Dopo aver passato in rassegna le corazzate dell’Ovest (chi lo avesse perso, può trovare l’articolo cliccando qui) è arrivato il momento di discutere il caso della “sorella minore”.

Senza più un re, senza nessun giocatore pronto a prendere la pesante eredità di L(A)BJ, svanita la sbornia dell’ultima post-season -in cui sembrava che la costa bagnata dall’Atlantico fosse pronta a spiccare definitivamente il volo- e concluso il mercato estivo con Phila e Boston rimaste a bocca asciutta, si può affermare, senza troppo timore di smentita, che la Eastern Conference è la vera sconfitta di questa post-season.

Passiamo in rassegna i protagonisti di questa amara storia:

  • Atlanta: scende, ovviamente.

“Perdere e perderemo.”

Diceva il presidente Borlotti della Longobarda di Oronzo Canà, ma sembra anche il motto perfetto per questi Hawks versione 2018-2019 che, visto il roster e le scelte, sarebbe proprio un peccato se non stessero cercando il tanking.

Via Muscala ai 76ers e Dennis Schroder ad OKC. Nessuna acquisizione rilevante e la scelta (quantomeno definibile rischiosa) di scambiare Luka Doncic con Trae Young all’ultimo draft che, almeno per adesso, non convince tutti tutti tutti gli addetti ai lavori.

Gli Hawks sono stati rilevanti durante tutta l’estate solo per la gestione sui social media dell’affare Melo. Prima mandandogli la maglietta, nonostante sia stato tagliato senza nemmeno mettere un piede ad Atlanta intascandosi tutto il generoso salario, e poi con commenti ironici sul veloce passaggio della superstar:

  • Cleveland: Scende

La partenza di Lebron ha ovviamente lasciato un buco di proporzioni sesquipedali nella franchigia dell’Ohio, che fra le persistenti voci di cessione da parte della proprietà e con una squadra da riventare, nel gioco e nelle facce, non non è ben chiaro dove voglia andare a parare ma sicuramente non competeranno per la posta grossa.

La conferma di Kevin Love (4 anni a discreti milioni di dollari) e l’arrivo del promettente rookie Collin Sexton (già fra i favoriti per il titolo di rookie of the year) non basta a ridare credito alle speranze di resurrezione immediata di Cleveland ma solo di avere qualche chance di sopravvivenza nel “fallout post-lebroniano“.

Conti alla mano potrebbero pure rientrare nella corsa playoff, ma più per demeriti della conference che per il loro valore presente (e sicuramente futuro).

  • New York: giù in picchiata (volontaria)

Fa parte di quelle franchigie dell’Est troppo scarse per puntare a qualcosa di concreto ma nemmeno così indecenti per immaginarsele come fanalini di coda.

La firma di coach David Fizdale -ex allenatore dei Memphis Grizzlies- sembra il vero colpo di mercato dei Knicks che poi sono entrati in in letargo, collezionando una serie di trade marginali (Kadeem Allen, Noah Vonleh, Mario Hezonja, Luke Kornet e Kevin Knox, giusto per essere precisi)

L’idea generale è che per prepararsi all’estate 2019 New York volesse solo pulire un po’ il monte salari per puntare a 2-3 free agent di primissima fascia (Durant? Irving?) sotto la gestione Fizdale, che potrebbe essere un buon garante per fare da contrappeso alla non eccellente fama del presidente James Dolan.

Altro affare cruciale sono le condizioni di Kristaps Porziņģis al rientro da un ACL (lesione del crociato anteriore) al ginocchio sinistro. Il ragazzo è giovane (classe ’95), abbastanza giovane per non avere conseguenze a lungo termine, ma è anche sufficientemente esile (nei suoi 108 kg e 221 cm (!)) per lasciare a tutti dei dubbi sulla sua tenuta fisica futura nella lega più atletica del mondo. Ovviamente tifiamo tutti per lui perché il lettone  è una di quelle cose che non passano tutti i giorni, come ha giustamente sottolineato uno che di scorer se ne intende:

  • Toronto: Sale

Toronto ha fatto degli improvements, c’è poco da dire. Anche il più sfegatato fan degli Spurs sa bene che la trade, al netto di tutto e almeno per quest’anno, l’ha vinta Toronto che si è aggiudicata quello che a mio avviso (e non solo) è di gran lunga (se sano e motivato) il miglior two best player della lega.

