All that Jazz

La NBA e lo spettacolo, rapporto intenso, passionale, eterno. E’ un amore così grande che la NBA ogni anno organizza un weekend di festa per auto-celebrare la propria unica espressività d’intrattenimento.

Certo, oggi ogni sport ha il proprio All Star Game, ma diciamolo chiaramente : la festa del basket è la più bella. Perché ? Il basket è poesia in movimento. Tesi che vuole essere spiegata.

Ci sono tanti sport spettacolari, anzi, qualsiasi sport è spettacolare, a cominciare dal calcio dominatore assoluto nel nostro paese. Maradona accarezzava il pallone, Messi e Cristiano Ronaldo ci deliziano. Spettacolo, anzi, grandissimo spettacolo.

Ma il basket è un’altra cosa. Nelle vette più alte di entrambi gli sport decidete voi perché anch’io sarò sempre indeciso, se è più bella la galoppata di dribbling di Maradona in Messico o Michael che vola contro i Lakers nelle Finals del ’91 (finse di schiacciare, poi restando in aria appoggiò in layup di sinistro).

Il discorso è un altro, è un discorso globale. Io penso che il basket abbia più elementi di spettacolarità, perché è uno show più vario, fatto di giochi atletici ma di prodezze tecniche, di ragazzi alti 1 e metro e 60 o 2 metri e 30 che con una palla in mano sanno fare di tutto.

Nel basket ci sono assist, rubate, stoppate, tiri sulla sirena, i clutch shots (i tiri che fanno vincere una gara), penetrazioni delle più varie che possono terminare con layup, magari anche rovesciato, oppure con una slam dunk, e qui le forme che la schiacciata può prendere si aprono alle più fantasiosi soluzioni.

Il basket è poesia in movimento perché la poesia sa essere lirica e decantare le bellezze della vita o di denuncia, e farsi testimone così di un mondo infermo, che ha bisogno della scossa che solo le belle parole che evocano immagini gli può dare.

Il basket è poesia in movimento perché la poesia per me non è un’arida lista di parole che possono capire solo gli intellettuali ma la creazione più pura perché più immediata…due parole…tre…si evoca un immagine…è creatività immediata, istantanea e per questo riflessiva solo del nostro istinto, cioè del nostro talento più profondo che con la poesia emerge in suo piccolo pezzo.

E parla a tutti lo spettacolo del basket, nel godimento di un canestro sudato perché i ragazzini con la riga in mezzo di Princeton hanno ben eseguito i backdoor o in gesto forse inventato così, unica lucida follia… e Jwill un giorno passò il pallone all’indietro con un colpo di gomito. Colpo di genio.

Umilmente vi invito al mio modesto show, qui sotto concentrato forse troppo o forse troppo poco perché guardati intorno, più in alto, più sotto, anche un po’ all’orizzonte e lo spettacolo del mio talento, quello nascosto, quello più profondo, quello intimo io ancora lo sto cercando, troppo distrattamente.

14. IL FINGER ROLL DI ICEMAN

George Gervin era chiamato “Iceman” perché giocava con la freddezza di un serial killer, guardava il canestro, gli si avvicinava danzando sulle punte, poi una volta giunto vicino all’assassino lo uccideva sussurrandogli frasi d’amore.

La sua arma era la carezza di un finger roll mai visto prima e mai più ammirato, lui faceva volare il pallone soffiandolo appena con le punte delle sua mano, e questo dolcemente ma inesorabilmente cadeva da lassù, con la grazia con cui non cade una piuma ma un proiettile che sapeva dove andare e cosa dire. “Dopo la carezza voglio il bacio”.

13. “HARDWAY E SOFTWAY”

Timmy Hardway, playmaker di Golden State e poi di Miami, era anche noto come “Bug”. Ricordate ? Il Millennium Bug che doveva uccidere tutti i computer del mondo e quindi le nostre vite ormai dipendenti a tempo perso dell’hardware e del software ?

Io ricordo…ricordo quel simpatico mattacchione che ti uccideva col sorriso sulle labbra, perché ti vedeva alla stazione precedente col culetto a terra dopo un crossover che ti fulminava le caviglie, ricordo ancora che ti prendeva in giro perché al suono della sirena questo bambino giocherellone non scappava dalla mamma prima di aver infilato l’ultimo canestro miracoloso.

Hard way e soft way, le strade maestre sono ancora a lezione.

12. SHAQ SUA ALTEZZA IRREALE

Ma chi l’ha mandato a questo ? Una montagna che corre come uno sprinter, che salta come un canguro, che tira i liberi come il mio meccanico di fiducia…Poi in conferenza stampa ti racconta una barzelletta e ti rivela sempre che non è bello quello che fa, è irreale.

E hai bisogno allora di guardarlo una seconda volta, poi ancora, e convincerti quindi che la natura ha fatto uno scherzo ma così, non è naturale restare sorpreso. Puoi scrivere un romanzo sulla sabbia, puoi scrivere un poema sul muro, è il tempo che ci stupisce, no di per sé la grandezza del mare o l’altezza di un grattacielo.

