Dopo una ventina di partite e vedendo la classifica parlare di crisi è ridicolo ma la cosa certa è che Golden State ha dei problemi.

Una squadra che è stata capace di riportare nella terra dorata un titolo 40 anni dopo i fasti di Phil Smith, Jamaal Wilkes, Rick Barry e coach Al Attles; e capace di sfornare dopo questa epoca talenti brillanti e dal carattere fumantino ma abili a trascinare furbescamente il pubblico strizzando spesso l’occhiolino o battendo il cinque ai fan milionari della prima fila. Fra questi il Run TMC (Tim Hardaway-Mitch Richmond-Chris Mullin), Chris Webber, Gilbert Arenas, Montae Ellis, Latrell Sprewell, Jason Richardson, Stephen Jackson e il “Barone” Davis; solo alcuni dei predecessori che passati in zona Bay Area negli ultimi decenni hanno fallito l’assalto all’anello.

I super campioni in roster dal 2015 hanno dimostrato, oltre ad essere dei personaggi motivazionali dentro e fuori dal parquet, di essere dei fenomenali giocatori vincenti in entrambe le fasi di gioco sapendo sempre colpire l’avversario al momento giusto, giocando di squadra ed incitandosi l’uno con l’altro dal primo all’ultimo momento di ogni match.

Soprattutto hanno creato un gigantesco cordone ombelicale utile a respingere critiche e provocazioni spesso gratuite con le quali i media o i loro avversari cercavano di abbatterli. Possiamo tranquillamente affermare oggi di trovarci nel momento peggiore dell’era Steve Kerr proprio perché la famosa unione dentro lo spogliatoio sembra non esserci più o quantomeno scricchiolare.

Sapete tutti dove vogliamo arrivare: mancano quattro secondi al termine di Clippers-Warriors e Draymond Green si incarta col pallone non riuscendo a risolvere una situazione di vantaggio ma soprattutto ignora dall’azione i suoi compagni ed in particolar modo Kevin Durant, il più abile insieme a Klay Thompson (gli unici presenti in quel momento) a gestire simili situazioni!

KD non fa in tempo a ritirare il suo sfogo che il compagno per tutto il minuto che porterà all’overtime (poi perso) inveisce contro di lui infischiandosene delle pacche dei compagni, della carezza del coach e del buon Klay che gli si siede accanto ripetendo all’infinito “It’s Ok Man”!! Questo dimostra astio ed un’armonia diversa rispetto a quella di qualche anno fa, quando il sogno era all’inizio e le leadership erano chiare. Unire tante stelle dalla spiccata personalità può giocare questi scherzi.

Una scena pietosa che oltre a lasciare strascichi comportamentali ed una crisi di spogliatoio (con un sospetto “like” di Durant su una possibile trade di Green) è stata seguita da 4 sconfitte nelle 5 partite successive, compresa quella contro l’ex gemello Russell Westbrook nella quale Draymond è rimasto in panchina (come in altre circostanze per un problema al piede) a tifare per i suoi compagni, KD in primis, cercando di lasciar appassire l’accaduto.

Il tutto in una difficile situazione dovuta all’assenza di Curry ed al suo stiramento “medio” all’inguine che però sta pesando da una decina di match. Coi Blazers ed al fotofinish coi Kings in casa si è poi vinto più che altro di mestiere.

Draymond – per il fattaccio lasciato fuori con gli Hawks – è il leader e capostipite dell’impero insieme al play e Thompson nell’originario Big Three di inizio cavalcata. Così come Durant non è più quell’impacciato e magro baby face dei vecchi Supersonics intimidito nel prendersi tiri difficili e importanti.

Soprattutto a 30 anni e con la Free Agency vicina potrebbe benissimo cominciare a guardarsi attorno forte del suo  immenso talento grazie al quale si andrebbe a sistemare in qualunque posto di suo gradimento.

Se la situazione tornerà nella normalità lo si dovrà probabilmente al rientro a pieno regime di tutte le star.

Ciò che risalta oggi oltre alle “risse” però è un senso di appagamento che traspare sin dall’Opening Day. Inizio di match sotto tono senza la giusta aggressività attendendo il rodaggio dei big per poi entrare in fiducia e trionfare nelle partite casalinghe col roster al completo e grazie al calore dei tifosi; nelle partite on the road contro squadre toste e motivate anche da vecchi rancori come Rockets, Mavericks, Spurs e appunto Clippers lo stesso pessimo start, una rimonta centrale ma negli ultimi 5 minuti la voglia di vincere degli avversari l’ha fatta da padrone. Sempre all’Oracle contro serie contenders come Milwaukee e Oklahoma due batoste senza storia.

Due incontri che potrebbero aver fatto aprire gli occhi a Kerr & soci sulle nuove e possibili rivalità future: i Bucks di Budenholzer giocano a memoria sotto la regia di un Giannis sempre più coinvolgente ed OKC, come da noi augurato qualche articolo fa, sta cominciando a praticare un playbook offensivo molto più fisico ed organizzato con RW uomo squadra!!

