I giorni successivi l’addio a Paul George, le relative frustrazioni, polemiche e brutte sensazioni sono oggi un lontano ricordo. Oladipo e Sabonis, non ritenuti all’epoca all’altezza del sontuoso ex, non solo lo hanno sostituito alla grande sia sul parquet che nei cuori del Bankers Life Fieldhouse, ma hanno giustificato a livello tecnico una scelta a tratti impopolare che si è invece rivelata utile allo scopo: rivitalizzare l’ambiente.

Le sei vittorie in più acquisite a fine 2017 rispetto al passato hanno infatti rappresentato un piccolo/grande step per la franchigia di Indianapolis adesso ricca di variabili tutte funzionali allo scopo e senza primedonne. La città si è affezionata e stretta attorno alla squadra ancor di più dopo essere arrivati ad un passo dall’eliminare il Re, in una gara 7 persa coi Cavs per una manciata di punti.

Questa sconfitta, al termine di una regular season positiva nonostante lo scetticismo per il mercato estivo, ha permesso però di ottenere una sicurezza con la quale oggi gli avversari vengono aggrediti sin dall’avvio di match in entrambi i lati del campo: caratteristica questa da top team!!

La progressione di gruppo sembra difatti continuare anche in questo 2018, dove un mediocre inizio è stato seguito da un escalation di buoni risultati che hanno assestato Indiana, e in particolar modo la sua difesa, nelle primissime posizioni di lega.

La point forward e figlio d’arte, dalla classe immensa ereditata evidentemente dal celebre genitore, si dimostra un fattore da quando è qui allungando la profondità del roster; questo consente a McMillan di poter contare su nove titolari, ciascuno diverso dall’altro ma a suo modo decisivo in entrambe le fasi.

Il lituano/americano si è evoluto oltre che nel fisico anche nella sicurezza dei suoi mezzi arrivando ad aumentare in tre anni le statistiche al tiro con quasi il 63% dal campo e il 75 sui liberi. Da sesto uomo lo possiamo definire inoltre uno spacca partite, per merito dei 14 punti a partita, 3 assist e 10 rimbalzi: cifre triplicate dai tempi di OKC nei quali il suo minutaggio era di poco inferiore a quello attuale (20 rispetto a 24.5).

E’ stato proprio un altro figlio d’arte, Larry Nance Jr, a fermare sulla sirena una striscia di sette vittorie consecutive, nonostante l’assenza per quasi un mese del leader e altro simbolo della ricostruzione: Victor Oladipo. Questo dimostra come un playbook oramai entrato nella mente di ogni giocatore permetta al coach di fidarsi ciecamente dei suoi anche in mancanza della star col numero 4.

Da sempre un grande atleta, ammirato per la sua etica al lavoro, è arrivato all’età della maturità (26) dopo che qualcuno aveva cominciato a dubitare del suo potenziale dopo venne scelto col numero 2 al draft 2013 dai Magic.

Gli infortuni al polso, alla schiena e la necessità di sostituire senza rimpianti Kevin Durant ad Oklahoma lo avevano provato. La trade con cui abbiamo aperto l’articolo ha trasformato i Pacers grazie alla riscoperta di un campione che sposta gli equilibri e che, dopo il Most Improved Player, possiede tutte le caratteristiche per trasformarsi in MVP!!

Il suo ritorno dopo un fastidioso e preoccupante infortunio al ginocchio è coinciso con la vittoria al vertice contro l’ormai solida realtà Bucks nella quale un Oladipo sottotono è stato “sostituito” nello score e nelle prestazioni asfissianti in difesa (il miglior attacco di lega tenuto sotto ai 100) dal resto del team.

Significative le parole di Turner dopo questa Win, soddisfatto per aver mantenuto con i suoi colleghi un record nettamente in attivo (18-10) nonostante lo stratosferico compagno fuori dai giochi. Il centro ha in pratica proposto Indiana come una seria contender per raggiungere le Finals.