11. ONORE A STOCKTON, IL PLAYMAKER

Stockton e lo spettacolo per qualcuno sono come Luca Giurato che cerca la mediazione retorica tra israeliani e palestinesi. John era il playmaker, semplicemente, con i suoi passaggi precisi, semplici, essenziali, che volevano solo arrivare.

Eppure la virtù sta nel mezzo diceva qualcuno, e allora che si trattava di un passaggio a due mani o schiacciato per terra o profanamente dietro la schiena non importava. L’importante era arrivare.

Eppure mi ripetono che la virtù sta nel mezzo e John allora senza mai andare oltre le righe scriveva la sua piccola grande poesia. “Passava il pallone per passare alla storia, oggi camminiamo tutti più sicuri, la testa in alto per scrutare il futuro. Perché lui è passato”.

10. IL MATTINO DI TMAC

Ho provato anch’io a restare lì sul letto, sdraiato al sole già cocente. E’ proprio così. Disegno i miei sogni più belli al mattino, quelli anche più surreali e in uno di questi apparve un giorno Tmac. La guardia di due metri che tutto può, ma proprio tutto e se per questo anche Kobe…e no…Tmac ha un pigiama più bello, sicuramente più particolare.

Una penetrazione nel cuore dell’area camminando sui pezzi di vetro che De Gregori non pensava portassero dritto ad un canestro, poi si volta, guarda la telecamera, sembra che dorme ma è lì, nel sogno e sulla terra, è lì, sul campo e fra le stelle .

Il suo viaggio in Paradiso sarà fluido, non mostrerà mai dolore alcuno. Poi finalmente lo potrà esaudire quel suo sogno, sdraiarsi sul soffice di più del suo passo leggiadro e dalle nuvole ammirare i suoi posteri.

Speriamo che non dorma spesso, non sarà un buon segno. O è un mio brutto sogno ?

9. IL TEATRO DI MAGIC

Che bello pagare il biglietto per quello spettacolo. Allora, c’era James Worthy il ladro che fuggiva in contropiede da Magic la guardia, che lo inseguiva per tutto il campo e gli consegnava no-look le manette riferendo poi il tutto al severo ispettore capo Kareem, che a rimorchio esigeva spiegazioni.

Il pubblico si alzava in piedi, batteva le mani, gridava “Showtime”. Magic la guardia lo era davvero, anche se era alto due metri e cinque, anche se palleggiava come nessuno, passava la palla come nessuno, sorrideva come il più bravo e meritevole degli attori alla fine della recita. Oggi quel teatro ha chiuso, rimane il ricordo, rimane l’emozione.

8. THE ANSWER IS BLOWIN’ ON THE COURT

Tanti di noi da ragazzini hanno sognato di “fare la rivoluzione”. Un giorno venne nella NBA un ragazzino come noi, piccoli problemi alle spalle, grandi aspettative all’orizzonte. Scese in campo, cominciò a segnare 40 punti il più delle sere disegnando crossover, penetrazioni che finivano con i più impensabili dei layup, poi un giorno sconvolse le gambe di re Michael.

E la nostra vita. La rivoluzione dell’uomo solo al comando era iniziata, il potere è minacciato, il potere…osare…pensare…sognare …ha trovato il suo piccolo grande principe, e noi gli facciamo la corte.

7. ONORE AI KNICKS DI HOLZMAN, LA SQUADRA

Avevano una filosofia : “Hit the open man”, se c’è un uomo libero passa la palla, senza indugi. Era un insieme di grandi campioni che si fece squadra, merito di Red Holzman, l’uomo che portò per primo il tanto agognato anello di campioni a Basket City.

Individualità uniche che si strinsero la mano a formare il girotondo intorno all’idea più antica e più ricercata di ogni sport, il gioco di squadra. Il tutto ovviamente all’ombra dell’Empire State Building, il che ha solo ampliato il miracolo umano prima che tecnico di quella inimitabile squadra.

6. LA FOLLIA DEL PITTORE JWILL

I suoi quadri sono audaci, folli, visionari, fantastici, tutto ma non astratti. Io c’ero, quando prese in mano la tavolozza e schizzò la tela del suo passaggio col gomito. I colori sono sfumati, i contorni non troppo bene definiti, la sua invenzione emerge dal dipinto come un fiore dal prato e tu ti sorprendi di averlo visto sbocciare.

Ti sembrava che fosse normale un fiore che nasce dal prato, ti sembrava normale palleggiare per poi passare la palla ma ora che ci ripensi tu non hai mai visto sbocciare un fiore, tu non hai avevi mai visto prima le invenzioni di Jwill, certo non a quella velocità perché lui fu il fiore che sbocciò nel tempo di un assist e che mai nessun tatticismo potrà un giorno appassire.

