Durante la prima metà della stagione i Celtics non hanno decisamente giocato all’altezza delle aspettative – enormi – di inizio campionato.

Sia a livello locale che nazionale, anche gli esperti più blasonati fanno fatica a decifrare questa squadra ed a mettere nero su bianco quali siano i problemi problemi e le possibili soluzioni.

I Celtics si ritrovano attualmente con un record di 30 vittorie e 19 sconfitte, il che li colloca al quinto posto nella Eastern Conference, dietro a Milwaukee, Toronto, Indiana e Philly. La stagione finora è stata un’altalena continua, in cui serie positive – la più lunga di 8 vittorie consecutive ad inizio Dicembre – si alternavano a serie negative soprattutto contro squadre molto più deboli, almeno sulla carta.

Ne sono un esempio le 3 sconfitte consecutive contro Utah, Charlotte e New York subito prima del giorno del ringraziamento o le più recenti 3 sconfitte back-to-back-to-back contro Miami, Orlando e Brooklyn.

Durante alcune di queste serie negative, abbiamo visto Irving parlare con il reporter di turno puntando il dito verso i giocatori più “giovani” – vedi Brown, Tatum e Rozier. Abbiamo anche assistito ad un video amatoriale che mostrava Marcus Morris spintonare Brown durante un timeout.

In generale, sembra esserci una divisione nello spogliatoio tra “veterani” e “giovani”. Questi problemi di spogliatoio sono il sintomo dell’andamento altalenante dei Green di Boston: resta da capire quali siano le ragioni che ci hanno portato a questo punto.

I Veterani

Kyrie Irving sta giocando la miglior stagione della sua carriera. In 43 partite disputate, ha riportato una media di 23.7 punti, 6.9 assist, con una percentuale del 49.9% di tiro dal campo e del 41.2% dai tre punti. Statistiche a parte, Kyrie è un portento contro avversari elite e nei minuti finali della partita, quando il canestro diventa minuscolo. Ad esempio, contro Toronto lo scorso 16 Gennaio ha messo a segno una performance memorabile, con 18 assist – mai prima nella sua carriera – e 27 punti, molti dei quali in “crunch time” – negli ultimi minuti, quando Toronto era in vantaggio. Memorabile il “dagger” dalla lunghissima distanza a 1:39 dalla fine che coglie Kawhi Leonard distratto e che sancisce la vittoria di Boston.

Kyrie è un fenomeno, è veramente un piacere vederlo giocare. Semplicemente, ha il dribbling migliore dell’NBA e riesce ad andare a canestro ed appoggiarla ad effetto sul tabellone contro chiunque. La presenza di Kyrie Irving ha trasformato i Celtics in una squadra che può competere per il titolo finale.

I problemi di Irving sono nello spogliatoio e nel suo ruolo di leader. Inoltre, tende ad essere molto aperto e loquace nelle interviste del dopo-partita, il che a volte provoca ulteriori dibattiti sia con i media che nello spogliatoio.

Dopo l’imbarazzante sconfitta contro Orlando, Irving parla esplicitamente di mancanza di esperienza, mancanza di “effort”, ovvero quella voglia di cercare sempre la giocata migliore, piuttosto che la giocata più facile, o più semplicemente la voglia di rientrare in difesa dopo un “turn-over” in fase offensiva.

Kyrie parla anche della differenza tra la squadra di Pierce e Garnett e la squadra di quest’anno: ci dice che i campioni della stagione 2007/2008 erano un gruppo di giocatori “on their last leg”, ovvero vicini alla fine nella carriera, che non avevano mai vinto un campionato e che erano consapevoli che quella era una delle ultime occasioni per arrivare a tale traguardo. La squadra di oggi al contrario, è fatta di giovani che hanno una lunga carriera di fronte e che pensano ad emergere individualmente piuttosto che contribuire all’obiettivo finale.

In quella partita contro Orlando, Kyrie é visibilmente infuriato con Hayward per aver affrettato il passaggio per Tatum negli ultimi secondi costringendolo ad un fade-away jumper veramente difficile quando c’era Horford che si era liberato ed era pronto allo screen.

