Ora che la serie finale è terminata, è anche un po’ scemata quell’orgia emotiva che accompagna sempre l’atto finale del campionato di basket più bello del mondo.

Resta il freddo risultato, ossia che i Golden State Warriors sono di nuovo campioni NBA e i Cleveland Cavaliers sono gli ultimi, grandi sconfitti di questa stagione, avendo dovuto abdicare da quel trono conquistato con così grande fatica poco meno di dodici mesi fa.

Riflettendo un po’ su quello che è accaduto in queste ultime due settimane e soprattutto leggendo / guardando / ascoltando molte delle analisi che sono state fatte sui vari media ho però una strana sensazione. Ha a che fare con le controversie legate alla decisione di Kevin Durant di unirsi ai Golden State Warriors, con le discussioni su quanto questa sconfitta possa danneggiare la legacy di LeBron James, con le critiche su quanto i nuovi superteam rovinerebbero il prodotto NBA, e con tutte le altre piccole o grandi polemiche che hanno riempito in modo quasi opprimente gli spazi compresi tra i 240 minuti di basket giocato durante queste finali.

Per colpa di tutte queste cose, ho come la sensazione che non tutti si siamo resi conto del livello di basket a cui abbiamo assistito, a parte probabilmente chi ha deciso di pagare oltre 130.000 dollari per vederne una.

Se è vero infatti che i primi tre turni di playoff sono stati piuttosto noiosi, il motivo va da ricercarsi non tanto in un crollo generale del livello della NBA odierna, quanto nella clamorosa differenza di livello tecnico tra l’accoppiata Warriors+Cavaliers e le altre 28 franchigie della Lega.

In termini di talento, organizzazione e qualità di gioco, queste due squadre si ergono oggi stabilmente testa e spalle sul resto delle contendenti. Ecco perché hanno dominato tutte le rivali, ma se lo spettacolo offerto nel percorso netto dei Dubs e quasi netto dei Cavs verso la finale non era stato eccelso, questo non è stato il caso delle NBA Finals.

Abbiamo visto un basket stellare, in cui le performances degli attacchi sono state strabordanti (Offensive Rating di 117.5 per i Warriors e di 111.6 per i Cavaliers) ma non per colpa di difese all’acqua di rose, bensì grazie ad interpreti in grado di superare costantemente il limite del contenibile. E, come dice il buon Flavio Tranquillo, “Grande attacco batte grande difesa sette giorni su sette”.

Mi fa quindi fa un po’ tristezza veder sminuite due imprese: da una parte l’incredibile risultato raggiunto dai Golden State Warriors, che hanno espresso forse il miglior livello di basket mai visto su un campo da gioco, dall’altra la straordinaria resistenza opposta dai Cleveland Cavaliers, che hanno gettato sul ring tutto quello che avevano e non hanno a mio parere (e non solo) niente da rimproverarsi

I Cavaliers si erano presentati all’appuntamento finale della stagione da sfavoriti e hanno semplicemente rispettato il pronostico, ma se mai c’è stata una squadra a cui va riconosciuto l’onore delle armi questa dovrebbe proprio essere quella di James e compagni.

LeBron ha dimostrato di essere ancora il miglior giocatore del pianeta, se possibile alzando ancora il suo incredibile livello di gioco e chiudendo con la prima tripla doppia di media nella storia delle Finals a 33,6/12,0/10,0 con il 56% dal campo.

Numeri irreali che testimoniano, se mai ce ne fosse il bisogno (ed a quanto pare c’è) come siamo di fronti ad un giocatore che probabilmente ha trovato il codice sorgente di Matrix, e che quindi riesce ad ignorare le leggi che valgono per gli altri comuni mortali.

Eppure si punta spesso il dito sul fatto che James abbia perso ben 5 delle 8 finali che ha disputato, anche se gioverebbe ricordare il fatto che i favori del pronostico erano dalla sua parte solo in due di queste occasioni e che riesce costantemente ad alzare il livello delle sue squadre per il mero fatto di essere in campo.

Tanto per fare un esempio, nei 212 minuti in cui James è rimasto in campo nelle Finals i Cavs hanno perso il confronto per soli 12 punti, mentre con lui fuori i compagni erano solidi quanto l’economia del Venezuela e andavano sotto di quasi un punto al minuto. Serve altro?