5. LA SALA OPERATORIA DEL DOTTORE

“Bisturi”, presto presto, lo stiamo perdendo, presto, prestooooo…la NBA sta morendo, i battiti sono al minimo, dottore che facciamo ? Julius Erving, anni ’70, dottore laureatosi all’Università della strada, è un giovane apprendista in una clinica poco nota chiamata ABA.

Un bel giorno lo chiamano da lontano, è un paziente prestigioso di nome NBA che vuole operarsi perché semplicemente sta morendo sotto la pressione del gioco lento, privo d’originalità, di innovazione, di gioventù che corre e che salta.

Il dottore porta le evoluzioni sopra il ferro, un altro suo assistente ha il mano il tiro da tre, un altro ancora un po’ fantasioso la gara delle schiacciate. L’operazione dura un po’, finisce all’incirca nel 1980. “Ragazzi, la NBA è salva, ringraziamo il cielo, ma ha bisogno nel modo più assoluto delle vostre cure perché altrimenti mi ricade in depressione”.

“Ci pensiamo noi”, risposero in coro due giovani volontari animati dalle più buone intenzioni, si chiamavano Magic Johnson e Larry Bird. I due non persero tempo, e andandosene dissero col cuore in mano “Grazie dottore”.

4. BLACK JESUS PREDICA NEL DESERTO

E’ bello guardare i suoi movimenti sul piede perno, si gira, agile, e sempre lentamente appoggia la palla al canestro come si serve un dolce in un vassoio durante una festa. Il maestro non si affannava, non correva ma camminava, era la leggiadria di chi insegna con la saggezza di chi ha vissuto qualsiasi esperienza di vita.

E’ bello guardare il maestro ma la sua lezione, ragazzi miei ansiosi d’apprendere, la sua lezione non può essere capita perché in un mondo che corre scavalcando ogni cosa, troppa gente ha superato il suo talento profondo che con Monroe si esprimeva armonicamente su un campo di basket.

Poi lo guardavi giocare, una danza bellissima di giri e rigiri, con le braccia aperte come chi cerca qualcuno con il quale condividere il sogno fantastico che tu già stai immaginando adesso che danzi armonioso, senza affanni, chiudendo per un po’ anche gli occhi.

3. SEMPLICEMENTE IL MIGLIORE

E’ stato il più grande giocatore di basket ma io dico di tutti gli sport di tutti i tempi. Potrebbe esserne facilmente anche il più spettacolare, non fosse per il mio affetto ai primi due di questa classifica. Michael Jordan giocava con una grazia che appena celava tutta la sua cattiveria, tutta la sua voglia agonistica di dimostrare che era il più forte.

In aria semplicemente volava e questo non è necessario ricordarlo, basta soltanto respirare e avere la sensazione che lui è ancora su da qualche parte con le sue ali, decorato dal vento che modella il marmo del suo cuore da campione, innalzato a simbolo di una passione perché lui da lì non è mai sceso, teso com’è a terminare uno dei suoi tanti immemorabili voli.

2. ONORE A VINCE, L’ARTE DELLA SCHIACCIATA

A volte i proverbi, tutte le frasi fatte e la retorica spicciola si avverano con mio grande stupore, come anche i tanto cari modi di dire. “Saltai dalla sedia” due volte per questo ragazzo che ha deciso, mio caro Bonolis, di dare un senso alla mia vita.

Era il 2000, anno più che mai adatto alle rivoluzioni che preannunciano forse non un mondo migliore ma di sicuro un’altra epoca, un’altra era. Lo spettacolo di Vince eruttò con la potenza di un vulcano all’All Star Game di Oakland, proseguì pochi mesi dopo alle Olimpiadi in una gara contro la Francia.

Un altro mondo era iniziato, era davvero l’inizio del terzo Millennio, emozioni nuove che nascevano per restare per sempre. Il giorno prima di Vince ’00 il mondo era in bianco e nero, nel terzo millennio ci sono tutti colori, il nero del terrorismo internazionale e l’azzurro del cielo che Vince osò un giorno conquistare.

1. PISTOL PETE, JAZZ E CARNEVALE

New Orleans, la città del jazz e del carnevale, due vestiti bellissimi che mai sono stati indossati con la stessa classe di Pete Maravich, guardia dei New Orleans Jazz degli anni ’70.

Il Jazz erano le sue invenzioni estemporanee, improvvisate, assolutamente folli e mai viste prima, figli di un genio che voleva stupire e divertire.

Il Carnevale era la gioia colorata del pubblico che a Pete non chiedeva altro che qualche emozione, così, per stupirsi della bellezza della vita e del gioco del basket.

Ma la Storia pure non segue tanti fili logici, va avanti anzi a forza di paradossi, di contraddizioni, se non di sorprese come la musica che Pete ispirava in campo. Il singolo giocatore che più mi ha emozionato è stato il primo a lasciarci.

Non mi sento più di andare avanti, del resto lui in campo suonava, le parole erano e restano superflue. Solo grazie, magico, poetico Pistol Pete.

Steph Curry, LeBron, Russell Westbrook, KD, James Harden stanno imparando in fretta la lezione di questi grandi maestri.

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