C’e da dire che Kyrie, per quanto possa essere ancora acerbo nel ruolo di leader, sta rispondendo alla grande sul campo da gioco. Dopo la sconfitta contro Orlando, salta la partita contro Brooklyn – persa anche quella in maniera imbarazzante – ed ha una performance sontuosa contro Toronto.

Nel dopo-partita, Irving si sofferma di nuovo sul suo ruolo di leader in questi Celtics e ci regala una perla, dicendo che dopo la partita contro Orlando, ha chiamato “Bron” per scusarsi del suo comportamento da “giocatore giovane e immaturo”, sottointendendo come ora si trovi nel ruolo di leader ed alle prese con giovani talenti che non vedevano la “big picture”. Nella stessa intervista, Kyrie si scusa anche con Jaylen Brown dicendo che sarebbe stato meglio evitare di parlare di certi problemi di fronte ai microfoni e tenere certe conversazioni all’interno dello spogliatoio.

Personalmente, credo che Irving debba evitare di parlare troppo in queste interviste a caldo. Ascoltando le interviste nella sua interezza, la mia impressione è che le intenzioni sono buone e non c’è malizia o doppio fine. Tuttavia, così facendo, si apre la porta a facili manipolazioni – ad esempio riportare solamente alcune frasi fuori dal contesto – che possono causare ulteriori problemi nello spogliatoio o interminabili discussioni nel circo mediatico.

Un altro veterano che si è fatto notare in questa prima metà di stagione è Marcus Morris. Iniziata la stagione in panchina, Morris è riuscito a rientrare nel quintetto titolare verso la fine di Novembre quando coach Brad Stevens decide di rimescolare le carte.

Morris ha finora giocato la sua migliore stagione, con una media di 14.6 punti a partita ed una media di 42.2% dai tre punti. Fino ad un paio di settimane fa Morris era oltre il 50% da dietro l’arco – è probabile che parteciperà nella gara dei tiri da 3 punti durante l’All-Star weekend. Morris è anche una garanzia in fase difensiva, sempre pronto a dare il massimo “effort”. Morris finora ha riportato una media di 6 rimbalzi a partita, rimbalzi tutti necessari in una rosa non proprio di giganti.

Marcus Morris è un altro dei veterani in difficoltà nel gestire i giovani talenti in squadra. Durante la partita contro Miami del 10 Gennaio, un tifoso ha ripreso Morris spintonare Brown durante un timeout. Il fatto accadeva poco dopo che Morris sul campo aveva “rimproverato” Jaylen Brown per non essere rientrato velocemente in difesa dopo una palla persa in attacco. Un altro esempio di come i giovani talenti dei Celtics siano piuttosto restii nel fare il “lavoro sporco” sul campo e sacrificarsi per il bene ultimo della squadra.

C’è da dire che Morris quest’anno ha raggiunto un livello che in pochi si aspettavano. Il suo contratto scadrà a fine stagione, ed è altamente improbabile che rimarrà a Boston: considerando la performance attuale infatti, Morris aspirerà legittimamente ad un contratto di almeno 15 milioni l’anno, una cifra infattibile per Danny Ainge vista la situazione salariale attuale dei Celtics.

Nonostante la sua giovane età – 24 anni -, Marcus Smart rientra a pieno titolo nel gruppo dei veterani dei Celtics. Smart è diventato un pilastro di questa squadra, e dopo il rinnovo contrattuale durante l’estate, non ha più l’urgenza di giocare con lo scopo aumentare le proprie stats.

Al contrario, il ruolo di Smart è sempre più quello di leader vocale in campo, in grado di richiamare all’ordine i propri compagni in fase difensiva, di fare il lavoro sporco, capace di generare turnovers in fase difensiva e convertirli in punti facili con passaggi precisi. Brad Stevens lo ha inserito nel quintetto titolare con lo scopo primario di dare solidità difensiva alla squadra nel primo quarto, durante il quale in troppe occasioni ad inizio stagione i Green si sono ritrovati sotto in doppia cifra.

