Alla fine della scorsa estate ben pochi avrebbero pronosticato una stagione da protagonista per la franchigia dell’Oregon quando, in un colpo solo, la squadra perse quattro starter, tra cui l’uomo franchigia LaMarcus Aldridge, e il sesto uomo.

Invece, approfittando anche di una Western Conference insolitamente meno competitiva del solito, in cui per la prima volta dal 1999 un risicato 50% di vittorie ha garantito un posto ai playoff, i Blazers si sono rimboccati le maniche e conducendo una stagione gagliarda si sono garantiti un posto in postseason.

Non solo, la dea bendata decise di dare loro un’ ulteriore opportunità, proponendo al primo turno la sfida con i derelliti Clippers orfani di Chris Paul e Blake Griffin.

La vittoria contro i più quotati avversari, oltre ad essere solamente la seconda ai playoff degli ultimi 16 anni, al netto delle assenze altrui rimane un’impresa da ricordare specie se confrontato con la depressione e le amarezze lasciate dal mercato.

La scorsa stagione è stata all’insegna del fattore sorpresa e della sottovalutazione (altrui) del roster e, anche quest’anno, il due volte All Star Damian Lillard e il Most Improved Player 2016 CJ McCollum saranno i giocatori chiave.

Non si può certo dire che sia stata un’estate all’insegna del risparmio in Oregon, se è vero che il general manager Neil Olshey ha impegnato oltre 334 milioni di dollari, svenandosi per tenere McCollum (estensione da 106M) e Crabbe (74M) e per strappare Evan Turner ai Celtics (70M).

Alla fine del valzer estivo, Portland si ritrova con giocatori giovani e promettenti protetti da contratti lunghi e onerosi, una strategia in fin dei conti condivisibile per una franchigia storicamente allergica ad attirare i migliori giocatori sul mercato.

Evan Turner rappresenta l’aggiunta estiva di maggior interesse: l’ex seconda scelta 2010 è un giocatore di livello, sa creare dal palleggio ed è un attaccante pericoloso quando gioca al di qua dell’arco del tiro da tre punti, se è vero che durante la scorsa stagione è stato l’unico a poter vantare 10 punti, 4 rimbalzi e 4 assist in meno di 30 minuti di utilizzo.

Oltre l’arco però non è un fattore (26% da tre) e rientra tra i 10 peggiori tiratori degli ultimi 2 anni: non un problema da poco se si tiene conto che solamente i Rockets ricorrono più spesso al tiro dalla lunga distanza di Portland.

In generale, Lillard, McCollum, Turner e Crabbe rappresentano uno dei backcourt più completi di tutta la lega.

Il quintetto base dovrebbe essere formato da Lillard, McCollum, Turner, Al Farouq Aminu e Mason Plumlee con Crabbe, Ed Davis, Leonard ed Ezeli pronti a dare man forte dalla panchina.

Festus Ezeli in arrivo da Golden State va a riempire un vuoto importante sotto canestro con l’obiettivo di migliorare la difesa di squadra, tra le peggiori a Ovest portando intimidazione, atletismo e muscoli, caratteristiche in cui Portland non eccelleva. Per farlo però il lungo nigeriano dovrà cercare di stare lontano dai guai fisici, impresa non così scontata con un ginocchio non proprio affidabile e meno di 130 partite giocate sulle oltre 200 disponibili negli ultimi 2 anni in California.

In generale, i Blazers si presentano ai blocchi di partenza con un nucleo di giocatori di ottimo livello e i playoff non sono un miraggio anche se ovviamente tutto passa dal loro giocatore più forte e rappresentativo, Damian Lillard.

Il numero zero ha già dimostrato di essere il leader offensivo capace di guidare la squadra e, nonostante sia ormai tra le prime cinque point guard in assoluto, trova ulteriori motivazioni nell’essere (stato) snobbato e sottovalutato.

Il nativo di Oakland, reduce da una stagione da oltre 25 punti, quasi 7 assist e 4 rimbalzi a partita, per il definitivo salto di qualità è chiamato a migliorare l’efficienza, limitando le forzature e aumentando le proprie percentuali al tiro passando attraverso una migliore e più matura gestione dei possessi: non sarebbe strano vederlo in corsa per il titolo di MVP.

McCollum, dopo l’exploit dello scorso anno, è chiamato alla stagione della consacrazione. Da sempre giocatore ordinato ed efficiente, la crescita esponenziale dei suoi numeri è dovuta soprattutto alla crescita del suo ruolo e della fiducia: basti pensare che la sua presenza o meno in campo comporta un differenziale di circa 4 punti.

Ma, pur responsabilizzato dal contratto e forte di una stagione eccezionale, rimane un giocatore che ha giocato solamente 83 partite in stagione da starter e potrebbe anche pagare la fine del fattore sorpresa.

Il prolifico attacco dei Trail Blazers, sesti per punti e settimi per efficienza, potrebbe portarli lontano ma la loro disattenta difesa potrebbe mettere un tetto piuttosto basso alle loro ambizioni, tipico delle squadre sbilanciate.

Lillard-McCollum  è una coppia di giocatori dinamici ma undersize, destinati ad essere attaccati dai pariruolo più atletici e a finire intrappolati in pick and roll nocivi: stando ai freddi numeri, solamente due coppie di guardie hanno difeso peggio di loro.

Come consiglia coach Stotts, non bisogna farsi ingannare dal monte stipendi. Il roster è competitivo e futuribile (solo Philadelphia ha una squadra più giovane), con molti degli interpreti che gioveranno della positiva esperienza maturata nel corso della scorsa, sorprendente, stagione.

Il gap con i team di elite è notevole, Warriors, Clippers e Spurs sono superiori, ma di sicuro Portland fa parte della borghesia occidentale che si batterà duramente al fine di allungare la stagione, con Mavericks, Jazz, Timberwolves, Grizzlies e Thunder pronte a dare battaglia fino all’ultima partita.

La Western Conference, pronta a ritornare wild dopo una stagione anomala, rimane un animale bizzoso e scorbutico difficile da domare con più pretendenti rispetto ai posti disponibili: almeno una tra Mavericks, Jazz, Timberwolves, Grizzlies, Thunder e Blazers finirà la stagione prima del previsto, senza tenere conto di eventuali sorprese e degli enigmatici Rockets e Pelicans.

Dunque, a meno che i Blazers non abbiano altri assi nella manica (leggi Lillard MVP e Stotts COY), questo gruppo aspira a ripetere gli ottimi risultati della scorsa stagione, con il talento necessario per vincere intorno alle 50 partite e provare ad allungare la stagione fino al secondo turno dei playoff, ma forse senza abbastanza solidità ed esperienza per giocarsi l’anello.

Ma per fortuna il basket non è solamente di statistiche, spaziature e schemi. Il lavoro svolto dal coaching staff nella testa dei giocatori e sulla chimica di squadra darà dividendi anche quest’anno, e potrebbe spingere la squadra anche oltre le proprie possibilità.

 

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