Le sliding doors nella vita sono all’ordine del giorno, presenza costante nella quotidianità dell’essere umano. Porte che si aprono, porte che si chiudono. Nel mezzo, una scelta, una decisione da prendere sperando che il fato sia benevolo, la sorte favorevole, la dea Fortuna non bendata.

Sarebbe troppo semplice, tutto sommato, addossare a fattori esterni la riuscita di un’azione, la realizzazione di un ideale. Occorrono pazienza, sacrificio, intelligenza e una buona dose di volontà.

Se ci sono due persone che lo sanno bene, quelle sono Steve Ballmer e Doc Rivers, alias proprietario e capo allenatore dei Los Angeles Clippers, la franchigia che più è cambiata negli ultimi sei mesi, un arco di tempo scandito dagli addii dei due uomini simbolo, Chris Paul e Blake Griffin.

Ora, tanti volti nuovi, diverse idee di gioco, un presente e un futuro da riscrivere. A discapito dei dubbi sollevati in seguito alla trade che ha coinvolto l’ala grande cresciuta in Oklahoma, spedita a Detroit in cambio di Avery Bradley, Boban Marjanovic e Tobias Harris, in California sembrano aver trovato il giusto ritmo, la quadratura del cerchio che potrebbe significare accesso ai playoff, un mondo che fino a poche settimane fa sembrava un pensiero astratto e proibitivo, privo di consistenza e fondamenta, soprattutto a causa dei tanti infortuni occorsi alla squadra meno vincente della città degli angeli.

I Clippers di metà ottobre erano partiti con diversi, buoni propositi, consapevoli di una nuova forza scaturita dall’inserimento di ottimi interpreti del gioco della pallacanestro.

Inutile nascondersi dietro un dito: l’obiettivo era guadagnare una posizione alta nel quadro della terribile Western Conference. Poi, l’ecatombe di problemi fisici e l’inesorabile discesa verso i bassifonfi della classifica. Con Teodosic, Gallinari, Rivers e Beverley fuori, il roster a disposizione di coach Rivers è stato completamente stravolto.

Molti i quintetti improvvisati, puntellati di giovani prelevati dalla D-League, parecchie le delusioni, con il solo Lou Williams a dominare incontrastato la scena. Fino al 29 gennaio, giorno della rivoluzione nella Lob City.

Pensieri, parole, opinioni, tante e spesso discordanti. Chi ci ha guadagnato? Per quanto sia possibile volare alti con la fantasia provando ad ipotizzare possibili finali vincenti e gloriosi per ambe le parti, occorre rimanere lucidi e attenersi a quello che il campo ha detto fino adesso.

La versione dei Clippers precedente al mercato di riparazione è stata Blake dipendente, un po’ per le sue caratteristiche tecniche, un po’ per la mancanza di alternative dovuta al sovraffollamento dell’infermeria, fattori che hanno contribuito a calamitare il pallone nelle mani del numero 32.

La logica conseguenza è stata quella di un attacco piuttosto prevedibile e lontano dai canoni NBA attuali, una fase offensiva one way, accesa e resa sbarazzina dal già citato Williams, ancorata a stilemi di gioco definibili vintage. Per riassumere il quadro, post basso e centro dell’area, i concetti chiave del vocabolario del nuovo giocatore dei Pistons, un vocabolario che ha provato ad ampliare, aggiungendo nozioni come tiro dal perimetro o playmaking, seppur con risultati modesti.

Non sono le sue specialità. E’ un “4” che rimane tale e, ormai prossimo ai 30 anni, l’esplosività che lo ha messo sulla mappa del basket mondiale sta progressivamente affievolendosi. Nonostante i tentativi di crescita cestistica, il gioco di Blake Griffin non cambia. Per rendere al massimo lo Spalding deve essere di sua esclusiva proprietà, con tutte le conseguenza che ciò può comportare: scarso movimento di palla, lentezza e poca inclusione del quartetto accompagnatore.

Le statistiche, per quanto insufficienti, possono darci una mano nella comprensione della situazione. Fino a gennaio il numero di assist per partita è stato sotto la media della lega, equivalente ad uno scarso 21.3. Lo stesso discorso vale per l’offensiva rating (106) e il numero di possessi a serata (99). Dal 29 gennaio in poi, la musica è cambiata.

Complici i recuperi di Teodosic, Gallinari e Rivers e con l’aggregazione del trio proveniente dal Michigan, l’approccio alle gare ha subito evidenti stravolgimenti. La circolazione di palla è molto più fluida e veloce, i possessi sono ripartiti in maniera equa tra i giocatori, l’aggressività è in aumento, così come la consapevolezza di essere un gruppo competitivo, requisito fondamentale per arrivare fino in fondo.

Le peculiarità offensive sono in continua evoluzione, a dimostrazione della libertà psicologica di cui godono i Clippers. Il numero di triple tentate, 28.3, ha subito un leggero ma significante incremento rispetto al 25.5 di inizio anno, merito di Tobias Harris, specialista, e del ragazzo di Sant’Angelo Lodigiano, 2 lunghi moderni capaci di aprire la scatola.

Altro punto chiave del cambiamento bianco-rosso-blu concerne i passaggi vincenti, saliti a 23.3 di media, una cifra in graduale e costante crescita. I primi risultati, benchè sia presto per trarre conclusioni, sono molto positivi, sinonimo di una fiducia ritrovata e di un grande lavoro svolto da Doc Rivers. Non a caso, il record senza Griffin è di 6-3. Se il buongiorno si vede dal mattino…

Questa estate i Clippers potrebbero addirittura avere qualche chanche di investire sul mercato, motivo di eccitazione per i tifosi angeleni. E’ ancora difficile stabilire se Jerry West l’abbia spuntata o meno, eppure, al momento, le stelle indicano la via del successo.

One thought on “I Clippers e la vita senza Blake Griffin

  1. La penso come l’autore dell’articolo su Blake G.:forte, esplosivo, talento, ma non è il giocatore che guida una squadra, che ti fa vincere il titolo. Per rendere ha bisogno di tanti palloni e ciò incide sul gioco, come difensore non si può definire una roccia. I Clippers avevano scommesso su lui, CP3 e Jordan, ma solo il play a mio parere era uno vero, gli altri due invece sono giocatori che hanno mezzo e talenti ma non spostano in maniera continua e significativa. In estate credo che L.A. rifonderà di nuovo, intanto si gode un presente inatteso. I giochi di squadra sono strani(e affascinanti) perchè appunto la chimica di squadra spesso fa più differenza del talento. Sgravati da pressioni di vittoria, con personale che cerca riconferme o vuole mettersi in luce, sembra che i Clips giochino con più scioltezza che in passato e stanno puntando ai p.o.Ad ovest la vita è durissima, ma le partite si giocano sul campo e non on-line e tutto può accadere.

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