Ci sentiamo di approvare le sue parole: la squadra rivelazione dello scorso anno dimostra sul campo di essere una solida realtà con la miglior difesa NBA per distacco grazie a marcature rigide che provocano 16 turnovers a partita (sono i 6°) ed una capacità di essere pericolosa con molti uomini in un attacco. Per questo motivo lo stesso Victor, malgrado la palla passi spesso per le sue mani, si fa spesso da parte prendendosi meno tentativi rispetto al passato ma dedicandosi ad assistere maggiormente i colleghi (più di 5 per game) migliorando anche nei rimbalzi difensivi e nelle palle perse.

Le mosse iniziali, grazie ad un discreto margine salariale – dovuto anche al contrattone tagliato di Al Jefferson, oggi in Cina con Joe Young – si sono ancora una volta rivelate giuste, anche se hanno portato all’addio di un vero e proprio idolo come Lance Stephenson, mai decisivo a livello realizzativo ma da sempre un beniamino per il pubblico ed ottimo difensore.

Dal draft sono arrivate le scelte numero 23 e 50 Aaron Holiday (UCLA) e Alize Johnson (Missouri State): la point guard di 1 metro e 85, dalle ottime referenze con un 43% da tre e 20 a partita nel suo ultimo anno, ha segnato 11 di media durante l’assenza di VO#4 e piano piano guadagna stima e tempo sul parquet mentre il secondo non sta trovando spazio. Dai Knicks acquisito insieme al centro O’Quinn lo specialista del tiro da fuori Doug McDermott che si sta dimostrando tale.

Il vero colpo dietro al quale si celavano ambizioni e molte aspettative era soprattutto Tyreke Evans, un giocatore mai stato capace di esprimere al massimo il suo potenziale malgrado una delle migliori annate ai Grizzlies (19.4 pts, 5.2 ast, 5.1 reb). Forse è l’unico finora che sta deludendo le attese con la peggior media al tiro di sempre dalla panca e a stento in doppia cifra riuscendo poi nel periodo senza Oladipo ad emergere solo nella Win casalinga coi Wizards.

Chi sta performando alla grande è al solito Bojan Bogdanovic, maestro nell’aprire l’area con la sua pericolosità dal perimetro, fondamentale in un team 27° ieri e 26° oggi per triple tentate.

Il regista affidabile è sempre Darren Collison, ottimo nella fase di costruzione ma mai più tornato ai livelli di fine 2017 quando era tra i migliori assist men della lega. Il solido, atletico e giovane trio di lunghi (Thaddeus Young, Turner e Sabonis) aiuta Indiana nelle eccezionali performance difensive non tanto sui rimbalzi ma sulla velocità e rapidità nel generare recupero palla e turnovers. Aggiungiamo ad un bellissimo roster il veterano Cory Joseph, da sempre saldo di nervi nei momenti più caldi e delicati.

Nate McMillan si sta confermando un valido coach dando alla sua retroguardia una grinta e una cattiveria agonistica raramente ammirabili altrove, frutto di fiducia e rispetto che i ragazzi nutrono in lui.

Nove ottimi giocatori con una superstar sono un’assicurazione per il prosieguo stagionale. Se vogliamo trovare difetti a questa franchigia che ci piace tantissimo è che per arrivare a fine corsa di profili MVP forse ce ne vogliono di più così come non prendere molti tiri dalla lunga distanza è un grave handicap nell’NBA moderna. D’altronde McDermott, Evans e il rookie Holiday dovrebbero servire a questo ma la latitanza degli ultimi due lascia Indiana un po’ indietro.

Quel che riesce meglio è allargare l’area permettendo le scorribande di Oladipo e dare spazio agli infallibili lunghi, veri e propri cecchini vicino al ferro (quasi il 65% dai 3 metri per Turner e Sabonis ). Inoltre la second unit è tra le migliori in assoluto con tre ipotetici sesti uomini di lusso.

L’obiettivo iniziale, riconfermare il primo turno ai playoff, potrebbe anche essere migliorato vista la solidità dimostrata finora dalla compagine della Central Division. Soffiare un posto tra le prime quattro ad una delle favorite è nelle corde dei Pacers.

Sarebbe tanta roba per i ragazzi di McMillan che hanno già dimostrato di non aver paura ad affrontare partite e palloni che scottano per cui in una conference priva del Re e ricca dunque di maggior equilibrio un ruolo importante nel rush finale non dovrebbe toglierglielo nessuno.

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