Se James è stato stellare, non è che Kyrie Irving sia stato particolarmente inferiore al suo compagno e amico, per lo meno nella metà campo offensiva. Se escludiamo le prime due gare alla Oracle, nelle altre tre Irving è stato sostanzialmente immarcabile per chiunque, compreso lo straordinario Klay Thompson, dominando la scena quasi come il suo alter ego Uncle Drew nell’ormai famoso spot della Pepsi.

I due fenomeni dell’Ohio non sono sempre stati sostenuti allo stesso modo dai compagni, perlomeno non da tutti. Il migliore del supporting cast è stato sicuramente JR Smith. A parte gli 11 punti di media, è stato una minaccia costante dall’arco tirando con grande efficienza (58% su oltre 6 tentativi a partita) ed è stato l’ultimo ad arrendersi.

Abbastanza bene ha fatto anche Richard Jefferson che ha chiuso con il miglior plus-minus della squadra (-0,6), anche se è stato spesso vivisezionato da Kevin Durant nei momenti in cui si è trovato a doverlo marcare. Ma se è per questo chi può dire di essere riuscito a fermare il giocatore più efficiente nella storia delle NBA Finals?

Tra i bocciati, Kevin Love è sicuramente il giocatore che ha deluso di più chiudendo con soli 16 punti di media con il 38% dal campo (numeri tra l’altro “gonfiati” dall’ottima Gara 4, altrimenti sarebbero anche peggiori), ma di lui parleremo dopo.

Anche Tristan Thompson ha disputato una serie molto sotto le attese, ma c’è da dire che il gioco run-and-gun non è proprio nelle sue corde e quindi fino a Gara 4 non ci ha praticamente capito niente. Dietro alla lavagna vanno anche Deron Williams, Kyle Korver e Iman Shumpert che non hanno saputo rendersi utili alla causa se non in sporadici momenti della serie.

Personalmente giudico insufficiente anche il contributo di coach Tyronn Lue. Vero che aveva di fronte uno juggernaut senza praticamente alcun punto debole, ma nel corso delle cinque gare di finale si sono visti ben pochi aggiustamenti tattici o nelle rotazioni.

I Cavs hanno continuato a impostare tutte le partite della serie cercando di segnare un punto in più dei Warriors, cercando di sfidare il nemico sul suo terreno favorito, una scelta strategica che avrebbe fatto inorridire il povero Sun Tzu e che si è rivelata quantomeno azzardata.

E adesso? Sebbene lo scontro tra LeBron e Draymond Green sembra non essersi fermato con il taglio della retina, per Cleveland è tempo di bilanci e di valutare cosa fare nel corso di una offseason che si preannuncia piuttosto spinosa.

Perché se l’analisi sul futuro dei Warriors è piuttosto semplice e “monotona” (a meno di cataclismi i Big 4 + Iggy&Livingston resteranno assieme ancora per due o tre anni almeno), l’orizzonte degli eventi per i Cavs si annuncia molto più complicato. Fatti salvi eventuali infortuni, sempre in grado di scompaginare le carte in uno o nell’altro senso, appare infatti abbastanza chiaro come in un ipotetico quarto episodio della serie da disputarsi nel Giugno del 2018, i Cavs partirebbero nuovamente (e nettamente) sfavoriti.

Sono loro quindi a dover pensare a qualche mossa di mercato per cercare di ridurre il gap, anche se l’impresa non si preannuncia particolarmente semplice. La flessibilità salariale di Cleveland è letteralmente inesistente, avendo già immobilizzato quasi 130 milioni di dollari con i giocatori già a contratto per la prossima stagione (ben oltre la soglia della luxury tax).

Tutto dovrà necessariamente partire dalla scelta di rinnovare o meno il contratto di David Griffin, attuale GM dei Cavs in scadenza e con diversi estimatori nella Lega (ad esempio i Bucks). Tornando ai giocatori, partendo dall’ovvio presupposto che LeBron e Irving sono ovviamente incedibili e che il supporting cast non presenta particolari pezzi pregiati da utilizzare come pedine di scambio sul mercato, l’unico asset di valore è rappresentato da Kevin Love.

