Sarebbe stato davvero bello trovare un’analogia efficace per sintetizzare il basket-mercato e la free agency di questa estate NBA. Ve lo dico subito: niente da fare.

Ma, d’altronde, mica è facile racchiudere in forma compatta tutti i movimenti e le ramificazioni delle ultime settimane/mesi. Incorporare fatti banali (ma fondamentali) come Lebron ai Lakers, Durant che rifirma a Golden State e mosse “pazze” come Lance Stephenson, Rajon Rondo e Mike Beasley nella città degli angeli, la scelta (scriteriata, direi io) di Paul George di far ancora coppia con Rus ed, infine, la “ripicca” degli Spurs che mandano in Canada, al freddo, ad Est, uno che stava forzando la mano per andare al caldo e ad Ovest, molto ad Ovest.

E quasi mi dimenticavo di citare “l’affaruccio” di DMC ai Warriors.

Insomma, estate molto “calda” per la NBA e visto che quasi tutti i giocatori citati saranno legati alle franchigie per il massimo di un anno, è chiaro che tutto questo è stato solo un sontuoso antipasto di quello che sarà la free agency dell’anno prossimo, dove in un colpo solo saranno liberi: Klay Thompson, Draymond Green, DeMarcus Cousins, Anthony Davis e Kawai Leonard, giusto per prenderne 4 a caso dal mucchio..
Quindi antipasto si, ma bello corposo, stile trattoria italiana.

Nell’impossibilità di sintetizzare in modo efficace, meglio vedere le singole protagoniste della Western Conference per provare a capire “chi sale e chi scende”.

  • Golden State Warriors: salgono

Ok, ci sono i dubbi su come fondere DeMarcus Cousins con il loro flow.
Ok, Cousins è grosso e la rottura dell’achille non è proprio una bazzecola, ok.
Ok, DMC è uno che rovina gli spogliatoi. Pure Anthony Davis, che ha indossato la sua maglia nell’ultimo All Star Game per omaggiare il compagno infortunato, ha leggermente cambiato idea sul vecchio amico:

Ma, ragazzi, è pur sempre D-e-m-a-r-c-u-s  C-o-u-s-i-n-s aggiunto ai bi-campioni in carica.

Taglio corto: se torna al 80-90% i Warriors potrebbero essere la squadra più forte di sempre, alieni di Space Jam inclusi.

Bene per Golden State che ha potuto fare l’investimento con la consapevolezza di non aver problemi a giocare qualche mese senza i 25 punti e quasi 13 rimbalzi in carriera di media di DMC (e non è detto che anche al suo rientro la lineup più forte non implichi il ragazzone dell’Alabama in panchina) che a 5.4 milioni di dollari (che nella NBA versione 2018 sono gli spiccetti rimasti in tasca) se anche giocasse bene solo una o due serie di post season sarebbe un affare colossale.

  • Los Angeles Lakers: strasalgono

Ovviamente è una “strasalita” relativa. Non sono da titolo ma occhio a tenere gli occhi aperti sugli angeleni, sia per il roster alla nitroglicerina, sia per possibili trade durante la regular season

Mi spiego meglio: aggiungi ad una squadra che non ha fatto i Playoffs l’anno scorso il miglior giocatore di basket al mondo, una point guard vecchio stile che ha ancora qualcosa da dire, un galeotto come Michael Beasley (che quando ne ha voglia è ancora un giocatore di basket divino, almeno offensivamente), un fenomeno (da baraccone spesso) come Lance Stephenson e una cricca di giovani molto talentuosi e chiunque capisce che il mix di talento e pazzia potrebbe essere esplosivo.

Magari sul parquet qualche problema lo avranno, ma per quanto riguarda il bar fighting sono sicuramente da titolo.

It’s LA again baby.

Non ne hanno abbastanza per vincere subito, è ovvio, ma non è nemmeno così importante.

Qualche analista addirittura sostiene che anche i Playoff potrebbero essere a rischio, probabilmente esagerando. Secondo me è molto difficile vederli fuori dalle prime 5, come è molto difficile non essere contenti -se la NBA ti piace anche solo da lontano- che Boston e Los Angeles abbiamo di nuovo le luci dei riflettori sopra.