Al Horford ha vissuto una prima metà di stagione piuttosto altalenante. Horford ha 32 anni e si vedono tutti: ha infatti dovuto saltare finora 10 partite per un “dolore al ginocchio” non dovuto ad un infortunio specifico. Anche quando in campo, Horford a tratti fa fatica – lo si nota soprattutto in fase difensiva – in cui ha avuto una media appena 4.8 rimbalzi a partita, decisamente troppo pochi per un “center” degno di questo nome.

In attacco, a sprazzi è ancora il solito Horford, un giocatore di grande intelligenza e acume tattico, capace di prevedere i movimenti avversari e di effettuare il passaggio giusto al momento giusto.

La speranza è che Stevens stia dosando Horford durante la stagione per poterlo avere al picco di forma nei playoffs.

La nota dolente del pacchetto dei veterani è senza dubbio Gordon Hayward, ritornato ai campi da gioco dopo aver subito un grave infortunio alla caviglia la scorsa stagione. Semplicemente, Hayward non è neanche lontanamente ai livelli pre-infortunio.

Alcuni addetti ai lavori – che personalmente mi trovano d’accordo – indicano Hayward come la causa più importante dell’andamento altalenante dei Celtics. In campo prima di tutto: Hayward è lento, spesso insicuro se passare o tentare l’azione personale, e decisamente un problema in fase difensiva. Troppo spesso infatti, l’avversario di turno riesce a superarlo con facilità estrema in fase di dribbling, riuscendo ad andare facilmente a canestro.

Tuttavia, i problemi maggiori li sta causando nello spogliatoio. Hayward infatti sembra esser visto dai compagni più giovani come il “cocco” dell’allenatore. Ricordiamo infatti che il rapporto tra Stevens e Hayward risale ai tempi di Butler, quando i due si ritrovarono nei “Final Four” del March Madness. Stevens ha forzato il ritorno di Hayward, inserendolo nel quintetto titolare durante i primi due mesi della stagione, spostandolo poi in panchina per far spazio a Morris e Smart.

Anche partendo dalla panchina, Hayward ha continuato a ricevere minuti di gioco importanti. E’ difficile aspettarsi il massimo impegno da giocatori di 20 e 22 anni come Tatum e Brown, predicando che i minuti in campo vanno “meritati” quando Hayward – nella condizione di forma attuale – si ritrova a giocare oltre 26 minuti a partita.

Ricordiamo che Hayward ha firmato nell’estate del 2017 un contratto “max” di 4 anni – è tuttora il sesto giocatore più pagato della NBA – il che lo rende praticamente incedibile. Purtroppo i Celtics non possono fare altro che sperare che Hayward ritorni ad un livello di forma quanto meno accettabile.

Ad un certo punto – qualora le cose non cambiassero – Stevens sarà costretto a ridurre significativamente il suo ruolo, soprattutto se la squadra avrà bisogno di vittorie in ottica seeding durante i playoffs.

I Giovani

Jayson Tatum è tutt’ora il giocatore più attivo – 31.1 minuti a partita – e prolifico dopo Kyrie Irving. Tatum in queste prime 48 partite ha riportato una media 16.4 punti e 6.2 rimbalzi a partita ed è titolare inamovibile di questi Celtics. Le aspettative per il 20-enne Tatum sono altissime ed il giovane talento non è immune da critiche. In primis, la fase difensiva, in cui l’avversario di turno riesce a superarlo con troppa facilità, concedendo troppi layups.

Anche in attacco, Tatum deve lavorare sulla sua capacità di decidere quando passare la palla, quando andare a canestro o quando andare nell’uno contro uno. Troppo spesso infatti Tatum si è adagiato sul semplice dribbling-pull up jumper.

Tatum ha le doti fisiche ed l’abilità di segnare con il suo fade-away jumper: resta il fatto che sono tiri difficili con bassa percentuale di successo, un atteggiamento più paziente in fase offensiva sarebbe più opportuno, soprattutto nelle fasi iniziali della partita, in cui troppo spesso i Celtics si sono trovati sotto in doppia cifra. Resta il fatto che Tatum è il giocatore più importante dopo Kyrie Irving ed anche il giovane meno coinvolto in queste discussioni continue tra giovani e veterani.

