Nelle ore precedenti a Gara 1, tra i vari i dubbi degli addetti ai lavori sulla difesa di Cleveland ce n’era uno che svettava su tutti gli altri: chi marcherà Kevin Durant? La risposta più immediata sembrava indicare proprio Sua Maestà LBJ come il giocatore più adatto a svolgere l’ingrato compito.

 James è stato effettivamente il principale giocatore dei Cavs a prendere in consegna KD, ma i risultati non sono stati particolarmente incoraggianti. A parte i 38 punti finali dell’ala dei Warriors, ad impressionare è stata la facilità con cui quella clamorosa macchina da punti con la maglietta gialloblu e il numero 35 sulla schiena sia andata al ferro a piacimento nel corso di quasi tutta la gara. LeBron è sembrato impotente, fuori posizione e a tratti quasi svogliato.

Intendiamoci, non che James non abbia le qualità, la struttura fisica o le doti tecniche per marcare Durant. Stiamo parlando di un quattro volte First Team All Defense (cit.) che su un campo da pallacanestro è in grado di marcare praticamente chiunque in qualunque ruolo. 

Il problema è che, per quanto sia una specie di semidio, anche LeBron non può pensare di spremersi in difesa per 40 minuti a marcare il miglior giocatore degli avversari, se poi dall’altra parte l’attacco dei suoi dipende da lui in modo così simbiotico. James ha quindi approcciato questo assignment  con moderato dispendio di energie fisiche e mentali, e i risultati sono stati questi.

Qui James cerca di contenere la transizione dei Warriors, ma nel farlo volge le spalle a Durant. Quando si gira per fronteggiarlo ormai è troppo tardi anche per fare fallo.

Errore ancora più clamoroso in questa occasione: una distrazione sulla rimessa di Curry genera una facile ricezione sul lato opposto per KD, che mette palla per terra scherzando (!) il tentativo di recupero di James che finisce addirittura per le terre.

Non che agli altri suoi compagni sia andata poi tanto meglio. Jefferson, Smith, Irving o chiunque altro abbia tentato di fermare Durant (e Curry), tutti hanno avuto ben poca fortuna. Probabilmente per Gara 2 il coaching staff dei Cavs proverà a proporre qualche aggiustamento, magari rispolverando dalla naftalina Derrick Williams, ma non sarà certo un compito facile.

La sensazione è che Tyronn Lue abbia provato in questa Gara 1 a seguire pedissequamente la strada che ha portato i Cavaliers fino a qui. Stesse rotazioni (più o meno) rispetto alle serie precedenti, stessa intensità nell’andare a rimbalzo d’attacco, stessa tendenza a cercare il più possibile il gioco in transizione. 

Il problema (grave) è che i Warriors non sono nè i Celtics, nè i Raptors, nè i Pacers, ma una delle migliori squadra mai costruite nella storia di questo Gioco. Pensare di difendere con questa superficialità e confusione, oppure accettare di giocare una partita ai 110 possessi correndo avanti e indietro per il campo, sono approcci che, se perseverati, rischiano di rendere questa serie molto, molto corta.

L’unico aggiustamento tattico abbozzato da Coach Lue si è concretizzato nel tentativo iniziale di cavalcare il vantaggio fisico di Kevin Love in post basso, ma anche questa strategia ha prodotto molto poco. Il superiore tonnellaggio in favore dell’ala da UCLA è stato sistematicamente annullato dalle capacità dei giocatori dei Warriors di tenere l’uno-contro-uno e di ruotare il resto dei giocatori, mandando sporadici raddoppi ad infastidire i suoi tentativi di avvicinarsi a canestro o di riaprire per i compagni.

Love ha disputato un’ottima gara a rimbalzo (ben 21 quelli da lui catturati) ma il suo 4 su 13 al tiro ha pesato enormemente nella fluidità offensiva dei Cavs. James (28/15/8 ma anche ben 8 palle perse) e Irving (24 punti con 3 su 4 dalla distanza, compreso questo tiro) hanno tenuto a contatto Cleveland fino alla metà del terzo quarto, ma la sensazione è che se i Warriors non avessero sprecato diversi lay-up nel primo tempo, la partita sarebbe probabilmente finita molto prima.

JR Smith ha segnato il primo canestro della gara con una pregevole tripla dall’angolo, dopodiché in attacco è stato praticamente nullo (che sia stato disturbato dall’arrivo di Rihanna a bordo campo?). Non meglio hanno fatto i suoi compagni: se escludiamo il volenteroso Jefferson (e i sette ininfluenti punti del garbagista Dahntany Jones), il quartetto Thompson-Korver-Shumpert-Williams ha totalizzato un aggregato di soli 5 punti. Troppo poco per pensare di impensierire una squadra profonda e completa come quella dei Warriors. Se Cleveland vuole cominciare a giocarsi le sue chances in questa serie, i giocatori di “rincalzo” dovranno necessariamente salire di colpi.

Cosa salvare di questa Gara 1? Non molto. In attacco Cleveland ha giocato un buon primo quarto, in cui è riuscita a trovare le conclusioni che voleva coinvolgendo difensivamente Curry sui pick-and-roll. Richard Jefferson, anche se a quest’ora dovrebbe essere a bere tequila su una spiaggia dei Caraibi, ha dimostrato di poter offrire un discreto contributo, mentre James e Irving hanno retto la prima ondata degli avversari con giocate di potenza e di classe sopraffina.

Irving sfrutta il blocco alto di Thompson (su Thompson) per liberarsi della marcatura e attaccare dal palleggio Draymond Green. L’orso ballerino difende come al solito alla grande ma Kyrie è semplicemente troppo bravo.

Qui invece James dimostra al pubblico di Golden State che, se decide di andare al ferro, un sette piedi come McGee può infastidirlo più o meno quando una zanzara può disturbare un elefante…

Oltre a questo, poco altro… In particolare, la tanto discussa difesa dei Cavaliers è stata letteralmente fatta a fette dal gioco spumeggiante dei Warriors. Dalla riduzione di questo gap passano forzatamente tutte le speranze dei Cavaliers di rimettere in carreggiata la serie. 

Questo primo, attesissimo episodio ha mostrato una differenza tra le due formazioni che è sembrata decisamente scoraggiante per la franchigia dell’Ohio, ma se un libro non va giudicato per la copertina, tantomeno le NBA Finals possono essere archiviate dopo una sola gara.

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