  • Denver Nuggets, Utah e Portland: salgono (ma chi se ne frega)

Lo so, lo so. Qualcuno sarà già pronto a dirmi che parlo solo delle franchigie glamour e che le altre non me le filo troppo. Non spreco tempo con l’arringa difensiva: è vero.

Ma, se mi consentite una domanda, quanti di voi credono realmente che una di queste squadre abbia REALMENTE una chance di titolo nel breve o lungo termine?

Perfetto. Andiamo oltre.

  • Houston Rockets: scendono

I Rockets hanno perso pezzi importanti, uno su tutti: Trevor Ariza.
Mentre tutti ammiccano quando si parla di Capela (la pazienza dei Rockets e alcune situazioni favorevoli di mercato hanno concesso ai texani di risparmiare un bel po’ sul loro centro, chiudendo a 85 milioni di dollari circa, quando il cestista di Ginevra cercava invece un accordo superiore ai 100) ed aver perso l’atletismo difensivo del camerunense Mbah a Moute sembra tutto sommato un qualcosa di superabile, il nome dei Rockets è ancora sulla bocca di tutti per l’affare “Melo”.

Anche se era già chiaro da tempo che OKC non avrebbe mai pagato 100 milioni di luxury tax per tenere un giocatore che non ha certamente brillato in regular season e nelle ultime partite chiave non è nemmeno andato vicino a alla doppia cifra, l’approdo di Carmelo Anthony in Texas passando per il buyout di Atlanta, ad inizio estate non era una mossa così ovvia, mentre adesso appare inevitabile.

Melo, che prenderà tutto lo stipendio da 25 milioni di dollari e rotti anche se sballottato (virtualmente) in giro per gli States ha ovviamente fatto parlare molto di sé a causa della sproporzione fra salario e rendimento e soprattutto per colpa del fatto che non vuole ancora accettare il fatto che la sua carriera NBA è inesorabilmente arrivata al tramonto.

Le opinioni sul giocatore e sui risvolti passati e futuri si sprecano. Poi ci sono io, che ‘sta trade’ non la capisco.

Difensivamente non la capisco perché Anthony, anche se cambiasse attitudine, non è un gran difensore, punto.

Offensivamente non la capisco perché il gioco dei Rockets mal si sposa con le caratteristiche di Carmelo che solitamente ha bisogno di fermare la palla e prendersi i suoi possessi in isolamento, soluzione già esplorata spesso e volentieri da Harden. Vero che potrebbe aggiungere quel mid-range game che tanto è mancato ai texani nelle ultime due gare contro Golden State ma è anche vero che a gestire la baracca c’è quello stesso Mike D’Antoni che con la maglia dei Knicks non è stato proprio il miglior amico di Carmelo.

Una mezza lancia però a favore del Melo io la voglio spezzare. Senza dilungarmi troppo in questa disamina, ci tengo a ricordare che avevamo tutti crocefisso anche Victor Oladipo dopo un solo anno di OKC & Westbrook per poi riscoprirlo pochi mesi dopo come una divinità della eastern conference. Melo non ridiventerà mai un Dio, quello no di certo, ma fra il paradiso e l’inferno da 5 punti a partita le vie di mezzo sono infinite e le fortune dei Rockets saranno legate a dove riusciranno a posizionare Melo su questa scala.

Globalmente, affare di Melo a parte, una parte del carico difensivo potrebbe essere assorbito dalla panchina e da un minutaggio diverso di comprimari di lusso come Tucker e Gordon ma la verità è che i Rockets, a oggi, anche con una superstar in più, sembrano una contender meno insidiosa di 365 giorni fa.

  • Spurs: salgono

Vero che hanno perso Leonard, ma è anche vero che la squadra dell’Alamo arrivata agli ultimi Playoffs  con un totale di 9 partite del nativo di San Diego (pagate la “modestissima” cifra di 19 milioni) a causa di un infortunio probabilmente finto o, se non siete maligni come il sottoscritto, sicuramente reso più serio di quanto fosse.