Si può dire che Jaylen Brown è il giocatore che più di tutti ha “pagato” il rientro di Hayward. A tratti, Brown è sembrato totalmente fuori gli schemi di gioco, ed in fase difensiva sembra esserci un problema effettivo in termini di “effort”.

Brown in questa prima metà di stagione, ha riportato una media di 12.3 punti a partita, con una percentuale di tiro del 44.4% dal campo e appena 32.3% dai tre punti. Visivamente, la sensazione è anche peggiore di ciò che le statistiche ci raccontano.

Di certo non è facile per un giocatore di appena 22 anni dover passare da titolare inamovibile lo scorso anno a giocatore di panchina con appena 26 minuti a partita. Il motivo di tale cambiamento è ancora più duro da digerire – la presenza di un giocatore super-pagato che deve ricevere minuti per giustificare l’enorme ingaggio. C’è da dire che nelle ultime partite Jaylen sembra aver ritrovato un po’ di sicurezza, la speranza è continui in questa fase di crescita.

Terry Rozier è senza dubbio il giocatore che più ha visto diminuire i propri minuti di gioco rispetto allo scorso anno. Purtroppo Rozier è in una situazione difficile, nel ruolo di riserva dietro ad un fenomeno come Kyrie Irving. Inoltre, Rozier sarà in scadenza di contratto quest’estate ed è altamente probabile che dovrà accasarsi altrove, vista la volontà di Irving di firmare un contratto a lungo termine con i Celtics e visto il recente rinnovo di Smart.

La situazione contrattuale non fa che aumentare la pressione nei confronti di Rozier, che ha disperatamente bisogno di metter su stats nei pochi minuti di gioco che riceve – una media di appena 22.6 minuti a partita quest’anno.

Il risultato non è decisamente all’altezza delle aspettative: una media di appena 8.6 punti a partita ed una misera percentuale del 37.9% dal campo, che testimonia come il 24-enne cerchi la via del canestro in maniera affrettata e del tutto inefficiente. Terry Rozier è un buon giocatore, il problema è che l’NBA è piena di point guard che meriterebbero un posto da titolare. E’ plausibile che Danny Ainge possa cedere Rozier tramite trade durante il mercato invernale.

Conclusione

Durante questa prima metà di stagione i Boston Celtics hanno deluso le aspettative iniziali. Il quinto posto nella Eastern Conference deve far riflettere i giocatori ed il coaching staff, non esente da critiche. Il coach Brad Stevens infatti, per la prima volta nella sua carriera si ritrova a dover gestire l’enorme aspettativa delle “finali or bust”.

Un buon coach non si vede solamente nel disegnare un’azione dopo un timeout, ma anche nella capacità di gestire il talento e le personalità in squadra e nel riuscire ad ottenere il massimo impegno dai giocatori. Stevens deve ancora dimostrare di essere in grado di gestire questo tipo di situazioni.

I Celtics hanno disputato una bella partita sabato scorso contro Golden State, persa negli ultimi minuti per colpa di qualche turn-over di troppo in fase di attacco da parte di Kyrie e Horford. Tuttavia, quella sconfitta ci ha confermato che i Celtics posso competere con le grandi della NBA e ci fa anche riflettere e rimuginare su quelle tante sconfitte sostenute contro squadre di secondo rango.

E dunque, con 33 partite rimaste nella “regular season” e 5.5 partite di ritardo su Raptors e Bucks, non c’è più tempo per queste divisioni nello spogliatoio o per continuare ad assegnare minuti importanti a giocatori chiaramente fuori forma come Hayward: la qualità nella Eastern Conference è decisamente aumentata rispetto agli anni passati, ben oltre le aspettative di inizio stagione.

Toronto in particolare sembra veramente aver trovato la quadratura del cerchio: in una potenziale finale di Conference Celtics/Toronto il fattore campo sarebbe fondamentale.

Commenta

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.