Anche se è stato protagonista della miglior stagione dal suo arrivo in Ohio e di altrettanto ottimi playoff, l’ala da UCLA anche quest’anno ha dimostrato di non essere particolarmente adatto al matchup con i Warriors. Costantemente coinvolto nei pick-and-roll degli avversari, Love ha fatto quello che poteva per tenere in difesa (non la specialità della casa) e si è battuto a rimbalzo, ma in attacco si è praticamente reso utile solo come tiratore sugli scarichi, non riuscendo mai a far valere le sue qualità di giocatore in post e quindi finendo per essere utile solo quando il tiro da fuori è entrato con continuità (ossia in Gara 4 e praticamente poco altro).

Inoltre, la necessità di convincere James a fermarsi a Cleveland anche oltre l’estate del 2018, rappresenta una sorta di pietra tombale sul futuro di Love in quel dell’Ohio: i Cavs devono andare all-in adesso e per provare a cambiare qualcosa l’unica scelta è proprio quella di scambiare l’ala da UCLA. Già, ma in cambio di chi?

Il tanto vituperato Love è pur sempre un giocatore da 20+10 in stagione, un pluri AllStar con una dimensione offensiva interna-esterna che non hanno poi così tanti giocatori, soprattutto di quel livello. Non sarà quindi facile trovare un giocatore migliore di lui, ma in questi giorni le voci di mercato si concentrano soprattutto su alcuni nomi.

Proviamo quindi ad analizzare tre diverse possibilità, associando a ciascuna i pro e i contro dell’eventuale scelta.

SCENARIO A: Kevin Love ai Knicks in cambio di Carmelo Anthony

PRO

  • I rumors di febbraio davano per certa la proposta dei Knick per questo scambio, quindi quasi sicuramente l’offerta sarebbe sul piatto anche oggi
  • Phil Jackson è talmente ai ferri corti con Anthony che arrivati a questo punto forse scambierebbe Carmelo anche per Kevin… Hart

CONTRO

  • Se Love è una discreta passività difensiva, Anthony è praticamente un mutuo sub-prime, quindi da questo punto di vista non migliorerebbe il punto debole di Cleveland
  • Carmelo è un accentratore di gioco abituato ad avere la palla in mano spesso, nella squadra di James e Irving si dovrebbe “accontentare” di giocare molto di più lontano dalla palla

BOTTOM LINE

  • Carmelo Anthony ha in mano una no-trade clause che impedisce i Knicks di spedirlo in una destinazione a lui non gradita, ma sicuramente sarebbe contento di unirsi a LeBron e lottare finalmente per il titolo. Ma non è il giocatore più adatto per il sistema dei Cavs, perchè non migliora (anzi peggiora) la tenuta difensiva dei vice-campioni del mondo.

SCENARIO B: Kevin Love ai Pelicans in cambio di DeMarcus Cousins

PRO

  • I Cavs potrebbero giocare con un mega-quintetto con Thompson, DMC e James, cercando di virare su una pallacanestro diametralmente opposta a quella dei Warriors
  • Cousins è meno perimetrale di Love, ma ha range di tiro ed ha molta più potenza nel gioco interno, potrebbe approfittare del vantaggio fisico sui giocatori di Golden State come Love non è stato in grado di fare

CONTRO

  •  Cousins è abbastanza noto nella NBA per avere un carattere un filino complesso da gestire, sicuri che accetterebbe di buon grado di soggiornare tranquillo nella corte di King James?
  • DMC è un’altro giocatore che ama gestire il gioco, sia in post che nel resto del campo. A meno che la NBA non introduca la possibilità di giocare con due palloni, qualcuno qui rimarrebbe scontento. E poi ci sarebbe anche da difendere…

BOTTOM LINE

Scenario abbastanza da fantabasket, i Pelicans hanno appena preso Cousins e vogliono provare a far funzionare la sua coesistenza con Anthony Davis. Love sulla carta sarebbe per loro una soluzione tatticamente più difficile oltre che un sensibile downgrade dal punto di vista tecnico. Di certo per i Cavaliers sarebbe un’ipotesi affascinante.

