Sorella povera di Houston e Dallas nel panorama sportivo texano, la città di San Antonio può però vantare una vera e propria adulazione tra gli adepti della sua squadra NBA! Tifare e seguire gli Spurs da sempre non è una semplice fede ma un vero e proprio stile di vita!

Parliamo di un team dove da 50 anni gli attori principali sono tutti i giocatori a roster che si dividono gioie e dolori senza far trasparire il protagonismo isolato di qualche “most outstanding player”!! Le bravate notturne, i gossip o le alterazioni social non sono di casa dalle parti di Alamo.

E’ un “modo di vivere” lo sport che ha fatto proseliti anche tra le franchigie avversarie: l’ordine societario di non spendere e spandere ma anzi di scoprire e valorizzare nuove leve o rivitalizzare profili maturi, la disciplina dentro e fuori dal campo, il difendere e giocare per il compagno, la ferocia con la quale proteggere il proprio canestro e la velocità a far circolare la palla per liberare il tiro. Tutto ciò permette agli Spurs di avere in bacheca il più grande trofeo a cui ognuno possa ambire: LA STIMA!

Vale dai primi anni di vita di questa ancor giovane franchigia (fine anni 60) quando, sballottata di qua e di là in un semi deserto State Fair, giunse finalmente a nome San Antonio ad inizio seventies nella mitica Hemisfair Way, l’Arena che fu anche di Elvis.

Da qui iniziò il mito che dura finora e che ha affiancato al logo, alle gesta e vittorie dei texani tre giocatori simbolo e uomini franchigia che per quasi mezzo secolo si sono divisi gli onori della cronaca spartendosi chi più chi meno un decennio ciascuno. Parliamo di George Gervin (1974-1985), David Robinson (1989-1997) e Tim Duncan (1997-2016).

Grazie a questi incredibili campioni capaci di creare empatia con chi giocò al loro fianco in modo da “essere ricordati come gruppo” gli Spurs possono oggi vantare la più alta percentuale di vittorie in Nba.

“Iceman” seguì il veterano ABA James Silas e il futuro rookie of the year Swen Nater, incoronato al college come uno dei più forti lunghi di sempre dal mitico Bill Walton. E si che questo era ancora il periodo dove il centro giocava da centro, il fulcro di ogni squadra era proprio il pivot, vero regista offensivo, boa, assist man e dominatore difensivo; Jabbar, Moses, Hakeem e The Chief regneranno l’epoca dentro il pitturato.

Il primo lungo che inizierà ad allontanarsi dalla propria “area” sparando le bombe ad alta percentuale sarà il cattivissimo Bill Laimbeer dei vecchi Pistons, gli allora Bad Boys di Motown.

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La squadra si fece un nome mantenendo una buona media di 6.000 presenze a partita e 650.000 followers fino ad entrare nella lega maggiore nel 1976 insieme a New York Nets, Denver Nuggets ed Indiana Pacers. Alti e bassi nel loro primo quindicennio in NBA quando vennero “momentaneamente” piazzati nella vecchia Central a Est e limitati nel budget da regole ferree verso le new entry dell’American!!

Dopo aver giocato a Virginia Squires al fianco di Julius Erving, in 12 anni di militanza Spurs Gervin guiderà sempre la sua squadra ai playoff (tranne nel ’83) arrivando, una volta spostati a Ovest, per ben tre volte alle finali di conference, all’epoca “feudo” di Magic e Kareem. Diverrà famoso come top scorer a livello mondiale con una media punti vicina al 26.5 (tra i primi dieci di sempre), guidando la classifica marcatori per 4 stagioni; 12 volte all star, 5 volte All-NBA prima squadra e 2 seconda, hall of famer e tra i 50 più forti di sempre.

Un onore averlo visto a fine carriera nella capitale!!

Faranno la storia in questa prima epopea fra gli altri giocatori del calibro di Johnny Moore, Larry Kenon, Artis Gilmore, Alvin Robertson, Wes Matthews, Tyrone Corbin e John Paxson, che andrà poi a vincere tutto con i Bulls di Michael Jordan confermandosi un affidabile point guard e cecchino infallibile “da tre”!

George verrà ingiustamente ricordato come un “non vincente” ma lascerà un segno indelebile nella memoria dei tifosi texani e di tutto il mondo!! Rispetto a Pop, ai Big Three e alla “defensive mentality” gli Spurs dell’epoca furono uno straordinario esempio di attacco, creatività e spettacolo. Il suo stile venne assecondato da tutti i compagni di squadra e dai vecchi coaches come Doug Moe e Stan Albeck il cui schema consisteva in pratica nell’isolarlo, perché con un solo uomo tra sé e il canestro nessuno lo avrebbe fermato!

