dollari, verrà interamente devoluto alla sua Skyhook Foundation che si occupa di aiutare i bambini disagiati nel loro percorso di studi.

Un gesto incredibile da parte di un uomo incredibile, sia sul campo che fuori. Grazie davvero Kareem, da parte dell’intera redazione di Play.it USA.

Se nel ci fossero più persone come KAJ il mondo sarebbe indubbiamente un posto migliore

 

Anche per questa settimana è tutto gente, giusto il tempo di mettere l’Oscar sul comodino e 7for7 torna tra sette giorni con il buon Andrea in regia! Jorghes out.

3 thoughts on “7for7 La Settimana in NBA (Ep. 2×19)

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