SCENARIO 3: Kevin Love ai Pacers in cambio di Paul George

PRO

  • George potrebbe essere la miglior scelta disponibile per marcare Kevin Durant in un possibile “Episode IV” della rivalry con i Warriors
  • L’arrivo di George permetterebbe a LeBron di giocare stabilmente da 4, posizione che è destinato ad occupare con più frequenza man mano che (forse?) calerà il suo spaventoso atletismo

CONTRO

  • George è in scadenza di contratto nell’estate del 2018 e potrebbe abbandonare la barca assieme a LeBron, lasciando ai Cavs una voragine cosmica impossibile da riempire
  • I Pacers forse non potrebbero trovare sul mercato un giocatore migliore di Love per scambiare PG13 uno-contro-uno, ma forse preferiranno un pacchetto che comprenda giocatori giovani e/o scelte su cui ricostruire

BOTTOM LINE

  • Questo scenario potrebbe essere possibile, oltre ad essere probabilmente quello che garantirebbe un vero upgrade di possibilità nel caso di in un nuovo rematch contro i Warriors. George ha recentemente dichiarato di voler rimanere ai Pacers, ma si sa che queste sono spesso dichiarazioni di circostanza e l’idea di competere per il titolo al fianco di LeBron James di sicuro potrebbe essere per lui molto stimolante.

Come potete capire, sono tutte ipotesi intriganti (potete provarne a fare altre anche voi utilizzando la trade machine della ESPN) ma bisognerà vedere se e cosa verrà deciso dalla dirigenza dei Cavs.

In ogni caso Cleveland deve tentare il tutto per tutto perchè, a differenza di altre franchigie, non può permettersi di aspettare che l’uragano Hamptons Five sia passato. Altrimenti LeBron potrebbe decidere che Cleveland non è poi così affascinante come afferma questo (mitico) video di promozione turistica…

2 thoughts on “I Cleveland Cavaliers tra passato, presente e futuro

  1. Il fatto è che Lebron James è il miglior giocatore del pianeta, ma non è il miglior GM e allenatore in circolazione, anzi. Fin tanto che le squadre in cui gioca gli permettono di coprire questi 3 ruoli o comunque lui non decide che deve limitarsi a fare il giocatore, il supporting cast non sarà mai all’altezza delle cifre spese. Poi ovviamente lui con il suo talento paga la cauzione per tutti, ma quando vedo il payroll dei Cavs mi vengono i brividi. 7 mln a Frye, 5 a Korver 12 a JR (che pure ha giocato delle signore finals… ma guadagna come Curry!!!) 15 a TT (che ammiro molto come giocatore, ma a quelle cifre è totalmente overpriced). Per non parlare degli 1,5 mln all’amico di sempre Jones, che se non sbaglio è pure lui alla settima finale consecutiva!!!
    La morale, secondo me, è che fino a che il criterio di scelta dei giocatori sarà “sua moglie va d’accordo con la mia”, “ci piacciono gli stessi ristoranti”, “mi fa ridere in spogliatoio”, Cleveland sarà una contender (e in questo momento per essere contender basta avere LBJ. Anche i Nets sarebbero una contender se James decidesse di andare a Brooklyn) ma non colmerà mai il gap con GS, anche perché il modello di gioco promosso da Cleveland, al di là degli interpreti, è Lebron centrico, quindi quando LBJ non è in campo la squadra non riesce letteralmente a giocare. E il sistema di gioco è questo perché il Re vuole che sia questo. E anche in questo c’è un abisso tra Cleveland e GS (o Spurs): ovvio che gli Warriors dipendono da Curry Thompson Iggy e Durant, ma hanno un sistema di gioco che permette anche ai vari Clark, Mcaddo e McCow di eseguire.
    I Cavs hanno bisogno di un allenatore e di un GM che agiscano di testa propria senza paura di scontentare il Re, e hanno bisogno che LBJ accetti di farsi scontentare per un bene maggiore. Ad oggi la vedo molto dura.

  2. Giorgio complimenti per l’articolo e complimenti a Mattia per il commento di cui sopra che condivido in toto.
    Vorrei porre una semplice domanda.
    in tutta onestà, in questa finali chi ha giocato meglio James o KD?
    a me sembra, oltre all’occhio anche numeri alla mano, meglio KD in maniera pure abbastanza netta, senza nulla togliere al 23 che è stato stellare.
    Se siete d’accordo vorrei sapere se qualche dubbio (dubbio non certezza) su chi sia oggi il più forte della lega è lecito? secondo me si. l’anno scorso per me lebron giocò meglio

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