Spostato da ala a guardia offensiva da Bob Bass era dotato di un formidabile tiro da tre ed indifendibile nell’uno contro uno grazie alla tabellate col “finger rool” che impedivano qualsiasi stoppata e che lo resero celebre!! Nella fase difensiva molte lacune; per farci capire avrebbe penato e non poco con un allenatore rigido ed esigente come Popovich; molto pigro e sornione, dal carattere non proprio “trascinante” come chi lo succederà in nero argento, nonostante gli enormi mezzi atletici (più di 1000 stoppate in carriera) non riuscì per questi motivi a condurre la squadra oltre la border line che delimita un’ottima stagione da una vincente!!

Tra il passaggio di Gervin ai Bulls e l’arrivo di Larry Brown – vincitore NCAA con Kansas – come coach San Antonio vivrà quasi 5 anni di profonda crisi tecnica con percentuali di vittorie che scenderanno sotto il 25%!!

Il 1987 sarà però un anno decisivo visto che gli Speroni sceglieranno la prima delle due super stelle scelte al Draft che cambieranno per sempre la cronologia degli eventi nella franchigia. Il militare David Maurice Robinson venne draftato due anni prima di poterlo vedere all’opera per gli impegni con la Patria.

Uno dei più grandi centri di sempre come classe e movimenti in campo, nel suo quindicennio a tinte Spurs parteciperà sempre ai playoff tranne nel 1996! Col nuovo allenatore, la stella emergente ed una nuova proprietà (Red McCombs) i risultati furono evidenti con un 68% di vittorie il primo anno. David con 24 e più punti a partita e 12 rimbalzi divenne rookie of the year.

Dinoccolato nei movimenti ma rapido di riflessi e difensore inattaccabile, il ragazzone (2 m e 17 per 120 Kg) aveva una “mano” da far invidia alle guardie tiratrici e small forwards. Brown prima e Bob Hill dopo impostarono con un lungo così dominante nella retroguardia una difesa strenua sotto canestro e rapida e veloce ai lati grazie a dei “piccoli” svelti e tenaci; il grande spessore di The Admiral nella fase d’attacco portò il coach a sostenere schemi simili sia alla “Priceton Offense” sfruttando il movimento di palla degli abili palleggiatori che accompagneranno quel periodo sia penetrando e attaccando spazi in velocità approfittando delle aree di campo create da Robinson.

Protagonisti di queste tracce furono fra gli altri i “canterani” Sean Elliott e Vernon Maxwell. In attacco l’ala grande venne impiegata molto vicino a canestro e sia in post basso che alto permetteva anch’egli inserimenti altrui o propri tiri cadendo indietro, un classico per l’ex Bucks Terry Cummings.

In quintetto la franchigia inserì giocatori esperti e maturi che contribuirono a più di un viaggio in postseason come Dale Ellis ed Antoine Carr. Questo stile sia in attacco che in difesa darà i suoi risultati mantenendoli ai vertici delle statistiche per punti segnati (quinti con 103.4) e subiti (secondi con 94.8).

Le precoci eliminazioni ai primi turni convinsero la giovane proprietà ad affiancare a DR50 (ormai MVP e “battitore” di record su record) giocatori forti e attempati per scalare qualche posizione nei playoff. Arrivarono Moses Malone, Avery Johnson, Dennis Rodman, Doc Rivers, Vinny Del Negro e Rod Strickland.

Questo non bastò per vincere il primo titolo: si fermarono davanti ad Olajuwon prima, a Stockton e Mailman Malone dopo. Una squadra che negli anni imparerà a difendere alla grande prima con Brown, poi con Hill ed infine col “serbo” Gregg Popovich passato da executive ad allenatore/executive.

Nel draft 1997 la seconda stella che trasformerà gli Spurs da un’ottima squadra ad un’icona dello sport mondiale, un eccellente difensore da Wake Forest venne ingaggiato come prima scelta assoluta: Timothy Theodore Duncan! In poche parole la power forward numero uno di sempre, uno dei più forti difensori della storia ed il più grande leader di spogliatoio di tutti i tempi al pari di Marc Messier e Ray Lewis!

