Per gli standard NBA, le storie tese a mezzo stampa non sono certo una novità, anzi.

Qualche settimana fa Danilo Gallinari si è sentito tirare in causa dal suo coach, Mike Malone, a causa della “scarsa leadership” dei veterani di Denver, rispondendo molto urbanamente, ma sempre a microfoni accesi, di non condividere l’accusa mossa dal suo allenatore.

Una settimana fa, i Chicago Bulls hanno tenuto banco per un vivace scambio di opinioni sui social media tra le guardie Rajon Rondo e Dwyane Wade; le due stelle hanno battibeccato parlando delle responsabilità dei giovani e dei veterani (ancora…) per poi buttarla sul personale, rimpallandosi rimproveri e bordate gratuite, come nel cortile di scuola.

Quando però a tradire nervosismo è il giocatore più forte del mondo, la cassa di risonanza è inevitabilmente maggiore.

Oltretutto, LeBron James non ha risposto a un compagno irrispettoso, o un allenatore troppo severo, quanto ad un opinionista televisivo – Charles Barkley – stipendiato da ESPN proprio per le sue opinioni controverse e sopra le righe, che già in passato aveva criticato LBJ, e che più in generale, conduce una crociata contro l’NBA odierna, i suoi riti e le sue regole.

All’interndo di Inside the NBA, Barkley ha parlato dei “piagnistei” di LeBron, riferendosi alle recenti lamentele del figlio della signora Gloria per l’assenza di un play di riserva nel roster dei Cleveland Cavaliers (sono soddisfazioni, Klay Felder!), proseguite poi a distanza di una settimana con uno sfogo contro la proprietà (rappresentata da Dan Gilbert), che, secondo LeBron, non starebbe investendo a sufficienza nella franchigia (Cleveland ha il monte salariale più alto di tutta la NBA).

Sentite queste frasi, l’ineffabile Barkley ha commentato: “I Cavs lo hanno sempre accontentato. Ha chiesto la permanenza di J.R. Smith ed è rimasto, voleva Iman Shumpert ed è arrivato, ora hanno aggiunto anche Kyle Korver. Cleveland ha il monte salariale più alto della storia dell’NBA. LeBron è il giocatore più forte del mondo. Vuole tutti i giocatori più forti in squadra? Non vorrebbe competere? È Cleveland ad essere campione in carica”.

Sono considerazioni espresse nella solita, colorita maniera del Barkley, ma francamente, una volta tanto Sir Charles era riuscito a restare nei limiti del buon gusto, argomentando in modo preciso e puntuale, senza lasciarsi andare alle consuete tirate sui “giovani di oggi” o alle solite iperboli, che fruttano audience (così si dice…) ma abbattono la qualità di ogni discorso, su ESPN come al bar sotto casa.

La risposta di James non si è fatta attendere, ed è stata d’inusitata durezza: “Sono stufo di mordermi la lingua; c’è un nuovo sceriffo in città; non gli lascerò mancare di rispetto alla mia eredità” LeBron ha continuato ricordando le malefatte di Charles: “io non ho lanciato nessuno contro una finestra, non ho sputato ad una bambina, e non ho debiti non saldati a Las Vegas. Non ho mai detto ‘non sono un role-model’, e non mi sono mai presentato di domenica all’All-Star Weekend, perché ero a Las Vegas a far festa”.

LBJ ha attaccato Charles Barkley (MVP nel 1993, e cinque volte primo quintetto NBA) sul piano personale, rinfacciandogli una serie di comportamenti sbagliati, che tuttavia non spostano di una virgola l’argomentazione di Sir Charles, che ha commentato: “Non gli è piaciuto il messaggio, e allora spara al messaggero“.

LeBron però era un fiume in piena, e ha rincarato la dose: “In tutta la carriera ho sempre rappresentato la NBA nel modo giusto. Quattordici anni, e mai un problema. Ho rispettato il gioco, scrivetelo”.

Se però LBJ vuole tirare in ballo il “rispetto per il gioco”, farebbe bene a ricordarsi delle volte in cui a mancare di rispetto per il gioco è stato lui, anziché rivangare fatti vecchi di decenni (per i quali, peraltro, Sir Charles ha chiesto scusa), insistendo su aspetti personali della vita di Barkley, che nulla hanno a che vedere con il basket.

Anche LeBron James ha i suoi scheletri nell’armadio: non vogliamo iscriverci alla scuola dei puritani dello sport, o trasformare il giocatore più forte del mondo in un bersaglio per gli hater, ma LeBron dovrebbe ricordarsi anche di quando, sconfitto, lasciò il campo senza salutare gli Orlando Magic (Finali di Conference del 2009); potrebbe ripensare a quel trionfo di onanismo autocelebrativo denominato The Decision, al trattamento ignobile riservato a coach David Blatt, oppure ancora, alle ripetute simulazioni di cui si è macchiato.

