I miei ultimi due anni da tifoso dei Dallas Mavericks sono stati un discreto stillicidio. Dopo sedici (SEDICI) stagioni caratterizzate da record vincenti e costanti apparizioni ai playoff, il declino dell’amato Dirk e un mancato ricambio generazionale hanno portato la franchigia texana a scivolare in quella mediocrità cestitica in cui alcune squadre gavazzano per intere decadi (pronto, Sacramento?), ma che per i palati fini di noi MFFL (Mavs Fans for Life) rappresentano una tortura insopportabile.

Il draft di quest’anno era il primo con una scelta Top-5 per Dallas dal lontano 1994, anno in cui venne scelto il buon Jason Kidd. Facile capire perchè io e gli altri tre/quattro fan italiani dei Mavs (assieme ai nostri fratelli di sangue texani) vedessimo nella notte del 21 Giugno scorso un appuntamento fondamentale per poter tornare a sognare un futuro più roseo. In particolare, con l’addio di Nowitzki all’orizzonte avevo anche un disperato bisogno di trovare un nuovo “pupillo” per il quale rimanere sveglio la notte, un nuovo Messia dal sangue bianco-blu in grado di farmi tornare a sognare quella terra promessa che sono le NBA Finals.

Le palline della lottery però non avevano premiato i lunghi mesi e mesi di “Perdere e perderemo” (cit.), facendoci scivolare un paio di posizioni più in basso rispetto a quanto il duro lavoro di tanking avrebbe meritato. La quinta chiamata era sì una buona posizione in senso assoluto, ma mi faceva scendere più di un brivido lungo la schiena: i veri e propri “super-talenti” di questo draft erano infatti identificati in quattro nomi: Ayton, Bagley, Doncic e Jackson, con i restanti prospetti che rimanevano sì intriganti (Bamba, Young, Porter, Carter, etc.) ma senza quell’aria da franchise player che tutte le squadre sognano di poter pescare tra i volti nuovi della NBA.

Potete quindi immaginare la mia gioia quando il sommo bardo Adrian Wojnarowski declamò, poco prima che il Commissioner Adam Silver uscisse per comunicare la terza chiamata di Atlanta, che i suddetti Hawks avrebbero selezionato Luka Doncic con l’accordo di girarlo immediatamente a Dallas, in cambio del diritto di scegliere Trae Young e della 2019 fist round pick dei Mavs (protetta 1-5). Il mio entusiasmo era dovuto al fatto che io ritenga Doncic non soltanto il giocatore più pronto dell’intera classe di rookie del 2018, ma anche la nuova superstar che in pochissimi anni riporterà Dallas nel giro della NBA che conta.

Proviamo ad analizzare le caratteristiche dello sloveno per provare a capire se la mia tesi è sostenuta dai fatti, oppure se si tratta solo di un delirio dettato dall’insopportabile caldo che sta attanagliando il Bel Paese nelle ultime settimane.

TIRO DA FUORI

Doncic ha chiuso la sua ultima regular season in Eurolega con una true shooting percentage del 59,1%, frutto del 32,2% dalla lunga distanza e di uno straordinario 61,5% da due punti. La sua meccanica di tiro è buona: il movimento è compatto e rapido, il difetto principale è che a volte Luka tende a buttarsi un po’ troppo all’indietro, cosa che gli fa perdere compostezza nella fase di rilascio. La sua selezione dei tiri non sempre è particolarmente saggia (e ci mancherebbe pure, visto che fino a pochi mesi fa non poteva nemmeno guidare un’auto…) e tende un po’ troppo spesso ad accontentarsi dello step-back-three. Un anno da allievo alla Dirk Nowitzki School of the Perfect Shot non potrà che fargli comodo e Doncic ha già dichiarato che non vede l’ora di tempestare il tedesco di domande sui segreti a lui trasmessi dal maestro jedi Obi-Wan-Gershwinder. Ah, come potete vedere qui sotto, in caso di tiro decisivo il ragazzo ha già una discreta faccia tosta.

GIOCO IN AREA

Alla faccia dello stereotipo “giocatore bianco europeo = tiratore”, Doncic il suo meglio lo dà sicuramente dalle parti del ferro. Sia in penetrazione, sfruttando il fatto che i difensori devono rimanergli vicino per rispettarne il tiro da fuori, che sfruttando la sua supremazia fisica portando in post basso i pariruolo avversari. Abile con l’arresto e tiro dalla media sia andando a destra che a sinistra, possiede già un campionario di floater e tiri in corsa che amplierà sicuramente durante la sua carriera. In sostanza, lo sloveno è un giocatore estremamente duttile che un allenatore preparato come Carlisle troverà modo di sfruttare in decine di situazioni offensive diverse.

VISIONE DI GIOCO

Chiariamo subito un concetto: Luka Doncic non è un playmaker puro, anche se può operare saltuariamente in tale ruolo. A Madrid giocava a fianco di Campazzo/Lull e con la Slovenia assieme a Dragic, quindi non ci sarà nessun problema di coesistenza con l’altro giovane rampante dei Mavs, Dennis Smith Jr, che occupa appunto lo spot di play titolare. Doncic potrà essere schierato sia come guardia che come ala piccola, addirittura quel geniaccio di Carlisle ha fatto sapere che ha intenzione di utilizzare Doncic anche da numero quattro tattico per sfruttare la sua stazza fisica, in una strutturazione dei Mavs a 4 guardie (Smith-Barea-Matthews-Doncic) che mi fa già salivare al solo pensiero. Questo non vuol dire però che lo sloveno non sappia creare gioco con la palla in mano, anzi tutto il contrario. Doncic possiede un’eccezionale visione di gioco ed è in grado di trovare i compagni in ogni situazione, in particolare dal palleggio, anche aiutato da un’altezza che gli permette di guardare sopra a molti dei difensori. Il che lo rende il giocatore perfetto per l’NBA odierna, predicata sui dogmi del pick-and-roll, e per un’attacco di flusso come quello di Coach Carlisle, fatto di tagli dal lato debole e di blocchi per liberare i giocatori sulla riga di fondo. Ogni tanto Luka butta via qualche pallone di troppo, ma è un difetto molto comune tra i giocatori della sua età.