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Come il suo illustre predecessore vinse al primo anno il rookie of the year per trionfare l’anno dopo col miglior record in regular season ed il tanto atteso primo anello! Verrà inserito nell’All Nba First Team e nell’All Defensive First Team; gli Spurs domineranno i playoff perdendo due partite in tutte e quattro le serie decisive contro Minnesota, L.A., Blazers ed i Knicks dei Big Three Pat Ewing, Larry Johnson e Latrell Sprewell nelle Finals.

Aiutati dagli ormai veterani Avery Johnson e Sean Elliott, Duncan e Robinson si rivelarono in questa e nelle stagioni a venire una delle coppie sotto canestro più forti di sempre: le Twin Towers! Inizierà così un predominio negli anni che porterà gli Spurs a dominare a livello difensivo grazie ad un nuovo stile di gioco ed alla mentalità vincente che il coach e “Old Man Riverwalk” riusciranno a tramandare a chiunque calcherà il parquet dell’AT & T fino al ritiro del caraibico!!

Si avvalsero negli anni di giocatori dalla spiccata personalità e cattiveria agonistica per portare avanti un progetto che vedrà nella ferocia difensiva la principale caratteristica di squadra come Stephen Jackson e Bruce Bowen. Chiarificatrici sono le statistiche di fine ’98 che videro San Antonio primeggiare per punti subiti a partita a fronte di un tredicesimo posto per points per game.

Saranno Tony Parker e Manu Ginobili, presi (tanto per cambiare) in eccezionali scelte al draft, i due campioni “stranieri” che sotto l’ala protettrice di Pop e TD (coach of the year ed MVP nel 2002) aumenteranno il livello offensivo permettendo al “mago” in panca di studiare un nuovo stile che farà seguaci in tutto il mondo. Un gioco molto diverso da quello delle altre squadre NBA: la rapida circolazione di palla e recuperi difensivi che possono far partire facili contropiedi.

Un metodo quasi “europeo”, una sorta di tiki-taka calcistico: passaggi corti in spazi stretti, netti e precisi, e un costante movimento dei giocatori come mezzo per mantenere il possesso. Un “traffico” inarrivabile per qualsiasi altra squadra, da inizio ‘2000 fino ad oggi; gli Spurs passano la palla più di qualsiasi altra squadra NBA per arrivare a creare un “tiro aperto”, risultato di un movimento che costringe la difesa a spostarsi e lasciare degli spazi ai tiratori avversari.

Con Gino e Tony l’Ammiraglio potrà ritirarsi col secondo titolo NBA nell’anno 2002/2003 dopo una fantasmagorica stagione col 73% di vittorie!!

L’alchimia che si creerà tra il ragazzo di Christiansted, l’argentino ed il francese (futuro primo europeo MVP delle Finals) farà sì che i tre creeranno insieme un unico blocco di gioco, di vita e di leadership: saranno per sempre i Big Three!

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Con un crescente Appeal anche a livello economico gli Spurs proveranno a corteggiare con scarsi risultati un campione del calibro di Jason Kidd per poi ripiegare su Glenn Robinson col quale arriveranno al terzo anello nel 2004/2005 sconfiggendo in una drammatica serie i Pistons dell’ex coach Larry Brown e dei nuovi Bad Boys Billups-Hamilton-Prince-Ben e Rasheed Wallace.

Sarà l’ex nemico Maverick Michael Finley, accettando una diminuzione di contratto, l’aggiunta allo storico quintetto “difensivo” dell’epoca (Parker-Ginobili-Bowen-Duncan-Mohammed) che porterà gli Speroni al quarto titolo nella stagione 2006/2007 sfruttando l’upset dei favoriti Mavs di Nowitski contro i Warriors del Barone Davis. In finale demolirono i Cavaliers del già “prescelto” LeBron James. Il primo posto per punti subiti farà la differenza anche in queste due stagioni.

L’epopea di Kobe, Nash e Super Dirk, la nascita di nuove stelle come Durant, Harden e Westbrook a Ovest e l’avvento di James e Bosh ad “aiutare” DWade a Miami impedirono a Pop e Duncan l’ennesima vittoria della loro inarrivabile epoca.

La “bomba” di Ray Allen a partita chiusa nelle Finals 2012/2013 sarà l’unico rimpianto che lascerà svegli per un anno gli Speroni di tutto il mondo. Nel frattempo qualche anno prima l’infallibile GM Buford (dal ’99) “pizzicherà” l’ennesimo colpo al draft da San Diego: un “classico” profilo Spurs, ala piccola eccellente nei movimenti d’attacco ed insuperabile in difesa, ragazzo serio con pochi sorrisi ma molta concretezza, super leader silenzioso di spogliatoio e grande seguace di Duncan: Kawhi Anthony Leonard.