James invece ha proseguito nella sua giaculatoria parlando dell’attuale occupazione dell’ex ala di Sixiers, Rockets e Suns: “So che avrebbe voluto smettere molto tempo fa, ma non può: è costretto ad andare su quel palco tutte le settimane” alludendo a presunti problemi economici di Barkley, per poi chiosare “se vuole parlarmi, conosce il calendario, sa in quali arene mi troverà. Basta che non venga da me all’All-Star a darmi la mano e sorridere”.

James aveva parecchi sassolini nelle scarpe, e così è ritornato anche su quanto detto da Phil Jackson a inizio stagione, quando lo Zen Master parlò dei trattamenti di favore che ai tempi di Miami LBJ pretendeva per sé e per i propri amici e familiari, improvvidamente definiti “posse”, termine dispregiativo che offre il destro ad una interpretazione razzista (posto che Jackson, figlio dei fiori della prim’ora, ha una storia personale che lo mette al riparo da tale accusa).

Dopo aver parlato dei rapporti di amicizia tra giocatori degli anni novanta (una delle grandi accuse di Barkley alle stelle di oggi è di essere troppo complici) LeBron ha esclamato: “Due anni fa sono andato a trovare Carmelo Anthony al Garden, e loro giocavano contro Portland. All’intervallo sono salito in una suite, e Phil Jackson non mi ha rivolto una singola parola” per poi aggiungere “Sono qui per vincere partite e per prendermi cura della mia, qual è la parola, oh, mia ‘posse’”.

Anche in questo caso, non c’è correlazione tra provocazione (vera o presunta) e risposta, posto che il settantenne Jackson, per età, ruolo e financo curriculum, non è tenuto a dover alzarsi per rendere omaggio al trentenne LeBron James, anche se magari qualche parola di lode avrebbe fatto piacere a LBJ e non sarebbe costata niente allo Zen Master.

Uno sfogo così lungo è inusitato per un grande giocatore, che dovrebbe (anzi, usiamo pure l’indicativo presente: è) aduso e immune ai trucchi dei media, alle critiche gratuite e pretestuose, e ai commenti di quello stuolo d’individui la cui esistenza sembra ruotare attorno all’aggressione verbale mediante tastiera (dicasi “hater”).

Jackson può essere urticante, certo, e Barkley è questo, prendere o lasciare (noi lasciamo volentieri), ma è lo stesso commentatore che, durante la parentesi Heat, definì LBJ “un Michael Jordan più grosso e più forte”. Lo stesso Jackson scrisse in Eleven Rings d’aver chiesto a Kobe di giocare più spesso come James, e fatichiamo ad immaginare un complimento migliore per LBJ.

Dopo lo splendido titolo vinto in giugno (condito dall’MVP della serie Finale) tutto ci saremmo attesi tranne un LeBron James teso e stizzito, perché non ha veramente più niente da dimostrare: ha vinto il terzo titolo, l’ha fatto con Cleveland, dove nessuno vinceva niente da cinquant’anni, dominando e battendo in rimonta un avversario molto più accreditato, che quest’anno si è rafforzato ulteriormente.

La pressione è tutta sulle spalle di Steph Curry e Kevin Durant, che devono togliersi l’etichetta di (rispettivamente) “sopravvalutato” e “traditore”, ma allora perché King James sembra avere i nervi a fior di pelle? Forse immaginava d’aver tacitato in modo definitivo chi lo accusa di temere le sfide, e mal sopporta l’eterno ripetersi del medesimo ritornello?

Forse LBJ sente la pressione dettata da una rivale che al momento sembra veramente giocare sul velluto (Golden State è 41-7, con 9 vinte nelle ultime 10), mentre i Cavs (32-15) hanno chiuso il mese di gennaio con 8 sconfitte su 15 partite, lasciando intravedere crepe inattese, ma che non sembrano tali da giustificare il panico: in fondo l’Est rimane facilmente abbordabile, e le partite che conteranno veramente sono ancora lontanissime, e nulla è compromesso.

Insomma, che cosa sta succedendo nello spogliatoio della Quicken Loans Arena, e –soprattutto– nella testa di LeBron James?

3 thoughts on “LeBron e Barkley: storie tese a Cleveland

  1. a me sembra una situazione simile all’anno scorso, dove la cacciata di blatt creò molta confusione e molto più scalpore di questa ultima querelle lebroniana.
    poi l’anno scorso lebron mise la testa a posto, rimasero in silenzio fino alla fine dell’anno e vinsero il titolo, quest’anno però forse non avranno abbastanza voglia e fame di vittoria per poter replicare.

  2. Possibile, però l’anno scorso ci poteva essere una giustificazione per certe tensioni, quest’anno non ne capisco il senso.

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