FISICO

Con un telaio di 201 centimetri per 99 chilogrammi, Doncic è una super sized guard simile a Gordon Hayward (e non solo nelle dimensioni). Molto forte nella parte alta del corpo, può assorbire i contatti in penetrazione ed effettuare efficaci tagliafuori a rimbalzo, sia difensivo che offensivo. Non è esplosivo come il suo futuro compagno di reparto (e ci credo, quell’altro già alla high school metteva la testa al ferro), ma può salire tranquillamente per tonanti schiacciate nel cuore della difesa avversaria.

BALL HANDLING

Il trattamento di palla è di ottimo livello, sia con la mano destra che con la sinistra. Non avrà particolari problemi a gestire l’attacco dei Mavs quando gli verrà richiesto, nè andrà troppo in sbattimento in caso di pressione dei difensori. Tende a volte a palleggiare un po’ troppo alto, esponendo la sfera alle mani veloci degli avversari, ma questo è un aspetto sul quale migliorerà sicuramente con il passare del tempo. Nel gioco in transizione Doncic ha dato prova di poter gestire l’arancia con insospettabile consapevolezza per la sua età: gli piace prendere il rimbalzo difensivo e partire subito in contropiede, arrivando fino al ferro avversario in coast-to-coast oppure attirando i difensori per poi scaricare sui compagni a rimorchio. Non è un fulmine a-la-Russell-Westbrook, ma è dotato di una buona velocità di base anche per gli standard americani.

 

DIFESA

Arriviamo alle noti dolenti, anche se meno dolenti di quanto possa sembrare. Quasi tutti i prospetti universitari della sua età presentano un’applicazione difensiva inversamente proporzionale alla loro capacità di mettere punti a referto. Non è il caso di Doncic, che dovendo giocare in un contesto molto più competitivo della normale NCAA (ed essendo pure il più “sbarbato” delle sue squadre in cui militava) non poteva certo addormentarsi a guardare il suo uomo e ha dovuto applicarsi anche nella sua metà campo. I piedi non sono probabilmente abbastanza veloci per tenere le penetrazioni dei playmaker più razzenti della NBA (es. Westbrook, Wall, Shroeder) ma di certo non va sotto fisicamente contro nessuno. E poi Doncic dal lato debole stoppa… eccome se stoppa.

Ecco, questa in pratica è la panoramica dell’enorme potenziale di questo giocatore. In più, oltre alle caratteristiche tecnico-fisiche, ci sarebbero poi anche un paio di altre cosine. Tipo la quantità di argenteria che Luka, a soli 19 anni, ha già portato a casa per riempire la sua personale galleria dei trofei:

  • 3x Liga ACB
  • 2x Copa del Rey
  • 1x Intercontinental Cup
  • 1x Euroleague
  • 1x FIBA Eurobasket
  • 1x Liga ACB MVP
  • 2x Euroleague Rising Star
  • 1x Euroleague MVP
  • 1x Euroleague Final Four MVP
  • 1x All Euroleague First Team
  • 1x FIBA Eurobasket All Tournament Team

Nessun altro giocatore europeo nella storia è mai arrivato così giovane in NBA partendo da una base tanto alta: non Nowitzki, non Parker, non Porzingis, non Antetokounmpo, non i due Gasol. Solo Petrovic è arrivato in America con un palmares comparabile a quello di Doncic, ma al momento del suo sbarco a Portland nel 1989 Drazen aveva già 25 anni. E tutti i trofei elencati non hanno certo visto Luka stare in campo da comprimario: le sue cifre nell’ultima Eurolega, parametrate su 40 minuti, raccontano di un potenziale fatturato da oltre 22 punti, 8 rimbalzi e 7 assist. Non stiamo parlando di numeri ammassati contro squadre collegiali di basso livello, ma contro formazioni di professionisti del massimo livello europeo. Insomma, con la guardia slovena i Mavericks hanno davvero trovato la pietra angolare su cui fondare la loro rinascita.

E i suoi futuri compagni? In un’ottica di breve periodo Dallas può essere considerata una formazione da settimo/ottavo posto. I Mavs si presenteranno ai nastri di partenza della nuova stagione NBA con un quintetto formato da Smith-Doncic-Barnes-Nowitzki-Jordan, con Brunson (altra bella presa dell’ultimo draft), Matthews e Powell come primi ad uscire dalla panchina. Un buon mix tra giovani di belle speranze e veterani (uno più degli altri) di lungo corso. Troppo poco però per competere con le corazzate dell’Ovest, ma a partire dall’estate del 2019 Dallas avrà una situazione salariale molto favorevole (in particolare se Barnes dovesse rinunciare alla sua player option) che permetterà di dare la caccia ad uno/due top free agent potendogli prospettare una situazione tecnica già rodata e di qualità.

Insomma, quando i Warriors si saranno stufati di riempire di stendardi il soffitto della loro arena potrebbero trovare nei Mavericks una delle pretendenti al loro trono dorato. Doncic per quella data sarà già diventato un perennial All Star e a casa mia un paio delle sue canotte avranno trovato posto nell’armadio a fianco di quelle del biondo semidio teutonico.

Dite la verità, si è capito nel corso dell’articolo che mi sono perdutamente innamorato del giovane giocatore sloveno? E pensate che non ho nemmeno parlato della mamma…

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