Sarà lui la prosecuzione del “lavoro” di Tim ed il suo erede negli anni divenendo MVP in occasione del favoloso quinto titolo NBA l’anno dopo lo shock di “Sugar Ray”!! La squadra dominerà la stagione regolare col 76% di vittorie soffrendo solo al primo turno playoff in una feroce e cattivissima serie con i nemici di una vita: Dallas!

La rivincita con gli Heat non si farà attendere e per Pop, i Big Three e Kawhi sarà il trionfo assoluto. Prevedendo in anticipo il ritiro di Duncan gli Spurs ingaggiarono Aldridge investendo per lui 80 Mln in 4 anni dal 2015. LaMarcus, già 30enne ma da un curriculum strabiliante, possedeva le caratteristiche da ala grande ottima a rimbalzo ma con tante soluzioni offensive e dalla ottima mano. In 871 partite in carriera possiede più di 19 punti e 8 rimbalzi di media!!

Capace di creare con lo sfortunato Brandon Roy un’ottima epoca a Portland il cestista di Dallas è oggi rimasta l’unica certezza per Pop. Dopo l’abbandono di Duncan – 2015/2016 a seguito della sconfitta in semifinale a Ovest contro Oklahoma – gli ormai “Big Two” accompagneranno la squadra negli ultimi due viaggi ai PO perdendo in finale di conference con i già invincibili Warriors nel 2017 ed al primo turno l’anno scorso prima di chiudere anch’essi il loro epico viaggio in nero argento!!

La numero 21 è oggi appesa al soffitto dell’AT&T Center, di fianco ai 5 stendardi dei titoli vinti: Duncan e gli Spurs sono stati la stessa cosa per 19 meravigliosi anni. Al suo ritiro nessuna conferenza stampa e niente social, tipico per un carismatico anti-divo e vincente al buio. Il sensibile “omone” delle Isole Vergini che sognava l’oro olimpico come le sue sorelle, capace di laurearsi in psicologia per promessa alla mamma deceduta, sempre silenziosamente impegnato nel sociale.

Abile tecnicamente a primeggiare sia nell’iniziale gioco interno, lento e a metà campo che in un sistema offensivo basato su velocità di esecuzione e gioco di squadra; è questo che ha permesso a Tim di essere l’unico nella storia ad aver vinto in tre decenni diversi.

Quel che ha incrinato l’immagine “tutta di un pezzo” di San Antonio è stata la gestione del caso Leonard, come detto futuro leader nonché uno dei più forti giocatori in assoluto oggi nella NBA.

La stagione da separato in casa con la relativa cessione ai Raptors in cambio di DeRozan quest’anno ha spiazzato non poco tutto l’ambiente. Il suo pseudo infortunio capace di lasciarlo in pratica un anno intero ai box è stato il preludio ad un addio forse preventivato ed organizzato da tempo.

L’ex Toronto si è rivelato negli anni un grandissimo esterno e leader di una squadra dominante in regular season ma zoppicante e senza carattere ai playoff. Con lui ed in assenza dei vecchi “guardiani” difensivi Pop o chi seguirà in futuro dovranno probabilmente rinunciare alle meravigliose stats nella retroguardia puntando a giocare più a viso aperto che in passato, tornando forse alla “Gervin Era”.

La stagione in corso come sempre è iniziata con ottimismo in società, la sola presenza del “mister” dà ampie garanzie. E’ lui la tessera finale del mosaico senza la quale si ricomincerebbe dall’ANNO ZERO. Sono gli analisti, i critici e gli esperti di basket mondiale ad aver messo sotto una lente d’ingrandimento maggiore rispetto al passato R.C. Buford & Co!!

L’ex intoccabile GM, executive of the year per 2 volte in passato, viene criticato per essere riuscito solo a rinnovare super stipendi di “vecchi” giocatori come Gasol e Mills. Questo non collima con le strategie del passato e probabilmente ha lasciato la società impreparata a livello economico per allestire da subito alternative ai Big Three, assenti per la prima volta dopo 17 anni e alle conseguenze dell’affaire Leonard. La nuova sfida è quella di ricreare il clima che fa dei texani degli indomabili guerrieri nel lato difensivo e dei “funambolici circolatori” di palla per arrivare al tiro in quello offensivo.