Pure Toronto coi suoi nuovi leader anche a livello di mentalità attua un basket grintoso e affamato sin dal primo minuto riuscendo così, anche nei 4/5 incontri senza il proprio MVP Kawhi Leonard, a prendere le distanze giuste per giocare le fasi decisive in scioltezza. Quello che come rimarcato non stanno facendo i Warriors!!

La squadra, profonda come non mai, sta fallendo in quegli uomini che avrebbero dovuto decentrare il gioco dai “soliti noti” dando al coach serie alternative: l’involuzione di Jordan Bell, arrivato come un super boom al draft e che per ora non sembra in crescita, così come Livingston, forse gestendosi per il futuro che conta, non da il solito contributo.

Anche Iguodala per un’età che avanza imperterrita non è più il formidabile sesto uomo di una volta e sembra oggi anni luce distante a giocatori come Lou Williams, Eric Gordon o Dennis Shroder, che entrando dalla panca spaccano gli incontri!! In attesa del ritorno ancora indefinito di Cousins sono importanti i minuti di Looney, la promozione di Damian Jones tra i titolari e l’arrivo di Jerebko a livello di stazza e fisicità. E’ normale però che i momenti chiave di un match vengano gestiti sempre dagli stessi.

Per tutto ciò l’assenza di Curry diventa determinante, con gli avversari – specie se difensori di valore – che si trovano a dover raddoppiare un elemento in meno costringendo i due infallibili cecchini rimasti (Durant e Thompson) a soluzioni estreme e forzature o fade away dalla difficoltà inaudita: da qui le percentuali in calo su un numero eccessivo di tentativi (sui 25 per game).

L’ex Pelicans intanto viene dato in gran forma, pieno di voglia e sempre disponibile coi giovani, dispensandoli con tanti consigli pronto per quando sarà (fine Dicembre?) a scendere sul parquet ed aiutare personalmente la squadra. Sovente viene visto in borghese a bordo campo in veste di ultras o di “placatore di animi”.

Il suo acquisto venne salutato ad inizio anno come un gran colpo ma l’infortunio occorso a Boogie, la rottura del tendine d’Achille, è uno dei più seri per un cestista ancor di più per un lungo come lui abile a giocare spalle a canestro e a torcersi in una frazione di secondo. Per questo se il suo prossimo re-inserimento si dovesse rivelare più difficile del previsto Kerr potrebbe avere ancora più confusione nel lineup.

I Warriors a pieno regime e col recupero totale di tutti gli infortunati, compreso Curry e ci auguriamo appunto Cousins, non sono un Big three ma un Big Five e rimontare posizioni in classifica non dovrebbe essere un problema. Perdere troppo terreno nelle fasi iniziali di una stagione per poi sprintare tentando un recupero può però risultare un dispendio di energie alto da pagare poi nelle fasi finali, come successo ai Penguins lo scorso anno o ai Dodgers quest’anno in altri sport!

Come detto il Gap tra le due Conference si è ridotto fermo restando che a Est il più forte team sulla carta, i Celtics, è ancora alla ricerca di un’identità. E’ anche vero che i Bucks, “sorpresa” di questo inizio, sembrano ancora inesperti per riuscire a continuare con questo ritmo fino alla fine, così come i 76ers hanno un grande Trio ed ancora un validissimo sesto uomo in J.J. Redick ma con la super Trade per Butler hanno perso un po’ del vecchio gioco di squadra. I Raptors sono oggi la miglior realtà da quella parte ma tolto Leonard i loro offensive players non ci sembrano neanche lontanamente paragonabili ai funamboli in giallo e blu!!

La Western è più profonda e completa con quasi tutte le sue squadre pronte e abili a lottare per un posto ai playoff, ragion per cui Thompson e compagni devono ritrovare quella concentrazione e aggressività in ogni confronto, in particolar modo nelle trasferte quasi tutte impegnative per l’altissimo livello che fa dell’Ovest un elite.

E’ oltretutto basilare raggiungere il primo seeding e giocare le eventuali belle in California vista la brutta e recente attitudine a sciogliersi fuori casa di fronte ad un gioco asfissiante e provocatorio che in pratica era quasi costato la scorsa Championship al cospetto dei Rockets, soprattutto se dovesse perseverare la “faida” tra un big motivazionale e difensivo come Green ed uno infallibile nella fase offensiva come KD.

La stessa squadra texana si ritrova a nostro avviso più corta rispetto alle altre con le assenze di Mbah a Moute, Ariza e recentemente di Carmelo Anthony, tre giocatori che per motivi diversi (risparmi salariali e “bizze” infantili) hanno tolto a D’Antoni due perni difensivi ed un bomber d’attacco. I Lakers di LeBron e gli Spurs sono un cantiere aperto così come le “sensazioni” Clippers, Nuggets e Grizzlies non preoccupano sulla lunga distanza; i Thunder nonostante il recente brutto infortunio a Diallo sono la squadra più completa, ma per arrivare agli altissimi livelli offensivi dei Warriors non dovrebbero bastare aggressività e nuovi schemi d’attacco rispetto al passato!!

Detto questo possiamo concludere che l’unico avversario di Golden State è proprio Golden State: l’assenza di motivazioni, infortuni a lungo termine, la poca aggressività in campo ed uno spogliatoio non più compatto.

Sta a loro eliminare questi difetti e sconfiggere se stessi!!

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