Beh affate fatto quindi, no? Toronto alle NBA Finals!

Piano. Andiamoci piano…

I Raptors, dopo l’ultima stagione da record con 59 vinte e 23 perse, sembravano pronti finalmente a fare il salto finale in avanti e portare oltre il pinnacolo il maledetto masso di Sisifo con l’effige di Lebron che puntualmente da 4 anni a questa parte verso Maggio o giù di lì, gli rotolava sopra, schiacciandoli e riportandoli a valle.

Sapete come va la storia di Sisifo, non vado oltre.

In particolare, il crollo mentale dell’ultimo anno è stato tale da far dimenticare 8 mesi di gioco eccellente mostrati dall’orchestra di coach Casey (con un roster tutt’altro che impressionante) contraddistinto da rotazioni estesissime ed un gioco di squadra ai limiti del commovente.
Poi il patatrac, lo sweep contro i Cavaliers di James, il licenziamento dello stesso Casey (che ne mentre si aggiudicava pure ironicamente il titolo di coach of the year) e la trade di DeRozan (in cui i Raptors hanno guadagnato anche Danny Green, mica poco). Tutti passaggi chiave per capire questi nuovi Raptors; una delle squadre più interessanti e pericolose della Eastern Conference.

L’unico neo sta proprio nella questione Leonard: i Raptors hanno firmato la superstar per un solo anno, il giocatore diventerà poi unrestricted free agent e, come non ha certo dimenticato di ricordare, avrebbe piacere di ritornare al caldo, dove tra parentesi è nato (Los Angeles) ed è andato al college (San Diego).

Quanto e come giocare questa pericolosa mano, che potrebbe lasciare Toronto senza titolo e con un pugno di mosche è una roba per professionisti dell’azzardo.
Non è che se “per caso” i risultati non dovessero essere positivi da subito per il mancato click della squadra o per manifesta inferiorità rispetto alle cugine del Massachusetts, o della Pennsylvania- il buon gm Masai Ujiri non possa (a mio avviso intelligentemente) decidere di far andare subito via Kawhi (magari ai Lakers, così per dire), in modo da ottenere qualche pezzo importante per la ricostruzione?

Chi vivrà vedrà… Per ora i Raptors sembrano giocarsi tutte le carte possibili con Kawhi, incluse assunzioni di amici nel coaching staff e campagne pubblicitarie dai toni apocalittici, come quella che vedete qui sotto:

  • Washington: Scende.

Ma avrei potuto scrivere anche il contrario che non sarebbe cambiato nulla, visto che gli Wizards fanno buchi nell’acqua oramai da anni sfatando previosioni e promesse con sconcertante costanza.

Il tandem Beal-Wall ci aveva promesso magie e numeri ed è stato per adesso solo delusione, gioco alterno e tanti malumori nello spogliatoio.

La squadra della capitale si presenta a questa nuova stagione con un roster leggermente modificato (dagli arrivi di Austin Rivers e Jeff Green) e con un Dwight Howard all’ennesimo cambio di casacca NBA.

Io, ma in questo particolare partito i tesserati sono molti, negli Wizard non ci credo più. A volte divertono, è vero, ma nei fatti, nonostante un roster classificabile fra i primi 3-4 ad Est, sono una squadra disfunzionale e con poca benzina nel serbatoio.

Spero di dovermi ricredere ma oramai la mia sensazione è che semplicemente non ne abbiano abbastanza (e prima o poi qualcuno dovrà presentare il conto a Scott Brooks, un conto molto salato, per il gioco povero espresso dai Thunder di Westbrook/Durant e da questi Wizards).