Passare una nottata in bianco a vedere il mitico AT & T gremito ma sgombro di “quei tre” mette tanta tristezza, fa capire la fine di un’epoca e l’età che avanza in tutti noi. Duncan da due anni, Tony per “stimolarsi” agli Hornets e Manu per la passerella finale da quest’anno non ci sono più.

Inutile piangersi addosso e rivangare il passato; le prestazioni monstre sotto canestro e non di The Big Fundamental non potranno più aiutare a vincere partite, così come le penetrazioni e le bombe impossibili di Gino sulla sirena e i favolosi pick & roll insieme a Parker che aprivano le difese avversarie nonché la solidità di Leonard in entrambi i lati del campo. Rimboccarsi le maniche e ricostruire solide basi con le quali creare una nuova “legacy” per generazioni future è lo scopo attuale della dirigenza e del “boss”; anche a costo di perdere qualche stagione.

Obiettivo: RIPARTIRE DA CAPO!!

Purtroppo i piani e le ottime intenzioni sono stati in parte vanificati dagli infortuni che hanno privato e interrotto il progresso dei giocatori simbolo sui quali imbastire questo rebuilding. Se LaMarcus Aldridge ha rappresentato la continuità da “ampio pitturato” con le “Twin Towers”, dopo la dipartita di Ginobili e il cambio di casacca di Parker, l’eredità ed il ringiovanimento lontano da canestro sembrava spettassero a Dejounte Murray, giovane promessa al terzo anno che oltre a guadagnare minutaggio, aumentare le statistiche dal campo (8.1 punti, 2.9 assist e 5.7 rimbalzi) e prendere il comando dell’attacco nella posizione che fu dell’ex “Signor Longoria” aveva conquistato la fondamentale fiducia difensiva di Pop, tanto da essere nominato nel second-team All-Defensive!!

Nelle intenzioni del coach Murray rappresentava un cardine, lo snodo cruciale per il quale cambiare se possibile anche uno stile di gioco offensivo, mettendolo nelle condizioni di essere assecondato dagli altri; concedendogli infatti la libertà di correre e giocare in transizione, per approfittare del suo atletismo! Per star dietro alla sua incredibile velocità tutti avrebbero dovuto giocare al suo ritmo, correndo come mai fatto prima in carriera!

Purtroppo la lesione al legamento crociato del ginocchio destro ha interrotto i programmi dell’allenatore e rinviato la stagione della consacrazione per il 22enne prodotto dell’Università di Washington. Infortuni che hanno lacerato l’inizio 2018/2019 e non hanno ancora permesso di scoprire la reale consistenza anche dell’altra stellina a roster, il rookie e prima scelta Lonnie Walker IV, già operato di menisco al ginocchio destro e costretto a uno stop di otto settimane, che aveva effettuato il proprio esordio in pre season contro Detroit, ma i cinque minuti trascorsi in campo contro i Pistons sono stati gli unici finora.

Un brusco arresto nel necessario processo di crescita della matricola visto che con Popovich e le sue regole vecchio stampo non vengono garantiti ai debuttanti molti minuti nell’annata di esordio. Per questo e dopo le cessioni di Danny Green – anch’egli pezzo pregiato della difesa – e Kyle Anderson, altri giovani come Bryn Forbes e Derrick White insieme a Patty Mills si divideranno i loro minuti di gioco.

Il ritorno del nostro Marco Belinelli e l’innesto di Dante Cunningham garantiscono solide rotazioni, permettendo al coach di bilanciare meglio i quintetti. La capacità di “Rocky” a trattare la palla e spaziare bene il campo sono vitali per la seconda unità, che dovrà essere un fattore determinante per gli Spurs per restare competitivi. Da Toronto insieme a DeRozan, sotto canestro, arrivato il giovane austriaco Poeltl, che cercherà di dare maggiore fisicità difensiva rispetto a Gasol.

Con la verve di Murray in quintetto insieme ad ottimi e lunghi realizzatori come Aldridge e Gasol, uniti a forti velocisti in penetrazione come DDR e Rudy Gay (se sano), la 22ma postseason consecutiva non sarebbe stata un’utopia. Certo mantenere gli avversari sotto i 90 punti come in passato sembra un sogno. Vedremo come ne usciranno per l’ennesima volta.

Quel che è certo è che la dinastia a San Antonio non finirà mai, anche se con stagioni di transizione o alla ricerca di nuovi talenti da inserire negli schemi. Chiunque arriva dalle parti di Bexar acquisisce una cosa che da nessun’altra parte ed in nessuno sport potrà mai trovare: lo stile Spurs!!

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