Alla stessa rosa (meno Danny Green e Tony Parker) aggiungi un all-star come DeRozan da quasi 24 punti a partita di media in carriera, il ritorno di Belinelli e la somma delle parti non può peggiorare. Specialmente se a shakerare il tutto, dietro il bancone c’è un barman esperto come Gregg Popovich.

Gli Spurs non sono una title contender ma nello scambio per Leonard hanno guadagnato tanto. Non in termini netti (Leonard sano è molto più forte di Derozan, c’è poco da dire) ma a livello di personalità sembra uno dei pochi giocatori sulla piazza fatti per lo spogliatoio degli Spurs e, in modo completamente speculare, lo spogliatoio degli Spurs potrebbe proprio essere il luogo adatto per affrontare e risolvere definitivamente quei problemi mentali di autostima e depressione ammessi nella scorsa stagione.

Don’t sleep on them…

  • New Orleans Pelicans: in picchiata

Ad una squadra che l’anno scorso è stata piallata dai campioni in carica nel secondo turno dei Playoffs dovete togliere Rondo e Boogie Cousins e aggiungere Julius Randle ed Elfrid Payton. E’ vero che nello sport 2+2 non fa sempre 4, ma è anche difficile che 10-100 rimanga una quantità positiva.

Io ogni volta che penso ai Pelicans più che al passato e al futuro della franchigia vengo sempre rigorosamente preso da un senso di sconforto a pensare che Anthony Davis abbia buttato tutti quegli anni lì a giocare per il nulla. Non so esattamente come finiranno la stagione ma la speranza di molti è che la barca affondi prematuramente per poter inseguire da subito il 23 e portarlo altrove (magari ad east, grazie. Magari in una squadra gestita da Danny Ainge, grazie)

  • OKC: salgono (forse)

La cessione di Melo e la rinnovata fiducia di Paul George in Westbrook potrebbero essere un balsamo straordinario per l’orchestra di Sam Presti che nella strana trade con gli Hawks per Anthony si è pure accaparrato un altro ottimo giocatore come Dennis Schroder. Se aggiungiamo anche che Andrè Roberson -che pur non essendo la panacea per tutti i mali di OKC è sicuramente una medicina efficace per combatterne alcuni- è quasi pronto al rientro  le speranze di una buona stagione sono legittime, anche se gli spettri di quella precedente offuscano il futuro.

Talento ne hanno, è ovvio, ma ne avevano anche l’anno scorso e la ciambella sicuramente non è uscita con il buco. Come sempre quando si parla di OKC, molto sarà sulle spalle del numero O.
Zero, come zero è la fiducia che oramai mi è rimasta nella point guard dei Thunder, anche se mai come in questa volta mi piacerebbe essere smentito.

Per il tutto il resto che non sia Westbrook… beh ci sono Steven Adams e le sue memorie recentemente pubblicate:

  • Minnesota Timberwolves: scendono

Dovevano essere il crack (positivo) della scorsa stagione, invece “crack” (inteso come l’onomatopea di una bella frattura) l’hanno fatto loro appena s’è iniziato a giocare duro. Alle prese con uno spogliatoio fragile e disarmonico ed un coach (Tom Thibodeau) che ancora non sembra riuscire a far brillare gruppi talentuosi, il futuro della squadra di Minneapolis non è per niente roseo.

Mentre non sembra preoccupante il fatto che Towns non abbia ancora rifirmato (legato probabilmente più a questioni economiche; aspettando la prossima stagione, se nominato All NBA, potrebbe prendere molti più soldi anche continuando a vestire la maglia dei Timberwolves) è invece praticamente certo che Butler non rinnoverà al termine della stagione, modificando sostanzialmente i progetti della franchigia.

Non hanno (ancora) perso dei giocatori chiave, ok, ma hanno perso quell’alone di timore che generava quel loro mix di talento, gioventù e atletismo. La sensazione dominante adesso è che, anche all’interno della loro cerchia, nessuno creda più davvero in questo gruppo ed in un loro salto di qualità finale. Ed è davvero un peccato.

 

Commenta

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.