L’ottimismo sembra rimasto solo a John Wall:

  • Miami, Indiana, Miwaukee e Detroit: Indifferenza

Getto la spugna. KO tecnico ancora prima di iniziare a parlarne. Se butta bene faranno una comparsata ai playoffs o magari saranno la mina vagante per qualcuna delle vere “big”. Rimarranno più rilevanti per i party su Ocean Drive e per qualche rissa di Blake Griffin rispetto al gioco del basket.

Le più forti, ovviamente, sono i Bucks e i Pacers, che però difficilmente potrà ripetere la stagione dello scorso anno.

I Bucks, Ilyasova e Brook Lopez a parte, hanno confermato il gruppo dello scorso anno sperando che il greco faccia una stagione da MVP. Milwaukee resta un po’ la squadra di tutti, perché uno come Giannis Antetokounmpo, con la storia di Giannis Antetokounmpo non puoi non tifarlo.

Fra le restanti, avevo guardato con interesse e speranza l’arrivo coach Casey nella MoTown ma più si avvicina l’opening  night più mi convinco che per i Pistons non c’è speranza.

Per chi volesse un approfondimento:

  • Boston: Sale

Come non potrebbe salire una squadra che l’anno scorso è arrivata a soli 12 minuti dalle NBA Finals senza i suoi due fenomeni di riferimento?

Al rientro delle due superstar il roster (Irving, Tatum, Horford, Brown Rozier, Hayward, Smart e chi più ne ha, più ne metta) strabillia per profondità talento e prospettiva. A sentire la stampa e i bookmakers sono loro i no-brainer (la scelta scontata, fuori da ogni dubbio) ad Est ma qualcosa (o qualcuno con delle sopracciglia folte folte…) sembra ancora mancare per competere con i Warriors.

Rimane però la contentezza di poter vedere quel quintetto che l’anno scorso per colpa della sfortuna abbiamo visto giocare insieme per pochi minuti, ma… occhio a possibili sorprese e occhio anche a possibili movimenti di mercato, specialmente se a guidare la baracca è quel diavolo di Danny Ainge…

  • Philadelphia: Scende

Il process Hinkiano, che ha fatto innamorare molti e che doveva trovare compimento l’anno scorso si è scontrato inesorabilmente con il fatto che Simmons dalla media-lunga distanza non la mette nemmeno in una vasca da bagno, i problemi mentali di Fultz, due scelte sbagliate al draft e la poca esperienza di  Embiid che, per quanto incredibilmente talentuoso, ancora deve imparare a giocare le partite ad elevato peso specifico.

Li ho tifati -e per davvero- negli scorsi playoff: nella serie divertente e fisica contro Miami sembrava pure che avessero trovato la formula giusta, quella vincente. Poi i Celtics di Brad Stevens li hanno riportati sulla terra, sezionando con precisione chirurgica e freddezza da pompe funebri i Sixers ed il suo coaching staff, entrambi apparsi ancora non degni dei palcoscenici più importanti.

L’estate e gli scambi non hanno sicuramente aiutato a risolvere gli interrogativi sulla squadra che resta ancora senza president of basketball operations dopo la debacle su Twitter e il conseguente licenziamento di Bryan Colangelo.
Mentre Simmons prova a sistemare il suo tiro, la fanchigia della Pennsylvania perde quei giocatori che i tiri invece li sanno mettere: via Belinelli (agli Spurs) e  İlyasova (ai Bucks). L’unico “cecchino” confermato è JJ Redick. Altri arrivi degli di nota sono Mike Muscala e Amir Johnson, ma l’aggiunta sembra insufficiente, almeno sulla carta, per metterli sopra i Celtics.

Per il resto beh, se volete una opionione non voluta, la mia sensazione è che senza una o due aggiunte nel cast di supporto e una superstar vera questo gruppo rimarrà inconpiuto e assisterà impotente alla dominazione bianco-verde dei prossimi 5-6 anni, a meno che la skyline di New York non faccia gola alla point guard dei Celtics…

A presto!:)

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